Post- sisma, L’Aquila: fermo il processo sui bagni chimici
Sono passati 5 anni e al Tribunale dell’Aquila ancora non parte il processo sulla “Truffa dei cessi”. Intanto si avvicina, inesorabile, la prescrizione: per gli sfollati – e per l’opinione pubblica – non ci sarà nessuna verità giudiziaria su come sono stati spesi, dal Dipartimento di protezione civile, circa 33 milioni di euro per la gestione del servizio dei bagni chimici Sebach nelle tendopoli del cratere. L’inchiesta sui bagni chimici merita di essere raccontata bene e dall’inizio. E’ una storia che la dice lunga sulla fine che rischiano di fare molti dei processi legati alla gestione dell’emergenza post terremoto e alla ricostruzione.
Cronistoria di una vergogna
Le indagini partirono nelle prime settimane del post terremoto su segnalazioni raccolte dal presidio aquilano di Libera. Nel 2012 la conclusione delle indagini e la divisione in due tronconi dell’inchiesta: a Roma si procede per falso e a L’Aquila per truffa in pubbliche forniture. Nel tribunale del capoluogo abruzzese si sono tenute finora 5 udienze: le prime quattro sono state tutte rinviate o per difetti di notifica o perché il Pm non si è presentato in aula. La quinta, venerdì scorso, si è conclusa, dopo le eccezioni procedurali sollevate dalla difesa, con il rinvio degli atti alla procura per riformulare i capi d’imputazione.
Come nel gioco dell’oca si torna così, dopo 5 anni, alla casella iniziale: tutto da rifare. Forte lo sconcerto per il pubblico presente nell’aula giudiziaria, rabbia e avvilimento per chi questa inchiesta l’ha seguita sin dall’inizio, uomini delle forze dell’ordine in primis che vedono il loro lavoro andare in fumo. Il legale del Comitato 3e32, Lorenzo Cappa, non riesce ancora a presentare la richiesta di costituzione di parte civile.
L’affare è di dimensioni colossali. Il costo preventivato dal Dipartimento di protezione civile per i bagni chimici è una parte consistente delle spese della prima emergenza: 33 milioni di euro, quasi un quarto dei fondi per il mantenimento delle tendopoli. Arriva a 4mila il numero dei bagni presenti nelle tendopoli del cratere, al prezzo di noleggio di 23,40 euro ciascuno, comprensivo di una pulizia giornaliera. Il Dipartimento decide però di strafare, e richiede altre 3 pulizie aggiuntive giornaliere, facendo lievitare il costo a quasi 80 euro per ogni singolo bagno: cioè una spesa totale di quasi 320mila euro al giorno per i soli bagni chimici (l’emergenza aquilana è durata circa sei mesi). Un servizio decisamente eccessivo, quello richiesto dal Dipartimento di Bertolaso: ogni ospite delle tendopoli poteva produrre fino a 100 litri al giorno di pipì e popò.
Il presidio aquilano di Libera si mette subito al lavoro. Le segnalazioni che raccoglie nelle primissime settimane del post sisma sono allarmanti. Raccontano di liquami smaltiti illegalmente nei fiumi e nei canali e di bolle di trasporto falsificate; di ditte che si sabotano a vicenda le pompe dei mezzi di espurgo per contendersi la gestione del servizio in più campi possibili; di contatti tra ditte che gestiscono il servizio e funzionari della Protezione civile per gonfiare le fatture, di pulizie non eseguite secondo contratto. Tra le ditte, diverse imprese che da anni collaboravano con la Protezione civile per la gestione dei rifiuti in Campania.
Libera segnala quanto sta avvenendo a diverse forze dell’ordine, a mettersi al lavoro è la squadra mobile guidata da Salvatore Gava, che acquisisce tutte le notizie e il materiale raccolto.
