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Alfano e il lavoro degli italiani e degli stranieri

di Piero Innocenti il . L'analisi

Le superficiali affermazioni del Ministro dell’Interno Alfano, fatte, alcuni giorni fa, in occasione della riunione del Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, tenutasi a Caserta ( “…non avallerò nessuna legge che possa far correre rischio ad un italiano di vedersi togliere lavoro da un immigrato..”) lasciano sgomenti. Si è trattato, presumibilmente, di un momento di “propaganda” politica, fuori luogo, perché il contesto  ( la riunione del Comitato per fare il punto della situazione sull’andamento della sicurezza pubblica) avrebbe dovuto indurre il massimo responsabile politico dell’ordine pubblico ad un maggior rispetto del suo ruolo e delle Istituzioni. Ma ormai le sciocchezze erano state pronunciate e, a parte un paio di giornali nazionali che, molto opportunamente, hanno stigmatizzato l’infelice intervento alfaniano, per il resto, nessuna particolare rilevanza mediatica si è registrata. E’ vero, ci sono argomenti più importanti e meritevoli di attenzione. Ma queste esternazioni di “razzismo istituzionale”, secondo la felice espressione usata da Clelia Bartoli in un suo saggio sull’argomento,  che determinano o avallano, magari, non in modo consapevole, cliché, luoghi comuni  (“..il migrante che ruba il posto di lavoro all’italiano”), sono pericolose e contribuiscono a mantenere vivo un clima di ostilità, impregnato di pregiudizi e intolleranza verso gli stranieri.

Alfano ribadisce, poi: “ ..c’è il massimo rispetto per i diritti di tutti, ma vengono prima i diritti degli italiani, dei cittadini di Castel Volturno, di Mondragone, di Caserta” ( aree, in cui, di recente, si sono verificati episodi di forte turbolenza tra stranieri e residenti). L’accesso al lavoro e i diritti di tutti i lavoratori ( cittadini italiani e stranieri) hanno già una tutela costituzionale e sono  regolamentati da leggi ordinarie e comunitarie. Se, nei confronti degli stranieri, vi è una regolamentazione tendenzialmente restrittiva è perché vi sono periodi e settori, qualifiche e mansioni per i quali il fabbisogno di manodopera è esiguo e, quindi, quella straniera potrebbe essere in concorrenza con quella nazionale. Non si tratta, quindi, di graduatorie da stilare o di priorità, ma, intanto, di diritto al lavoro da assicurare alle persone. L’articolo 4 della nostra Costituzione prevede il diritto al lavoro dei cittadini e il dovere dei pubblici poteri di svolgere una politica di piena occupazione, sicché sembrerebbe escludere gli stranieri. In realtà, la disciplina all’accesso al lavoro è diversa a seconda che si tratti di stranieri comunitari o di extracomunitari. I primi, in virtù dei trattati istitutivi dell’UE e delle norme comunitarie, godono della libertà di cercare e di svolgere in ogni Stato membro un’attività lavorativa, autonoma o subordinata, a parità di trattamento col cittadino (art.19 D.Leg.vo n.30/2007). Anche gli stranieri extracomunitari, ai quali è stato riconosciuto lo status di rifugiato, possono accedere, come i cittadini comunitari, al pubblico impiego e, a parità di condizioni, con i cittadini italiani, ad ogni altro tipo di lavoro nel settore privato (art.25 D. leg.vo 251/2007). Lo stesso vale per i cittadini extracomunitari titolari di protezione temporanea.

Quelli, invece, soggiornanti in Italia, possono lavorare soltanto se sono titolari di specifici titoli di soggiorno che dà loro il diritto ad un trattamento retributivo, previdenziale ed assistenziale che deve essere, di norma, non inferiore a quello previsto per i lavoratori italiani. Parità di trattamento e piena uguaglianza dei diritti rispetto ai lavoratori italiani sono previste, oltretutto, dalla Convenzione dell’OIL (Organizzazione Internazionale sul Lavoro) del 24 giugno 1975, ratificata e resa esecutiva nel nostro paese, dalla legge 10 aprile 1981 n.158.  e dalla legislazione contenuta nel Testo Unico sull’immigrazione che, all’articolo 2 (Diritti e doveri dello straniero) riconosce i diritti fondamentali della persona umana previsti dal diritto interno e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. Si tratta di principi fondamentali che impediscono (dovrebbero impedire) al datore di lavoro di sfruttare la dignità umana dei lavoratori stranieri, concorrendo a creare situazioni di concorrenza che potrebbero ingenerare tensioni e atteggiamenti di intolleranza e di esclusione tra i lavoratori italiani ( come, purtroppo, capita in alcune zone del nostro paese). Si tratta, intanto, di creare occupazione e lavoro in un paese che, da troppo tempo predica in tal senso, con risultati scadenti,  evitando sciocche dichiarazioni che contribuiscono soltanto ad accentuare le discriminazioni, nel già travagliato mondo del lavoro.

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