Cagliari. In memoria dei giornalisti uccisi
www.ossigenoinformazione.it – Ricordiamo i morti, ma prima che li ammazzino o si ammazzino, rispettiamo i giornalisti vivi”. Lo ha detto il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Enzo Iacopino, durante la settima Giornata della memoria dei giornalisti uccisi da mafie e terrorismo, manifestazione organizzata dall’Unione cronisti italiani (Unci) che si svolge il 3 maggio e che quest’anno si è tenuta a Cagliari. Nel corso dell’evento sono stati ricordati i 28 giornalisti uccisi in Italia dal dopoguerra, dall’assassinio mafioso di Cosimo Cristina nel 1960 all’omicidio di Vittorio Arrigoni nella striscia di Gaza nel 2011.
La Giornata è stata un’occasione, per i media, per ricordare gli ultimi dati diffusi da Ossigeno sulle minacce ai giornalisti. Ne hanno parlato, fra gli altri, Radio Vaticana, Unimondo.org e Tiscali Notizie. All’evento di Cagliari hanno partecipato numerosi familiari delle vittime. Gli interventi hanno testimoniato non solo il dolore per le vite spezzate, ma anche la difficoltà e la solitudine vissuta dalle famiglie per onorare con la verità le morti dei propri cari. Il primo a parlare è stato Fulvio Alfano, che riferendosi alla morte del padre Beppe, ucciso in Sicilia dalla mafia nel 1993, ha detto: “Allora avevo dieci anni”. Il figlio del giornalista, scosso ancora dal dolore, non ha aggiunto altro.
La moglie di Beppe ha parlato invece del tentativo di screditare suo marito dopo la morte: “Non solo ci hanno lasciato soli – ha detto Mimma Barbaro – ma è stata anche infangata la memoria di Beppe. A turno hanno cercato di spiegare la morte in vari modi tirando in ballo donne o debiti. Tutto falso, tutti sapevano che era un morto che camminava. Gli avevano detto: tu non arrivi al 20 gennaio. E infatti è stato ucciso l’8 gennaio. Un colpo di pistola in bocca, come dire: Alfano stai zitto”.
Elena Fava, figlia di Pippo (altro giornalista ucciso in Sicilia dalla mafia, nel 1984) ha parlato della necessità, per i cronisti, di non rimanere isolati: “Mio padre – ha detto – ha pagato per un vizio terribile: quello di raccontare la verità. Dopo la sua morte sono iniziati depistaggi e diffamazione, ma noi abbiamo combattuto. I giornalisti non devono restare soli, devono essere sostenuti dai colleghi. La solitudine uccide molto più di un’arma”.
Giulio Francese ha raccontato la battaglia di suo fratello Giuseppe per fare luce sulla morte di loro padre Mario, giornalista,anche lui ucciso dalla mafia, a Palermo nel 1979: “Per 26 anni – ha spiegato – nostro padre non è stato ricordato come vittima della mafia”. Una volta ottenuta giustizia, Giuseppe si è tolto la vita. Il giornalista Franco Piccinelli è stato invece gambizzato dalle Brigate Rosse nel 1979: “Dalla finestra di casa – ha raccontato il figlio Paolo – ho visto gran parte della scena”.
Franco Siddi, segretario della Fnsi, ha detto che i 28 giornalisti uccisi da mafia e terrorismo rappresentano un esempio di impegno per i cronisti di oggi, ed ha parlato della difficile situazione lavorativa della categoria: “Di fronte alla crisi e alla chiusura dei giornali – ha spiegato – non possiamo fare molto. Ma andiamo dovunque ci sia bisogno di mettere in risalto certe situazioni”.
DF
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