Gli ostacoli istituzionali
I primi bastoni a infilarsi tra le ruote degli inquirenti arrivano subito: non dalle ditte, ma dalle istituzioni, sotto la forma di ordinanze e decreti. Il 13 maggio 2009, il Dipartimento di protezione civile emana la ordinanza n. 3767 mentre la Commissione territorio, ambiente e beni ambientali del Senato il giorno prima aveva accolto l’emendamento n 9100.
Per inciso: per difendersi da una querela ricevuta dall’allora Prefetto Franco Gabrielli, il responsabile del presidio aquilano di Libera ha presentato al Dipartimento una serie di richieste di accesso agli atti, compresi gli atti formativi di quest’ordinanza. Si è chiesto, in sintesi, di sapere quali sono stati i motivi per cui è stata emanata. Tali richieste finora hanno avuto tutte esito negativo: siamo ora in attesa della sentenza sul nostro ricorso presentato al Consiglio di Stato che dovrà pronunciarsi a breve su questa e altre spinose questioni.
La Mobile va avanti
Azzoppati dall’ordinanza che li priva di uno strumento fondamentale di controllo, gli uomini della mobile, tra mille difficoltà, non si scoraggiano e proseguono comunque le indagini. Effettuano controlli, pedinamenti, sono costretti a cronometrare i tempi di pulizia, acquisiscono documenti. Raccolgono prove che le quattro pulizie al giorno richieste (e pagate) dal Dipartimento non sono state effettuate, che ci sono palesi violazioni agli obblighi contrattuali, che non viene rispettata la legge sul subappalto, che molti documenti sono contraffatti, che funzionari e tanti capi campo non avrebbero controllato e vigilato sullo svolgimento del servizio.
In una informativa della Mobile dell’Aquila emerge una prima ipotesi di reato nell’assegnazione dell’appalto: “Le condotte potrebbero essere indicative della tendenza, da parte della stazione appaltante, a favorire l’Ati Sebach nell’aggiudicazione del bando”. Il reato sarebbe stato consumato a Roma, sede del Dipartimento presso cui si è svolta la gara d’appalto.
Ma è nell’esecuzione dell’appalto, che si materializzerebbe l’ipotesi di truffa e di una serie di altri reati, consumati quasi tutti a L’Aquila, nel corso dell’emergenza. “L’Ati Sebach – si legge nell’informativa della polizia – servendosi di ditte affiliate, ha fatto risultare un numero di operazioni di pulizia dei bagni chimici maggiore di quelle effettivamente compiute nei diversi campi nel periodo post sisma, in relazione ai tempi minimi calcolati per lo svolgimento di tali operazioni». E nella relazione si avanza anche un altro terribile sospetto: “è di gran lunga più probabile che i veicoli impegnati nello smaltimento liquami trasportassero sostanze differenti da quelle per il quale il servizio era stato disposto”. Una conferma in tal senso arriverebbe dalle dichiarazioni informali di Cristina Galieni (procuratrice della Sebach e imputata in questo processo), che riferisce di aver appreso dai loro “controllori” che durante l’emergenza sisma “tutta Italia veniva a scaricare a L’Aquila sostanze non meglio specificate”.
Questo sul fronte delle ditte che gestiscono l’appalto. Ma anche sul versante dei rapporti tra queste ditte e il Committente pubblico, cioè il Dipartimento di protezione civile, il panorama che emerge dall’informativa è da far tremare i polsi. “si evidenzia che pressoché tutta la documentazione acquisita è stata prelevata a Roma presso il Dipartimento ove era custodita in modo non catalogato, alla rinfusa dentro alcuni scatoloni. Ciò ha comportato – scrivono gli agenti – tempi lunghi per l’analisi pregiudicandone inoltre la completezza”.
