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Rassegna stampa 23 giugno 2014

di Cristiana Mastronicola il . Rassegne

La scomunica per chi adora il male – Il Corriere della Sera e La Repubblica riportano l’intervista al vescovo di Cassano dell’Ionio Nunzio Galantino, in seguito all’intervento di Papa Francesco, che, in visita alla città lo scorso sabato, si è scagliato contro la criminalità organizzata. Le parole del Pontefice, però, non si sono limitate alla denuncia, concretizzandosi invece nella scomunica dei mafiosi. Atto questo che, agli occhi del Vescovo di Casano all’Ionio, appare come motivo di grande emozione e gioia, aggiungendo che “però per noi il difficile comincia adesso”. Francesco ha scomunicato “i mafiosi che adorano il male”, ma bisogna ora comprendere come affrontare nella vita di tutti i giorni queste parole, come avere piena consapevolezza del loro significato. “Ci vuole una chiesa che non lasci soli i preti di frontiera”, dice Galantino: i sacerdoti e i vescovi delle zone in balia delle organizzazioni mafiose si trovano a dover affrontare ora situazioni inedite, con le note famiglie mafiose che da sempre hanno avuto un pesa anche nella vita religiosa del paese e ce di certo vorranno continuare ad averne. “Quando si presentano questi che vogliono farla da padroni, ricevere i sacramenti o addirittura gestendo una processione, è un problema”. Quello che il Vescovo della cittadina si propone di fare è riunire i parroci della diocesi e impostare un percorso formativo che rispecchi il pensiero del Pontefice: “la Chiesa denuncia da tempo questo peccato grave. Ma le parole di Francesco vanno oltre. La scomunica significa che ai mafiosi è preclusa la vita nella Chiesa. Hanno scelto il male come sistema di vita. E quando questo accade sei fuori dalla comunione”. La scomunica del Papa, secondo il vescovo Galantino, riguarda tutti, perché è in grado di metterci davanti ad una realtà importante e imprescindibile: “chiunque adori il male e ne faccia un sistema non è uno dei tanti peccatori che si possono aspettare il perdono da Dio o dalla Chiesa. Non basta la confessione. Ci deve essere un pentimento e una presa di distanza pubblica ed esplicita dal male, seguita da gesti concreti”.

Il Papa contro la mafia nella terra di Cocò – L’editoriale su La Stampa di Francesco La Licata riflette sull’importanza delle parole del Pontefice pronunciate in occasione della visita di sabato alla cittadina calabrese di Cassano dell’Ionio. L’autore dell’editoriale apre riportando alla memoria la guerra che negli anni si è combattuta, a distanza, tra Chiesa e mafia, “a fasi alterne, con esiti incerti”. è sempre stato fumoso l’intervento di Roma contro la strumentalizzazione religiosa che le mafie del Mediterraneo hanno saputo costruire. Rispetto a questo atteggiamento, la posizione ferma di Papa Francesco che si concretizza nella scomunica dei mafiosi assume un valore indubbio: per chi sceglie la strada nel male non può far parte della Chiesa. E pronunciate nella terra in cui il piccolo Cocò venne bruciato e ucciso dalla mafia, le parole del Pontefice assumono un sapore ancora più amaro: “è proprio questa chiarezza, questa condanna senza tentennamenti che può incidere nella dialettica sociale del Sud, ostaggio di ambiguità e ammiccamenti che da sempre finiscono per sostenere le mafie”. Secondo la riflessione di La Licata, non saranno di certo le parole di Bergoglio a scalfire la “coltre dura dei cuori e delle menti dei boss”. La mafia si è sempre servita esplicitamete del nome di Dio per ottenere quel consenso che fruttava soldi e potere. Il tutto senza una vera opposizione da parte della comunità ecclesiale, che, secondo La Licata “è intervenuta senza recidere il legame tenuto in piedi dalla labile speranza di poter recuperare le pecorelle smarrite. Non si può dimenticare che, proprio su questo equivoco, ha prosperato l’innaturale legame clerico-mafioso”. Matrimoni di boss in clandestinità, bambini battezzati alla presenza di padri latitanti e addirittura sacerdoti che celebravano messa nel covo del ricercato, senza che le autorità civili venissero informate. Per La Licata le parole di Francesco avranno, probabilmente, lo stesso effetto di quelle di Giovanni Paolo II che, nel maggio del 1993, aveva inaspettatamente condannato i mafiosi al castigo di Dio. Dopo venti anni le parole di Francesco tuonano più forti: “il gesto di Francesco è importante perché interrompe l’incertezza nella condanna dei mafiosi”. Nel 1982, al funerale del prefetto Dalla Chiesa, lo Stato pianse uno dei suoi uomini migliori, “forse pensando di aver così esaurito il proprio dovere”, ma l’intervento del cardinale Pappalardo zittì tutti e non piacque ai boss: “mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata”, gridò dal pulpito. Fu un gesto importante e pieno di speranza come quello arrivato da Wojtila a un anno dalle stragi di Capaci e via D’Amelia. I boss risposero con le bombe a San Giovanni in Laterano e al Velabro, ma – conclude La Licata – “la Storia ci dice che non hanno vinto perché non hanno fermato il cammino verso l’affermazione della volontà di Dio, che non può essere appannaggio di chi uccide anche i bambini”.

