Rassegna stampa 29 agosto 2014
Scambio di voto politica e mafia, la Cassazione: il reato non è più punibile – La Cassazione ha appena disposto un nuovo processo per Antonello Antinoro, politico siciliano dell’Udc condannato in primo e secondo grado con l’accusa di aver incontrato un clan palermitano per stringere un accordo in vista delle elezioni del 2008. Risulta necessario, infatti, – secondo quanto affermato dalla Cassazione – provare che Antinoro sapeva di poter usufruire della forza intimidatrice di Cosa nostra e soprattutto che i boss della cosca si fossero impegnati con lui ad adoperarla. “Le modalità di procacciamento dei voti devono costituire oggetto del patto di scambio politico-mafioso, in funzione dell’esigenza che il candidato possa contare sul concreto dispiegamento del potere di intimidazione proprio del sodalizio mafioso e che quest’ultimo si impegni a farvi ricorso, ove necessario”: queste le parole del relatore Orlando Villoni, pronunciate nel corso della sentenza 36382, con cui ha rinviato alla Corte d’appello per un nuovo giudizio la posizione di Antinoro, condannato a sei anni per voto di scambio mafioso. Secondo le parole de Il Fatto Quotidiano, Antinoro si sarebbe salvato in vista dell’introduzione della modalità di procacciamento del voto “prevista dal 416 ter”. La Cassazione risulterebbero “penalmente irrilevanti condotte pregresse consistenti in pattuizioni politico-mafiose che non abbiano espressamente contemplato tali concrete modalità di procacciamento dei voti”. Secondo la Cassazione per la punibilità deve esservi “piena rappresentazione e volizione da parte dell’imputato di aver concluso uno scambio politico-elettorale implicante l’impiego da parte del sodalizio mafioso della sua forza di intimidazione e costrizione della volontà degli elettori”. Secondo il pm Nino Di Matteo si è trattato dell’”ennesima occasione perduta per una repressione efficace del voto di scambio politico-elettorale-mafioso” e, invece, l’applicazione della nuova legge si scontra con le leggi che vigenti a favore dell’imputato. Antinoro, però, ha avuto a che fare con i boss di Resuttana, San Lorenzo e Pallavicino, con gli stessi che taglieggiano la città. Con Vincenzo Troia, boss di Pallavicino, l’imputato si era incontrato due volte, la seconda delle quali consegnò una busta contenente cinquemila euro ad Antonino Troia, affermando invece che si trattava di un “rimborso spese” dovuto ad un collega medico che si era impegnato nella campagna elettorale. Le indagini dei carabinieri rivelano invece, tramite intercettazioni, la vera natura dei rapporti che Antinoro intratteneva con la cosca. Sulla vicenda si esprime anche Michele Giarrusso, deputato del Movimento 5 stelle, che attacca pesantemente governo e associazioni che hanno permesso che questa legge venisse approvata. Il senatore, inoltre, rincara la dose invitando coloro che si occupano di lotta alla mafia all’interno delle istituzioni a rassegnare le dimissioni, poiché con l’approvazione di questa norma hanno dato piena prova di non essere all’altezza del ruolo che svolgono.
Il libro di un mafioso tra i finalisti di un premio letteraio: ed è subito polemica – Alla ventiseiesima edizione del premio letterario Recalmare dedicato allo scrittore girgentino Leonardo Sciascia, uno dei padri del concorso, nonché giurato, Gaspare Agnello solleva un polverone per la presenza tra i finalisti di “Malerba”, la biografia dall’ergastolano Giuseppe Grassonelli scritto dal giornalista del Tg5 Carmelo Sardo e dallo stesso Grassonelli. Gaspare Agnello per avallare la sua protesta tira fuori due vincitori delle edizioni passate del calibro di Bufalino e Consolo, oltre allo stesso Sciascia, affermando che non sarebbero affatto d’accordo su una scelta simile. Francesco La Licata, però, su La Stampa, porta avanti un’analisi attenta dell’avvenimento stupendosi dell’atteggiamento di Agnello: “E’ davvero incredibile che ciò accada in un territorio particolare (Grotte e Racalmuto, ‘paese della ragione sciasciana’), e su argomenti che il grande scrittore ha avuto modo di ben spiegare. Sciascia ha scritto sulla mafia, sull’antimafia, sul carcere, sull’Inquisizione, sulla possibilità di rendenzione e ne ha scritto sempre aborrendo la retorica tronfia, gli argomenti scontati e i giudizi frettolosi. Ha fatto imbestialire i custodi della liturgia dell’antimafia, mettendo in discussione l’automatismo secondo cui chi agisce in nome della lotta alla mafia agisce sempre bene. Figurarsi se poteva scandalizzarsi per la presenza di un ergastolano – uno che ha riconosciuto i propri errori e si denuda per espiare – nella rosa dei finalisti di un premio letterario”. La Licata continua ricordando ad Agnello quanto sia “scivoloso” il dibattito su mafia e antimafia e la questione del pentimento. Il giornalista de La Stampa chiude il commento citando Bufalino che, in risposta a Vincenzo Consolo che in occasione dell’omicidio del giudice Livatino, proprio a Racalmuto, affermava che non si potevano assegnare premi letterari “mentre i magistrati muoiono”, rispose: “Abbiamo bisogno di un eserito di scrittori che parlino di mafia. Per sconfiggerla bisogna seppellirla sotto una montagna di libri”.
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