Le “favole” sui tagli alle scorte raccontate dal ministro dell’Interno
Alcuni giorni fa, il ministro dell’interno Alfano ha emanato una direttiva (l’ennesima in materia), indirizzandola ai prefetti delle province interessate (e per conoscenza ai questori), perché rivedano ( “rivalutino”) le procedure operative ed organizzative della protezione e tutela delle persone esposte a specifici rischi. La lettera, in realtà, richiama una precedente direttiva ministeriale del 2012 con cui il Ministro dell’Interno del tempo, sollecitava le autorità di pubblica sicurezza periferiche ad un riesame delle scorte per evitare sprechi di risorse umane. La finalità della direttiva sarebbe seria (perché si tratterebbe di recuperare personale delle tre forze di polizia attualmente impegnato in tali servizi) se si pensasse realmente di dare un “giro di vite” in un settore dove sprechi ce ne sono molti. Ci hanno timidamente provato almeno sei Ministri dell’Interno negli ultimi dieci anni. Risultati? Zero. Si tratta di una porzione consistente di risorse umane (circa 3 mila operatori) e di risorse materiali (centinaia di veicoli, molti blindati) delle tre polizie italiane. Ci sono, poi, altre scorte che vengono svolte da agenti della Polizia Penitenziaria a personalità istituzionali di vertice del Ministero della Giustizia e di particolari uffici giudiziari. Tali servizi “protettivi” vengono, di norma, predisposti in relazione a situazioni di rischio locali evidenziatesi e a valutazioni rimesse al prefetto della provincia interessata, in sede di apposite “riunioni di coordinamento” interforze, con un’adeguata attività istruttoria dell’apposito Ufficio Provinciale per la Sicurezza Personale, istituito presso ogni Prefettura-Ufficio Territoriale del Governo, sulla scorta dei contributi informativi del questore, dei comandanti provinciali dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e di eventuali altre autorità interessate alla questione.
La motivata proposta sulla adozione, la modifica o la revoca della misura di protezione viene, quindi, inoltrata all’UCIS (Ufficio Centrale per la Sicurezza Personale, istituito con la legge 133/2002, nell’ambito del Dipartimento della Pubblica Sicurezza) che assume la determinazione finale comunicandola al prefetto e al questore della provincia interessata. In generale, la tendenza è quella di disporre tali servizi graduandone, naturalmente, la specificità ( il livello) in relazione ad alcuni parametri, da valutare, come l’incarico rivestito dalla persona da tutelare, il contesto ambientale in cui il pericolo e la minaccia sono maturati, l’analisi della minaccia – e la sua credibilità – con riferimento alla organizzazione criminale da cui promana, ogni altro elemento informativo che supporti l’esistenza di tale pericolo. Si passa, in estrema sintesi, dal livello più basso di due agenti a “tutela”con autovettura, sino ad arrivare a più operatori di scorta, su autovetture diverse da quella protetta (blindata) su cui prende posto il “tutelato”, con autista. Una volta concesso il servizio riesce sempre difficile revocarlo o attenuarlo e le valutazioni situazionali, che vengono fatte periodicamente (di norma, almeno quindici giorni prima della scadenza della misura in corso), propendono, quasi sempre, a far proseguire il servizio. Per (quasi) tutti, alla fine, la scorta diventa quello che più volte è stato detto: un sorta di status symbol, di prestigio, di rispetto. Qualche volta ha fatto anche comodo per fare la spesa o per accompagnare i figli a scuola, evitando, così, la seccatura di dover ricercare un posto dove parcheggiare. E, diciamolo francamente, anche per gli stessi operatori delle forze di polizia (che devono aver frequentato un apposito “corso scorte”) spesso, in particolare a livello centrale, questo servizio può essere fonte anche di gratifiche personali. Il punto è che in gran parte dei paesi dell’UE, tolti i massimi vertici governativi, non vi è traccia di scorte a personaggi politici anche di “seconda fascia”, né ai vari “ex” che hanno ricoperto importanti incarichi istituzionali né, tantomeno, a direttori di giornali, della televisione, a sindacalisti, a semplici parlamentari. E’ difficile riscontrare una situazione del genere persino in paesi dove, per esempio, la criminalità organizzata è particolarmente violenta.
In Messico, in Colombia, in Honduras, in Giamaica, a El Salvador, solo per citarne alcuni dove la violenza è notevole, è difficile vedere personalità o magistrati o parlamentari scortati. E nei casi in cui capita, il servizio di protezione non prevede certo l’accompagnamento in un resort a fare massaggi rilassanti nei fine settimana come è capitato di vedere, più volte, ad Erbusco (Brescia). In alcuni casi, poi, (vedi Bolzano), nonostante il parere sfavorevole delle autorità di pubblica sicurezza locali, l’UCIS ha egualmente disposto la “protezione” a due ex rappresentanti governativi. Difficile pensare, in quest’ultima situazione, ad una “protezione” collegata a “pericoli o minacce, potenziali o attuali, correlati al crimine organizzato, al traffico di stupefacenti, di armi ecc..” L’aspetto più “divertente” (si fa per dire) della nuova direttiva di Alfano è quello di richiamare, come sopra accennato, la precedente ( di tre anni fa) con cui i prefetti avrebbero dovuto accertare la “possibilità” da parte del tutelato ( o della sua Amministrazione) di mettere lui a disposizione un’autovettura con autista. Un sorta di “contributo” alle “spese”statali che, naturalmente, non c’è mai stato. E qui mi fermo perché le favolette dei politici mi rendono particolarmente triste. I cittadini meritano rispetto. Quello che la classe dirigente politica non riesce più a dare. Da tempo.
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