Le svolta delle parole di Francesco – Vito Mancuso su La Repubblica riflette sul concetto di scomunica, in seguito a quella comminata da Papa Francesco a tutti i mafiosi, lo scorso sabato a Cassano dell’Ionio, in provincia di Catanzaro. Ripercorrendo l’utilizzo che la Chiesa ha fatto nei secoli di quella che è da considerarsi a tutti gli effetti la più grave delle sanzioni del diritto penale ecclesiastico, Mancuso arriva ai giorni nostri, alle ultime scomuniche e al valore che il gesto assume e dovrebbe assumere nella comunità cristiana. Spesso la scomunica fu utilizzata dai papi come arma politica, tutt’altro che pena dell’anima, sorte spettata, ad esempio, a Napoleone o a Elisabetta I o alla Repubblica di Venezia con tutti i suoi abitanti. Oppure nel 1949 con la scomunica a tutti gli iscritti al Partito Comunista. “La durissima arma del bando – continua Mancuso – fu usata anche contro la libertà di coscienza in materia di teologia”, come fu per Ian Hus e Girolamo Savonarola. Ma è anche cronaca di oggi. Come ci riferisce Mancuso, la chiesa di Papa Francesco ha scomunicato, il 18 settembre 2013, il sacerdote australiano Greg Reynolds per aver promosso l’ordinazione sacerdotale delle donne e il riconoscimento sacramentale delle coppie gay. Stessa sorte è toccata alla teologa cattolica austriaca Martha Heizer, presidente del movimento internazionale ‘Noi Siamo Chiesa’, per le stesse motivazioni. Sabato Papa Bergoglio ha scomunicato i mafiosi perché “adorano il male e disprezzano il bene comune”. Quello che si chiede Mancuso è se sia giusto comminare la stessa pena “a criminali che adorano il amle e a sinceri credenti che cercano (magari anche forzando i tempi) di rendere la Ciesa davvero una casa accogliente per tutti. Me lo chiedo e sento che sia giusto rispondere che non lo è”. Qual è l’importanza della scomunica oggi? In cosa consiste? Un tempo alla scomunica seguivano conseguenze concrete che prevedevano l’esclusione vera e tangibile dalla comunità. Oggi, secondo il pensiero di Mancuso la scomunica è lontana da questa visione, “essa semplicemente prevede che lo scomunicato non possa prendere parte alle celebrazioni liturgiche e assumere incarichi ecclesiali. Fine della trasmissione. Ovvero il massimo della pena per sinceri credenti come il presidente di ‘Noi Siamo Chiesa’”. Mancuso afferma che è improbabile che le coscienze di criminali incalliti come gli affiliati delle cosche soffriranno particolarmente per questa nuova situazione. Ad avere importanza è, però, il peso simbolico insito nel gesto di Francesco: “la scomunica colpirà la narrazione pseudo simbolica che la mafia fa di se stessa, aiuterà a recidere i rapporti che i boss hanno avuto con le chiese locali”, e, oltre a mettere parroci e vescovi di fronte ad una responsabilità rinnovata, andrà ad incidere su quel consenso sociale di cui la criminalità organizzata si nutre. La scomunica, quindi, diviene un’arma importanta. Meglio, aggiunge Mancuso, se non fosse accompagnata da un utilizzo che ricorda tanto quello del periodo meno radioso della chiesa.

