I profughi e i controlli sanitari
Qualche rassicurazione mi pare necessaria dal momento che si continuano a leggere su diversi giornali le preoccupazioni su possibili diffusioni di malattie infettive dei migranti sbarcati sulle nostre coste. Già un paio di mesi fa, il governatore del Veneto, Zaia, si era dichiarato, “preoccupato” dei profughi arrivati sul territorio regionale e della loro salute a causa di una “..organizzazione dello Stato che, in questa materia, continua ad essere confusionaria e borbonica” contribuendo, così, ad alimentare, magari in buona fede, un clima di paura, che è l’ultima cosa di cui c’è bisogno.
Zaia, quindi, aveva disposto una serie di “..controlli sanitari da effettuare nell’interesse prioritario dei veneti ma anche di quei poveri disperati che possono non sapere di essere malati e devono essere curati in caso di necessità”. Il tema, si sa, è tra quelli che ad alcuni partiti di ispirazione razzista fanno acquisire consenso elettorale ( nella primavera del 2015 in Veneto ci sono le elezioni regionali) e, quindi, vale la pena scendere in campo, tempestivamente, per ricercare più visibilità possibile. Io credo che il nostro paese abbia mostrato il suo aspetto “borbonico” ( con il massimo rispetto per tutti i simpatizzanti che, periodicamente, celebrano i Borboni ritrovandosi nella roccaforte di Civitella sul Tronto, in provincia di Teramo), soprattutto negli anni passati, quando, per esempio, nel 2009, il ministro dell’interno del tempo, Roberto Maroni, aveva dato ordine alle navi in perlustrazione nel canale di Sicilia di respingere in mare, verso la Libia, diverse centinaia di uomini, donne e bambini che da quelle coste erano partiti su fatiscenti barconi. Quei respingimenti, poi, lo ricordiamo, sono stati dichiarati illegali dalla Corte europea di diritti umani di Strasburgo nel 2012 e lo Stato italiano è stato condannato a risarcire 15mila euro più le spese soltanto a quei ventidue migranti che si era riusciti a identificare e a rintracciare. Di molti, “riaffidati” alla “accoglienza” di Gheddafi, non si è saputo più nulla. Oggi il sistema di vigilanza e di soccorso in mare ( attuato, sin dall’ottobre 2013, dalle navi della nostra Marina Militare ancora impegnate nella straordinaria operazione umanitaria di Mare Nostrum) e di accoglienza a terra, con le varie strutture sanitarie pubbliche locali e del volontariato, pur con le inevitabili sfasature e imperfezioni collegate ad arrivi giornalieri, talvolta, anche di alcune migliaia di persone ( alla data del 22 settembre sono oltre 138mila i migranti sbarcati sulle coste italiane), ha dimostrato una sua efficienza e vitalità. Moltissime le persone curate e assistite anche con la generosa collaborazione della gente siciliana. Ma, tornando all’esigenza di rassicurazione, vorrei ricordare che a bordo delle navi di Mare Nostrum ci sono team di medici e infermieri e, quindi, un primo, sia pure sommario, screening sanitario avviene durante la fase di trasferimento dei migranti dal punto di soccorso ai vari porti di destinazione. Qui giunti, sulla scorta anche di eventuali segnalazioni fatte dal personale medico di bordo, si realizza un secondo filtro sanitario che, per la massa di gente accolta, non consente certamente una verifica ottimale delle condizioni di salute di tutti, tuttavia ci può far stare tranquilli in merito alle malattie che potrebbero metterci in crisi.
Successivamente, sulla scorta di un protocollo diramato a suo tempo dal Ministero dell’Interno, Dipartimento delle Libertà Civili e dell’Immigrazione e indirizzato alle varie Prefetture e Comuni interessati all’accoglienza temporanea ( in attesa che si definiscano le domande di asilo o le altre situazioni di ingresso “irregolare” nel territorio dello Stato), introduce un controllo delle condizioni generali di salute delle persone, più che opportuno, necessario. Tutto questo senza particolari forme di invasività o di costrizioni, che non sono consentite dalla legge e senza allarmismi che fanno riferimento a “patologie” dei paesi di provenienza. Se c’è qualcuno che, malato, ha bisogno di cure, sia che abbia la scabbia o la tubercolosi, viene curato prontamente. Punto. La stessa attenzione è riservata al personale della Polizia di Stato che è fortemente impegnato nei porti di approdo e nelle varie questure per le attività di competenza. I test fatti ai poliziotti per evidenziare eventuali infezioni tubercolari, alla data del 12 settembre, sono stati oltre 1.600 evidenziando positività, che non è indice di malattia, in 121 casi in cui si “attesta solo un pregresso contatto con il microrganismo che può essere avvenuto anche diversi anni prima” ( in questo senso il Dr. Roberto Santorsa, Direttore Centrale della Sanità del Dipartimento della Pubblica Sicurezza). Insomma, massima attenzione ma senza creare inutili allarmismi e paure.
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