Carte conservate male che rendono difficoltose le verifiche degli inquirenti, dunque, la cui azione era già stata messa in seria difficoltà dall’ordinanza, sempre del Dipartimento, che li privava di alcuni strumenti fondamentali di controllo e verifica. Ma anche molte delle carte comunque rinvenute, secondo gli agenti, sarebbero compilate in modo incompleto: “L’esame documentale ha permesso di rilevare, in riferimento ai rapporti d’intervento (che costituiscono documentazione facente fede per la richiesta dei pagamenti), che un’aliquota considerevole non è stata compilata per intero. Numerosi rapporti sono privi di nominativo, delle indicazioni sui servizi svolti, degli orari, dei campi e delle sottoscrizioni. Almeno in due rapporti d’intervento risultano contraffatte le firme del responsabile dell’area di accoglienza”. Cristina Galieni, procuratrice Sebach, riferiva agli agenti che “il pagamento del servizio reso sarebbe stato retribuito da parte del Dipartimento come da contratto, senza verifica delle operazioni effettivamente svolte”.
Per i rapporti tra Dipartimento e ditte appaltanti, gli agenti mettono nero su bianco: “E’ evidente che a monte, oltre ad un accordo preordinato e finalizzato a rendere non intelligibili quei dati, vi è stata una scarsa (per non dire totale assenza) vigilanza da parte di quel personale preposto al controllo delle operazioni, proprio a fronte della spesa presunta che quel Dipartimento avrebbe dovuto sostenere giacché si aveva la consapevolezza sia del quantitativo dei bagni installati sia delle operazioni di pulizia che venivano indicate (ma non effettuate)”.
2012, il processo si sdoppia
Il primo troncone finisce a Roma e vede tra gli indagati per abuso d’ufficio anche Guido Bertolaso. Dopo lo stralcio di alcune posizioni archiviate, di questo processo abbiamo perso le tracce.
Il secondo troncone, relativo all’ipotesi di “falso materiale commesso da privato e frode nelle pubbliche forniture” rimane alla Procura dell’Aquila. Nel maggio 2012 il pm Antonietta Picardi chiude le indagini preliminari: indagate Marta Dainelli, ex amministratore della società Sebach; Cristina Galieni all’epoca dei fatti responsabile commerciale della stessa società; Sonia Morelli. Dopo 4 udienze rinviate, venerdì scorso si è tenuta la quinta conclusasi con l’invito del giudice al Pm a ripartire daccapo. Intanto sono passati 5 anni e la prescrizione si avvicina a grandi passi.
La divisione in due di questo processo ha probabilmente contribuito a disinnescare la sua portata dirompente, avviandolo verso le secche e lo spiaggiamento, in attesa delle prescrizioni.
“Disegno criminoso precostituito”
Restano comunque gli atti dell’inchiesta, su cui si fondano le accuse che nell’assegnazione dell’appalto ci sarebbero stati, da parte del Dipartimento, trattamenti di favore nei confronti della Sebach e che sulla gestione del servizio bagni chimici non vi sarebbe stato controllo.
Si rafforza, quindi, l’ipotesi del “disegno criminoso precostituito”, che si fonda su queste basi: il Dipartimento avrebbe favorito la ditta Sebach nell’assegnazione della gara; da parte del Dipartimento, in fase di determinazione del bando di gara, si sarebbero predisposti i quattro interventi di pulizia giornaliera per favorire la ditta appaltatrice; che questa poteva contare in anticipo sull’assenza dei controlli sull’effettiva esecuzione di tutte le attività di pulizia; che i pagamenti alla ditta sarebbero comunque stati saldati anche in assenza di documentazione certa. Infine, “tutte queste azioni di un medesimo disegno criminoso” sarebbero servite a rendere disponibile e al riparo da controlli indiscreti un’ingente somma di denaro da destinarsi, in una seconda fase, ad altri scopi.
Ricordiamo che sul sito della Protezione civile comparve un documento (poi rimosso) in cui la spesa per i bagni chimici risultava pari a 32.468.900 euro, mentre i bonifici reali rintracciati dalle forze dell’ordine sono invece pari a 18 milioni di euro: mancano circa 15 milioni di euro all’appello.
*di Angelo Venti
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TERREMOTO – Soldi nel cesso: Bertolaso tra gli indagati
– site.it – inchiesta sui bagni chimici
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– SITE.IT – SOLDI NEL CESSO – per scaricare la rivista completa CLICCA QUI
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