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Processo Caronte, oltre 200 anni a clan Ciarelli-Di Silvio

di Elena Ganelli il . Lazio

Oltre duecento anni di reclusione. Questo l’esito della sentenza, emessa questa mattina all’alba dopo oltre diciotto ore di camera di consiglio, nei confronti dei 24 imputati del processo “Caronte”, accusati a vario titolo di avere messo in piedi un’associazione a delinquere dedita alle estorsioni e all’usura. I giudici del Tribunale di Latina hanno accolto  quasi integralmente le richieste dei pubblici ministeri Marco Giancristofaro e Giuseppe Miliano che durante la loro requisitoria avevano chiesto pene complessive per 284 anni di reclusione nei confronti degli esponenti dei clan Ciarelli e Di Silvio. Tra le condanne più pesanti, quella a 21 anni di reclusione inflitta a uno dei capifamiglia, Carmine Ciarelli,  quella a 15 anni per Costantino Di Silvio e quella a sei anni e mezzo per Giuseppe “Romolo” Di Silvio. I giudici hanno riconosciuto per la prima volta l’esistenza di un’associazione a delinquere dedita ad un’ampia gamma di attività criminali organizzata famiglie rom residenti nel capoluogo pontino, protagoniste tra l’altro della feroce guerra criminale esplosa nei primi mesi del 2010.

Ed è proprio da quei fatti, che in 48 ore videro il tentato omicidio di Carmine Ciarelli e gli omicidi in rapida successione di Massimiliano Moro e Fabio Buonamano, che la Procura della Repubblica di Latina e le forze dell’ordine hanno dato il via all’inchiesta che è riuscita a portare alla luce le attività criminali dei due clan ormai egemoni nell’usura, nelle estorsioni e nello spaccio di sostanze stupefacenti. Con un maxi blitz i carabinieri nell’aprile 2012 avevano arrestato 34 appartenenti alle due famiglie con l’accusa a vario titolo di estorsione, usura, tentato omicidio, detenzione di armi: nel corso dell’iter giudiziario sette degli imputati hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato mentre gli altri hanno deciso per il rito ordinario. Non è stato certamente un processo facile, al contrario visto che nel corso delle udienze ci sono stati anche insulti e minacce rivolti in aula ai giudici da parte di qualche imputato tanto da indurre la locale sezione dell’Associazione nazionale magistrati a denunciare pubblicamente l’accaduto manifestando “indignazione sull’ulteriore gravissimo episodio verificatosi durante lo svolgimento di un processo penale”. Oggi la sentenza rispetto alla quale il Prefetto di Latina Antonio D’Acunto ha espresso il suo “vivo apprezzamento alla magistratura per una pronuncia che rappresenta un ulteriore, significativo momento di affermazione della legalità nel territorio pontino.

La sentenza del Tribunale di Latina, che accoglie gran parte delle richieste della pubblica accusa, rafforza l’azione sinergica che vede unite istituzioni, magistratura e forze dell’ordine nel contrasto alla criminalità”.

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