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Lazio, processo ai clan. Gaspare Spatuzza: “Triassi comandavano su Ostia”

di Norma Ferrara il . Lazio

E’ la storia di una alleanza “possibile” fra Cosa nostra e una “base” logistica per gli affari di mafia a Roma, quella raccontata dal pentito Gaspare Spatuzza, attraverso un video collegamento nell’aula del tribunale presso il carcere di Rebibbia, lo scorso 20 febbraio. Ma anche la storia di un narcotraffico internazionale e del controllo di un territorio, di attività economiche e commerciali. La verità del pentito, quella che conosce direttamente e quella che intuì, fra il 1995 e il 1997, data in cui l’uomo che ha contribuito a riscrivere la storia delle “stragi del ’92-’93” viene arrestato. Il cosiddetto “processo Fasciani – Triassi” diviso in tre diversi percorsi giudiziari (fra rito ordinario e abbreviato) vede imputati alcuni componenti della famiglia Triassi (siciliani di Agrigento) e i Fasciani, abruzzesi d’origine e cresciuti nella Capitale. Nell’udienza che si è svolta a Rebibbia, quasi tutti gli imputati erano in collegamento da diverse località tramite video. In aula, alcuni giornalisti, gli avvocati della difesa e delle parti civili e infine, fra i banchi riservati al pubblico, oltre 15 giovani che hanno seguito l’udienza. I ragazzi, in rappresentanza delle parti civili ammesse al processo, prendono appunti, nelle pause si confrontano fra loro sulle dichiarazioni dei testimoni, cercano di districarsi nel linguaggio complesso e formale di un processo che ha offerto alcuni spunti importanti di riflessione per conoscere il territorio e l’avanzata dei clan alle porte di Roma. Una udienza, quella in cui ha deposto il collaboratore di giustizia siciliano che ha visto anche qualche momento di tensione. Fra le altre, le accuse di un imputato contro il pm del processo (“Questi pm che usano me per colpire altri”, dice) contro la stampa presente in aula e contro il primo testimone in video conferenza (“E’ una pagliacciata, questo viene da Palermo per dare fastidio a me” – inveisce uno di loro)

