Caso Despar, lo Stato sia al fianco dei lavoratori
Le sentenze di condanna del boss latitante Matteo Messina Denaro non hano solo ricostruito le sue sanguinarie azioni, ma anche le allegre ed eleganti abitudini. Mania per i video giochi a parte, il padrino di Castelvetrano raccontano i pentiti che lo hanno frequentato è anche un sopraffino amante dello champagne. Solitamente usato per accompagnare le cene con le donne delle quali spesso si è attorniato, ma anche per brindare a qualcuna delle sue imprese mafiose. Certamente è una abitudine che non avrà abbandonato. Ecco oggi è facile immaginarlo con una bottiglia di champagne vicino intento a brindare. A cosa? Al fallimento di una delle sue più importanti società, i Despar. Chissà se il suo socio, Giuseppe Grigoli, in carcere possa fare altrettanto. Ma almeno col pensiero brinderà anche lui. Un gruppo commerciale dal valore di 750 milioni di euro che oggi è arrivato sul punto di fallire. Cinquecento lavoratori che se questo accadesse si ritroveranno disoccupati.Il gruppo 6 Gdo di Castelvetrano che per anni ha sovrainteso a decine e decine di supermercati della catena Despar in mezza Sicilia, confiscato da qualche anno, è vicino al crac. Lo scenario non è nuovo.
L’impresa confiscata di colpo si ritrova abbandonata e osteggiata. Ciò che banche, fornitori, concedevano a quel gruppo quando lo governava Grigoli (e Messina Denaro), non è stato più concesso quando a loro è subentrato lo Stato con l’amministratore giudiziario. Non è servito a tanto un protocollo d’intesa con le banche che fu platealmente sottoscritto anni addietro dai rappresentanti degli istituti bancari creditori e l’allora vice ministro dell’Interno, Mantovano, le banche sono rimaste a batter cassa come sempre. Oggi i lavoratori giustamente protestano, hanno ragione. Ma tra loro c’è stato chi ai tempi del duo Grigoli/Messina Denaro magari non diceva nulla se pagato in nero o costretto a restituire parte dello stipendio. Tra quei dipendenti c’erano i familiari di Messina Denaro e i familiari di altri mafiosi. Era l’epoca in cui i sindacati piede in azienda non ne potevano mettere, non c’era nessuno che apriva loro le porte, e poi come dimenticare che all’indomani dell’arresto di Grigoli ci fu chi a Castelvetrano si preoccupò di far sottoscrivere una petizione di solidarietà. Scene già viste rispetto alle quali lo Stato continua a presentarsi impreparato. Tanti possono avere responsabilità, ma sono le istituzioni ad avere le prime. Da anni si sente dire che la norma deve essere cambiata, ma ciò non avviene. Magari avverrà nei prossimi mesi per la caparbietà che alcuni hanno deciso di mettere in campo, ma per i Despar non c’è quasi più tempo. Non possono attendere la riforma della legge. Il travaglio dei lavoratori è sotto gli occhi di tutti e non ci si può girare dall’altra parte. Non possiamo non evitare di vedere che mentre c’è un centro commerciale a Castelvetrano, il Belicittà, struttura al vertice del gruppo 6 Gdo, rischia di chiudere, a Castelvetrano un altro centro commerciale sta aprendo i battenti, insomma la crisi c’è ma non c’è per tutti. Come accadeva a Trapani anni addietro. La Calcestruzzi Ericina vedeva il crollo delle commesse dopo la confisca, e altre imprese di produzione di calcestruzzo invece scalavano il mercato, e gli operai delle imprese che facevano affari incontravano gli operai dell’Ericina dicendo loro che da lì a poco sarebbero rimasti senza lavoro. Come fin ì è cosa nta e soprattutto nota lo è diventata ancor di più in questi giorni ricordando il prefetto Fulvio Sodano, scomparso il 27 febbraio scorso, che salvò la Calcestruzzi Ericina. Oggi questa impresa lavora gestita dalla cooperativa costituita da quegli operai che dovevano restare senza occupazione. Per il gruppo Despar questa è l’unica prospettiva anche se è difficile pensare che tutto l’impero possa essere salvato. A meno che non arrivi un nuovo gruppo pronto a rilevare ogni cosa, cosa che l’agenzia dei beni confiscati sostiene essere ancora possibile. Indubbiamente gli anni di gestione straordinaria non è stata rosa e fiori. L’amministratore Ribolla spiega che si è trovato a fronteggiare 80 milioni di debiti e di averne coperto solo una minima parte. Intanto però avrebbe proseguito a rifornire supermercati che non pagavano le forniture o a pagare sponsorizzazioni sportive che forse non erano del tutto necessarie. A sostenere aumenti di capitale per altre società consorelle che poi però sono fallite ugualmente.
I Despar di Grigoli e Messina Denaro sono attualmente l’emblema di uno Stato incapace di fare la lotta alla mafia concretamente. Speriamo di poter dire in seguito di uno Stato che cambi passo nella gestione delle aziende confiscate alla mafia e si faccia avanti e faccia sentire la propria voce e riesca a fare un coro con i lavoratori che chiedono di non diventare disoccupati.
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