Ciotti: “Antimafia? E’ una parola che va eliminata”
Il termine “antimafia”? Una di quelle parole «una volta nobili e ora snaturate da un uso superficiale che le ha rese inservibili». In un’intervista a “l’Espresso” nel numero in edicola venerdì 30 maggio, Don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e promotore di Libera, prende le distanze dalla retorica dell’antimafia. A 50 anni dai voti sacerdotali, ricostruisce la sua vita di prete di periferia e parla del nuovo papa. «Ora l’aria è cambiata. Pensi che Francesco ha avuto persino l’umiltà di dirmi: “Mi mandi qualche appunto sulle mafie”».Che cosa gli ha scritto? «Quello che so e quello che va cambiato. A cominciare da parole una volta nobili e ora snaturate da un uso superficiale che le ha rese inservibili. Oggi tutti parlano di pace, di diritti, di giustizia e soprattutto di legalità, che è diventata fluida, malleabile, piegata ai bisogni di chi la pronuncia. L’uguaglianza di fronte alla legge ha bisogno di uguaglianza sociale, altrimenti la legalità diventa una discriminazione tra chi sta bene e chi tira la cinghia. Per non parlare dell’antimafia. E’ ormai una carta d’identità, non un fatto di coscienza. Se la eliminassimo, forse sbugiarderemmo quelli che ci hanno costruito sopra una falsa reputazione. Per fortuna anche qualche politico lo ha capito. Rosy Bindi, presidente della Commissione antimafia, all’inizio criticata perché ritenuta incompetente, è stata qui ore e ore ad ascoltare con umiltà la nostra esperienza, ha approfondito e oggi si muove molto bene in un territorio scivoloso e difficile, a cui l’etichetta di antimafia non aggiunge niente. Anzi». Proponga allora una parola nuova?«Responsabilità. Sembra semplice, ma è la più impegnativa e basterebbe da sola a cambiare le cose».
Intervista di Stefania Rossini sull’Espresso in edicola venerdì 30 maggio
*A cura di Libera
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