Spatuzza: “I Triassi comandavano su Ostia”. Parte da un contrasto per il controllo del traffico di droga il coinvolgimento di Gaspare Spatuzza, all’epoca riferimento principale per la famiglia di Brancaccio e il mandamento di corso dei mille a Palermo e finisce con un tentativo di accordo con i Triassi, la storia che incrocia i sistemi criminali romani e il gotha di Cosa nostra nella metà degli anni ’90. «Nel ’95 quando ero capofamiglia di Brancaccio – spiega Spatuzza – vennero da me i fratelli Garofalo, all’epoca in rapporto con un certo Pino, a Roma. Mi spiegano che questo Pino si trovano in disaccordo con i fratelli Triassi a Roma e chiedeva, in sostanza, il mio intervento per ucciderli. Io ero, in quegli anni, interessato a trovare una base su Roma, così iniziai a prendere informazioni su questi Triassi e mi dissero che erano imparentati con i Caruana, originari di Siculiana: ovvero, trent’anni di mafia dentro Cosa nostra». Così, l’attuale pentito di Cosa nostra, allora a capo di un potente gruppo di fuoco “peggio dei Talebani” – come afferma durante la deposizione – si informa sulla reale consistenza criminale dei Triassi, sul loro rapporto con i Caruana, e – “anche se non ne avevo bisogno” dice in videoconferenza, chiede una sorta di lasciapassare per “risolvere” la questione romana ai vertici di Cosa nostra. Due viaggi a Roma e poi tutto viene ribaltato e anche gli equilibri fra i Fasciani e i Triassi. Spatuzza racconta del suo soggiorno a Ostia, delle sue perplessità su Pino e del suo cambio di fronte, sino alla richiesta di incontrare i fratelli Triassi (già assolti in altro processo dall’accusa di narcotraffico, ndr) cosa che puntualmente avvenne. «Quando sono a Roma – afferma – vengo a sapere di alcune cose che riguardano questo Pino, cose non mi aveva detto e che me lo fanno ritenere poco affidabile. Cosi, poiché io ero interessato ad una base su Roma, ho pensato che fra i due erano più affidabili i Triassi e ho detto al Garofalo di farmeli incontrare». «Ricordo – dice Spatuzza – che li incontrai davanti ad un Bar ad Ostia, ed era inverno, nei mesi di febbraio e marzo. Dietro i Triassi, come mi avevano detto, c’erano i Caruana quindi per me erano una garanzia. Poi, per fortuna, sono stato arrestato e tutto s’è bloccato. Posso dire con certezza che la cosa avrebbe portato ad una alleanza con i Triassi, potenziale punto di riferimento su Roma». Ma il racconto di Spatuzza non è solo la storia di una alleanza programmata e poi interrotta a causa del suo arresto, il pentito del quartiere Brancaccio di Palermo durante la sua deposizione, scatta anche una fotografia degli affari criminali dei Triassi su Ostia: talvolta quello che ha saputo direttamente, altre quello che ha visto muovendosi sul territorio romano in quei giorni con Pino e i fratelli Garofalo. «I Triassi – da quello che potevo vedere e che mi dicevano – comandavano su Ostia, dettavano legge nel quartiere e gestivano traffico di droga […] per questo Pino voleva farli fuori; ma non si trattava di spaccio si trattava di far arrivare grosse quantità di droga, hashish, cocaina e altre droghe da dove li producono, dall’estero. Loro utilizzavano, da quello che ho capito, la stessa modalità che avevamo utilizzato noi di Cosa nostra quando ci siamo occupati di questi traffici. Seguivamo tutta la filiera, non soltanto l’arrivo ma direttamente dalla produzione e sulla droga c’era una sorta di timbro, come dire… un “codice a barre”, che indicava che era un carico controllato, che era puro, che era nostro…». Spatuzza racconta, dunque, un dominio dei Triassi nel narcotraffico internazionale che giunge alle piazze romane ma anche un metodo di controllo capillare, che incide soprattutto sulle attività economiche del territorio. Spatuzza dice «So che gestivano palestre, bar e altre attività e che su Ostia erano punto di riferimento per la malavita». «Non so se avevano messo in piedi una gestione struttura come quella di Cosa nostra, verticistica intendo – dice Spatuzza rispondendo ad una domanda dell’avvocato di parte civile ma a Roma sono venuto a conoscenza del fatto che loro gestivano attività illecite con una metodologia che assomigliava per me a quella di Cosa nostra». L’udienza continua con l’interrogatorio di alcuni esponenti delle forze dell’ordine, commissari di polizia, che hanno coordinato le indagini  e redatto le informative, dettagliate, sugli affari illeciti portati avanti dai Fasciani – Triassi su Roma. Dalla pax mafiosa per gestire le attività, alle mani sul porto di Ostia, sino alle numerose partecipazioni ad Srl, il racconto di una scalata criminale che – secondo l’accusa – attraversa il tessuto socio-economico non solo del litorale romano ma che arriva sin dentro al cuore della città. In particolare, un lungo elenco di intercettazioni telefoniche e ambientali, riporterebbero in presa diretta l’infiltrazione nel tessuto economico di un sistema criminale, attraverso l’uso della violenza, come dimostra il lungo elenco di episodi criminali: incendi, danneggiamenti, intimidazioni, minacce alle tantissime attività commerciali e balneari a Ostia.

“Telecamere non gradite”. Durante l’udienza si decide, inoltre, se accettare la richiesta di alcune testate giornalistiche radiotelevisive che vorrebbero seguire il processo Fasciani-Triassi. Si pronunciano per il “no” alle riprese sia il pm che porta avanti l’accusa nel processo (“per questioni di sicurezza”) che quasi tutti i gli avvocati della difesa che parlano di “giornalisti non graditi in questo processo”, di “rischio di un processo mediatico” di “tutela degli imputati”. Sono a favore della presenza dei giornalisti radiotelevisivi gli avvocati di parte civile “perché i cittadini possano conoscere nel merito il processo” e un avvocato della difesa “perché i cittadini sappiamo come e’ amministrata la giustizia”. Il presidente della Corte, dopo qualche minuto di sospensione, decide che sarà possibile per le telecamere stare in aula a patto di non riprendere in volto gli imputati e i partecipanti al processo e trasmettere in differita le immagini delle udienze. Per i colleghi dei tg un significativo stop, in sostanza, per le cronache dal tribunale.

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