Marcella torna a casa
Noi pugliesi viviamo, ancora oggi, in una sorta di limbo per quanto riguarda la storia delle mafie della nostra terra di cui si sono occupati e ne hanno scritto valenti autori, ma il quadro non è ancora completo. La nostra è una regione meravigliosa che però ha vissuto e vive sanguinose guerre fra bande per la gestione del potere e degli affari più redditizi. Il prossimo 27 giugno a Bari proveremo a saldare la memoria e l’impegno. Lo faremo riportando alla luce il caso di Marcella Di Levriano, giovane vittima della mafia pugliese e presentando il prezioso lavoro edito da Castelvecchi “Dizionario Enciclopedico delle Mafie” alle ore 19,00 presso la Sala Murat. Era da tempo che ci proponevamo di presentare anche in Puglia questo importante strumento di conoscenza delle mafie in Italia e lo faremo all’interno dell‘iniziativa “La memoria è un ingranaggio collettivo”.
Ogni territorio ha i suoi lutti. Mafia è una parola che fa paura, intorno alla quale si intrecciano le nostre vite, si rallenta lo sviluppo economico e culturale delle nostre comunità. Ad alcuni di noi, negli anni passati, è capitato di essere censurati, non si poteva parlare di mafia perché l’immagine del territorio ne veniva danneggiata. Un giudice che con la sua attività ha scritto un pezzo di storia del contrasto giudiziario alla corruzione in terra di Capitanata, Roccantonio D’Amelio, chiamato a descrivere in pubblico la realtà criminale della stessa, parlò di una territorio carsico, dove chi opera per concludere affari illeciti si fa strada in vie di circolazione sotterranea ed apparentemente, in superficie, nulla accade. Direi che questa definizione possa essere adattata a buona parte della nostra regione. Perfino la magistratura ha avuto difficoltà a riconoscere le caratteristiche peculiari dell’organizzazione di stampo mafioso delle nostre forme criminali. Ora molto è cambiato, si parla di mafia con più facilità. È importante, però, recuperare la memoria di quanto è accaduto, perché negli anni ci siamo persi alcuni passaggi della nostra storia. Un campo in cui c’è molto da fare è quello del recupero delle storie delle vittime innocenti delle mafie pugliesi. Negli anni in cui queste donne ed uomini che sono nate nel nostro territorio ed in questo si è consumata la loro vita e la loro morte tragica, la società che viveva loro intorno non aveva gli strumenti per capire quanto stava accadendo. “ Non si sapeva”. A ciò si aggiunga la nostra tradizione, tutta meridionale, di piangere le morti nel chiuso delle case, vestendosi a lutto e soffocando il dolore nel riserbo della famiglia. Questo è accaduto anche nel caso di morti non naturali bensì causate dalla mano di un altro uomo, spesso “mandato” da un boss della mala organizzata locale. Morire ammazzati, in molti dei nostri territori, era motivo di profonda vergogna, quasi da nascondere, sicuramente di cui non parlare. Questo ha facilitato l’omertà, la paura, la rassegnazione. Non è stato facile recuperare la memoria storica del nostro territorio ed è sicuramente un processo ancora in atto.
La storia dimenticata di Marcella Di Levrano. Venerdì compiamo un passaggio significativo, abbiamo voluto associare la presentazione di uno strumento importante ed unico nel suo genere come il Dizionario Enciclopedico delle Mafie in Italia, DEM, al racconto di una madre, che io definisco madre coraggio, Marisa Fiorani. L’abbinamento non è casuale ed è fortemente voluto. Marisa vive a Milano ma è originaria del Salento, così come lo era sua figlia, Marcella Di Levrano, per la precisione di Mesagne, terra della Sacra Corona Unita. Di Marcella da noi non si sa nulla, la sua storia è stata dimenticata. Pochissimi sanno che Marcella è stata uccisa dalla SCU ed abbandonata in un bosco all’età di 26 anni. La sua giovane vita è stata stroncata dalla mafia, dai loschi giri d’affari , Marcella ha capito che l’unica strada era denunciare i suoi aguzzini. Loro, però, i cattivi, lo sapevano, la seguivano, le chiedevano cosa avesse raccontato ai poliziotti. Per un po’ Marcella è riuscita a scappare, a farla franca, poi l’hanno rapita, Marcella non è tornata più a casa ed il suo corpo è stato ritrovato in un bosco vicino Brindisi. E’ una storia terribile, che fa paura ma di cui dobbiamo riappropriarci. Il caso giudiziario relativo all’omicidio di Marcella è fermo. Marcella è morta nel 1990, sono trascorsi 24 anni e questo lungo tempo ha coperto come una coltre pesante la necessità di una verità giudiziaria completa, che indichi con sicurezza gli assassini di Marcella. Chi le ha schiacciato la testa con la grossa pietra rinvenuta vicina alla sua testa? Chi lo ha ordinato? Queste domande appartengono a tutti, non solo a Marisa.
Un puzzle difficile da comporre. Se saremo bravi, se riusciremo ad accompagnare Marisa nella sua richiesta di giustizia, mite ma tenace, avremo scritto una pagina di antimafia sociale importante per il territorio, perché la verità è una conquista di tutti. La verità ci permette di capire il presente, alla luce di un passato che non ha più misteri. In tal modo avremo più strumenti per dare forza e coraggio a chi vive nella paura e non riesce a reagire ai meccanismi che la criminalità organizzata utilizza per schiacciare le nostre comunità, vedi l’usura ed il racket. Oggi la Puglia è una terra che accoglie più che in passato e abbiamo la possibilità di fare quello scatto in avanti che da anni attendevamo. Facciamolo sicuri di svoltare, convinti che ciò che è accaduto nel passato lo abbiamo superato ed in molti casi lo si sta ancora combattendo. La memoria è, appunto, un ingranaggio collettivo.
Daniela Marcone, figlia di Francesco Marcone,direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia, ucciso dalla mafia il 31 marzo del 1995. Referente per Libera Memoria in Puglia.
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