La mafia tra santini e Madonne – Attilio Bolzoni porta avanti, su La Repubblica, una valutazione di quello che è il rapporto viscerale e ambiguo che lega i boss di Cosa Nostra alla Chiesa. Il confine invisibile tra malavita e Chiesa è sempre stato un tratto caratterizzante delle organizzazioni mafiose del Mediterraneo: da Cosa Nostra alla ‘Ndrangheta alla Camorra, tutti agiscono in nome di Dio. Tutti sono religiosissimi e tutti hanno in tasca sempre un santino della Madonna, di Cristo o del Santo di turno. Anche le riunioni, quelle più importanti, quelle strategiche in cui si decide tutto vengono svolte in luoghi sacri: il 2 settembre, ad esempio, la ‘ndrangheta si ritrova al Santuario della Madonna dei polsi. Bolzoni riprende citazioni e confessioni dei pezzi da novanta della mafia e di quella comunità ecclesiale ad essa adiacente. Riporta le parole dell’Eminenza Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo, che – come dice Bolzoni – benediceva notabili e boss mentre stavano facendo brutta una delle città più belle del mondo. “Che cos’è la mafia? è un’invenzione dei comunisti”. Dall’altra parte, Gaspare Pisciotta, cugino traditore di Salvatore Giuliano, affermava, durante il processo per la strage di Portella di Ginestra, “Siamo un corpo solo: banditi, polizia e mafia, come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo”. Nel linguaggio come nella vita concreta, la vicinanza della Chiesa alle organizzazioni mafiose – e viceversa – sembra palese. Addirittura è nota la presenza di veri e propri sacerdoti nelle vesti di “uomini d’onore”: “Gesù Gesù, anche un parrino in Cosa Nostra”, aveva esclamato Antonino Calderone nel momento in cui gli fu presentato il parroco di Carini Agostino Coppola, lo stesso che qualche anno prima aveva sposato il boss dei boss Totò Riina e Antonina Bagarella. E’ nota poi la profonda venerazione di Bernardo Provenzano che, nel covo di Montagna dei Cavalli, ha lasciato una sfilza lunghissima di santini e altre raffigurazioni sacre; per non parlare di tutte le lettere che lo stesso boss inviava alla moglie, tutte con lo stesso incipit: “Io con il volere di Dio..”. “Esiste un Dio dei mafiosi? Esiste ed è un Dio cattivo – dice Bolzoni – piegato alle loro regole, un Dio che trasforma il bene in male. Così non c’è mai conflitto tra la fede e l’adesione ai principi dell’organizzazione”. Nonostante Papa Wojtila avesse urlato, ad Agrigento nel 1993, “mafiosi, convertitevi”, la chiesa si è sempre mostrata spaccata sulla questione mafia. E’ sempre mancata quell’unità necessaria alla svolta. L’uccisione a Palermo di don Pino Puglisi prima e di don Peppe Diana lo testimoniano. “Ci sono preti e preti”, dice Bolzoni, “i mafiosi sono tutti uguali”. Sorelle suore, zii vescovi e fratelli parroci non sono serviti a fermare la furia dei vari boss mafiosi che, anzi, si sono sempre rimessi alla protezione di Dio, con tanto di messa quotidiana. Antonina Brusca, madre di Giovanni accusato della strage di Capaci, difendendo il figlio afferma: “Dio sa bene come stanno le cose, io Giovanni l’ho cresciuto su con la religione, io sono una dama di carità, io sono un persona umana e lo Spirito Santo illuminerà la mente dei giudici”. Bolzoni conclude riportando le parole di Giuseppe Guttadauro, medico e capomadamento di Brancaccio, a proposito di mafia e chiesa: “Il peccato di mafia non esiste. Dove sta scritto questo peccato? Trovati un prete intelligente che capisca queste cose”.

 

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