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Noi ci saremo

di Santo Della Volpe il . L'analisi, Senza categoria

Torneremo nell’aula della Corte d’Assise di Bologna, fino a quando il processo a Nicola Femia, accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso, arriverà a sentenza. Con Libera Emilia Romagna, con i ragazzi delle scuole che seguono il processo e soprattutto a fianco di Giovanni Tizian, il collega giornalista che questo signore, un vero boss nelle imputazioni come negli atteggiamenti, nelle sue dichiarazioni in aula continua a citare come la causa dei suoi guai giudiziari. Dopo averne parlato, in una intercettazione telefonica di due anni fa, con un altro imputato della ‘Ndrangheta, Guido Torello, in modo tale da far capire che se avessero sparato in bocca a Giovanni Tizian, gli avrebbero fatto un favore. Anche nell’udienza del 30 maggio, è tornato a rendere dichiarazioni spontanee accusando nuovamente Giovanni Tizian,nonostante la nostra presenza in aula, come Libera Informazione con l’Ordine dei Giornalisti (nazionale e dell’Emilia Romagna), lo scrittore Carlo Lucarelli ed altri colleghi giornalisti.

Abbiamo deciso che torneremo in aula a fianco di Giovanni, quando abbiamo guardato bene il volto di questo signor Nicola Femia, quando il presidente della Corte d’Assise ha annunciato che avrebbe disposto la trasmissione in Procura delle registrazioni delle accuse di nuovo ripetute contro il collega Tizian. “L’imputato può comunque decidere di ritirare le sue parole” ha detto rivolto al difensore di Femia. Ma l’imputato, dietro le pareti spesse di vetro della “gabbia”, è rimasto impassibile, il volto serrato: non è tornato sui suoi passi, non ha rettificato di una parola quanto detto in questa udienza ed in quella precedente, quando aveva dichiaratori di “aver avuto la custodia in carcere per un giornalista; non c’è una denuncia, non c’è un capo di imputazione. Mi devo difendere. Non posso riassumere 14 mesi di ingiustizie, rispondo di cose inesistenti” aveva concluso, minacciando così direttamente Giovanni Tizian. Colpevole di aver fatto inchieste giornalistiche su quel giro di “macchinette” da gioco, “slot machine” illegali che Femia controllava in Emilia Romagna e che gli hanno procurato soldi (moltissimi) e potere, controllato con i mezzi ferrei della nuova ‘ndrangheta. Intercettati, seguiti, controllati dalla Guardia di Finanza, dai Carabinieri, la DDA di Bologna ne aveva ordinato l’arresto insieme ad altri 12 imputati per associazione mafiosa, tutti a giudizio. Tra questi ci sono i due figli di Femia, Rocco Maria Nicola e Guendalina, e il genero, Giannalberto Campagna. Una indagine iniziata l’11 gennaio 2011, quando un immigrato denuncia di essere stato rapito vicino Imola da tre persone che, puntandogli contro una pistola, lo minacciarono di fare intervenire “mafiosi calabresi, per metterlo apposto”. Da qui la scoperta da parte delle fiamme gialle di un sistema che arrivava fino in Gran Bretagna e in Romania, dove erano state aperte delle società che gestivano il gioco online secondo il diritto di quel Paese. Femia e la sua organizzazione, secondo il pm Caleca, commercializzava macchinette con schede truccate così da celare al Fisco l’ammontare reale delle giocate. Le prove stanno per essere portate nell’aula della Corte d’Assise, sarà la Corte a giudicare.

Ma intanto Femia è imputato, e Giovanni Tizian, con Libera, l’Ordine dei Giornalisti e noi tutti al suo fianco, è parte civile, parte lesa. E’ Tizian a vivere sotto scorta solo per aver fatto il suo lavoro di inchiesta. Ed è l’imputato che non deve e non può minacciare nessuno, né fuori né tantomeno dentro un’aula di Corte d’Assise. Ancor più grave è la minaccia diretta ad una parte lesa, per di più se giornalista. A Giovanni Tizian questo signor Femia deve solo chiedere scusa se vuole tornare a nominarlo. L’imputato Femia invece dimostra solo odio verso l’informazione e quei giornalisti che parlano di lui come un imprenditore di Modena che gestisce traffici illeciti e per questo in carcere, imputato di essere molto vicino alla ‘ndrangheta. Per questa collusione con la criminalità organizzata è ora processato. Glielo leggevamo nel volto, stupito per altro, di vedere in aula tante persone e tanti giornalisti che lo guardavano fisso, sino a fargli girare il volto da un’altra parte. Si professa innocente, indossa gli abiti e lo stile del nuovo imprenditore che fa soldi, si stupisce persino di essere in galera, perché lui “porta ricchezza”… E’ il volto della nuova ‘ndrangheta emergente insediata nel centro nord dell’Italia: così lo descrivono gli atti processuali che l’hanno portato al rinvio a giudizio. Arrogante, della sua origine calabrese porta nella sua attività solo gli aspetti deteriori. L’organizzazione del potere, degli affari illeciti e dei soldi, delle minacce: per i magistrati che l’hanno fatto arrestare, ha il ruolo ed il volto di chi non accetta le regole della legalità (tra le quali fondamentale è il rispetto dell’informazione). Anche quella maglietta nera, indossata in aula in modo guascone, fa parte del rito: soldi e minacce. Femia per ben due udienze ha parlato di “gogna mediatica” attivata nei suoi confronti ed è tornato a prendere di mira Tizian, l’ultima volta pronunciando per quattro volte il nome del giornalista. Secondo il difensore del presunto boss “non si tratta di minacce”, ma “solo di un chiarimento”. A tutti, compreso il presidente della Corte che lo ha interrotto, quelle parole, hanno invece il chiaro volto di una pesante intimidazione. Per questo torneremo in aula, a Bologna, soprattutto quando sarà chiamato a testimoniare Giovanni Tizian. Con Libera e l’Ordine dei Giornalisti, sapendo che Verità e Giustizia sono percorsi indissolubilmente intrecciati alla libertà d’informazione nella ricerca della legalità e della verità. E rispedendo al mittente ogni forma di minaccia verso Tizian, verso i giornalisti e l’informazione libera.

 

 

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