3 settembre 2014
Anniversario morte generale dalla Chiesa: il mistero della cassaforte. Oggi ricorre il 32esimo anniversario della morte del generale Carlo Alberto dalla Chiesa e fanno notizia le affermazioni del boss Toto Riina sulla “cassaforte” e le “carte scomparse” del generale, dopo il delitto. Sul “Fatto Quotidiano” Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza firmano un articolo che mette insieme le dichiarazioni del boss intercettato durante le sue conversazioni in carcere con il boss Lorusso e la replica secca e immediata del figlio del generale, il professor Nando dalla Chiesa. “Questo Dalla Chiesa sono andati a trovarlo e gli hanno aperto la cassaforte e gli hanno tolto la chiave. I documenti dalla cassaforte glieli hanno fottuti”. Chi chiede il boss pugliese? I servizi, risponde in sostanza il “capo dei capi” di Cosa nostra. “Non c`era bisogno della conferma da parte di Rima. Noi parliamo della cassaforte di mio padre da 32 anni – afferma dalla Chiesa. Anche il “Corriere della Sera” parla di queste dichiarazioni con un articolo a firma di Virginia Piccolillo a pagina 17 del quotidiano in edicola.
La “trattativa Stato-mafia” sbarca al lido di Venezia. Sul “Fatto Quotidiano” l’editoriale di Marco Travaglio, co-direttore del giornale, commenta la partecipazione al Festival di Venezia di due lavori dedicati al tema della mafia e ai suoi rapporti con pezzi dello Stato. Una attualità ancora tutta da comprendere nelle aule dei tribunali ma che solletica già l’interesse cinematografico di tanti. “Al Festival di Venezia sono due i fimi che parlano di trattativa – scrive Travaglio: due gioiellimi firmati da Franco Maresco (Belluscone) e da Sabina Guzzanti (La trattativa). Prima ancora che venissero proiettati, avevano già attirato un mare di critiche: non dal punto di vista artistico o storico (nessuno li aveva ancora visti), ma da quello politico. E qui l’aggettivo “politico” è sinonimo di “omertoso”: di mafia, peggio se associata allo Stato, è meglio non parlare. E quel che sostiene anche il vero protagonista del film di Maresco, che non è Berlusconi (il titolo col cognome storpiato è pura satira), ma un palermitano piccolo piccolo: Ciccio Mira, impresario di cantanti neomelodici e di feste popolari nei quartieri più mafiosi di Palermo, come Brancaccio, feudo dei fratelli Graviano e base di partenza delle stragi di via D’Amelio nel `92 e di Firenze, Milano e Roma nel `93. Palchi dei concerti sono posizionati dinanzi alle case dei boss, a mo’ di inchino. E al termine il cantante rivolge un commosso e deferente saluto “agli amici ospiti dello Stato”, i manosi detenuti al 41-bis, augurando loro “un presto (sic) ritomo a casa”. C
Confische e forze dell’ordine. C`è anche la sede di una casa di riposo in via Colletta, nel quartiere Appio, tra i beni confiscati a una famiglia di calabresi che aveva la sua base operativa ad Aprilia (Latina) ma ramificazioni in mezza Italia. Il Tribunale del capoluogo pontino, con un provvedimento del giudice Lucia Aielli, ha disposto che beni per 30 milioni di euro frutto di attività illecite divenissero patrimonio dello Stato. La notizia sulle colonne del “Il Messaggero”. “La confisca è – si legge nell’articolo di Giovanni del Giaccio, a pagina 41, nella sezione dedicata alla cronaca di Roma – è stata notificata ieri dagli uomini del comando provinciale della Guardia di Finanza, diretti dal colonnello Giovanni Reccia. I tre calabresi, Pietro Gangemi, 71 anni, e i figli Giampiero di 44 e Sergio di 39 sono ritenuti vicini alla `ndrangheta”. “A Roma una delle loro società, Villa Leonori, con sede fiscale a Milano, gestiva appunto una casa per anziani – continua Del Giaccio. I tre sono Gli uomini della Gdf durante l`operazione ritenuti responsabili di gravi delitti contro il patrimonio e la fede pubblica, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, bancarotta fraudolenta, falsità in titoli di credito, dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti ed omessa dichiarazione. Avevano costruito un intero patrimonio attraverso operazioni commerciali inesistenti, grazie a società “cartiere” affidate a prestanome che emettevano fatture e usavano poi i crediti Iva”. Ci spostiamo dalle confische alle questioni legate alla sicurezza in Emilia Romagna. Solo pochi giorni fa sui principali giornali regionali si puntava il dito sulla carenza di organico in forza all’intelligence antimafia, davanti ai numeri dell’avanzata criminale forniti dalla Dia. Ma quelle richieste rimangono senza risposta. Oggi, invece, il “Corriere di Romagna” scrive di un parziale, rinforzo di unità di polizia per quel che riguarda la città di Rimini. Si legge: “Il ministero dell’interno riconosce l`esigenza di servizi di ordine e sicurezza pubblica in aggiunta a quelli ordinari a Rimini e nelle località turistiche della provincia. Lo afferma il viceministro Filippo Bubbico nel rispondere all’interrogazione presentata dal deputato Tiziano Arlotti (Pd) per chiedere, tra le altre cose, che l’invio dei rinforzi estivi assuma carattere strutturale […] riconoscendo l`esigenza dei rinforzi a Rimini e provincia soprattutto per contrastare i reati contro il patrimonio e i fenomeni della prostituzione e dell’abusivismo commerciale».
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