1200 Km in bici per Anpalagan Ganeshu e tutte le vittime innocenti delle migrazioni
Prendi la cartina dell’Italia e rovesciala al contrario. Il Sud, così, diventa Nord. Il Nord si trasforma in Sud. Scorri questa cartina ed arriva a Portopalo di Capo Passero, giù in Sicilia, meta finale che è molto più di in un puntino davanti a te. Quel segno tracciato sulla mappa diventa un monito, uno schiaffo in pieno volto. Arrivarci significa ricordare le vittime delle migrazioni nel Mediterraneo e provare a capire i perché di tante morti ingiuste. Ti accorgi così che davanti a queste tragedie non c’è più un meridione od un settentrione. Ci sono solo le persone.
Questo viaggio lo ha fatto Gaia Ferrara insieme i ragazzi di “Viandando”che questa estate hanno solcato in bicicletta la Puglia, la Basilicata, la Calabria fino ad arrivare all’Isola delle Correnti. Lì dove finisce l’isola grande della Sicilia ma dove non finisce l’Europa, quella termina molte miglia più giù, in un’isola ancora più piccola: Lampedusa, ad un tiro dalla Tunisia, l’Africa.
1200 Km in bicicletta per i “Fantasmi di Portopalo”: questo è il nome dell’iniziativa agostana voluta e vissuta per ricordarci della strage di 283 migranti consumatasi nel Natale del 1996 nello Jonio. Una tragedia che per troppo tempo è stata ignorata e forse (volutamente) dimenticata e che grazie al coraggio di Salvatore Lupo, un pescatore di quel piccolo borgo marinaro in provincia di Siracusa, è stata raccontata nella sua tragica verità al mondo intero. Perché non si può morire su un barcone in fuga da guerre e povertà. Perché non è giusto, non è umano essere ignorati, respinti e cacciati via da Paesi che scrivono nelle proprie Costituzioni le parole diritti, cittadinanza, uguaglianza al di là del colore della pelle, dei riferimenti religiosi, politici, culturali.
Libera ha sostenuto questa iniziativa in ogni suo centimetro. Ha spinto Gaia ad ogni giro di catena. Libera, forse, è stata la strada da solcare ed insieme il cavalletto sul quale poggiare la bicicletta quando era il momento di incontrare la gente, le comunità per insieme discutere di accoglienza, di solidarietà, di giustizia sociale per tutte e per tutti. Perché ci hanno insegnato, infatti, che la geografia è sorella gemella della storia, e che la storia è anche somma di tante storie. Quelle che leggiamo ogni 21 marzo per la Giornata nazionale della memoria e dell’impegno scorrendo l’elenco sterminato di vittime innocenti delle mafie. Lo facciamo fermandoci anche su nomi e cognomi difficili da leggere perché scritti in altra lingua, accorgendoci così che le mafie hanno globalizzato anche il dolore e la violenza. La stessa che ha strappato Anpalagan Ganeshu ai suoi affetti, ai suoi sogni di libertà e dignità, alla sua terra. Anpalagan è rimasto intrappolato nella rete di quella barca affondata a Portopalo ed il suo corpo è stato pescato insieme ad altri pesci. Di etnia tamil e di soli 17 anni è uno delle tante vittime di quel naufragio che quella notte uccise altre 282 persone. Non ha mai toccato terra il giovane Anpalagan perché è morto prima, soffocato dall’acqua che l’avrebbe traghettato verso un futuro migliore di quello da cui fuggiva.
Gaia ha pedalato per lui e per tutte le vittime innocenti di questo esodo senza fine. Il nome di questa giovane ciclista dal cuore grande significa terra e vale il senso di un arrivo, di una meta raggiunta per tutte le vittime innocenti delle mafie internazionali che traghettano questo nostro mare. Vittime che sono stuprate dalla violenza criminale che cannibalizza i loro bisogni e che poi vengono uccise, anche, dall’indifferenza di politiche stanche e miopi e, forse, dalle ignoranze dimentiche del valore più grande: l’umanità. Nient’altro.
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