Le mani dei clan sugli stabilimenti balneari
I tentacoli della mafia salentina sugli stabilimenti balneari. Questo emerge dall’inchiesta della Procura di Lecce. I clan allungano le loro mani anche sulle bellezze naturali del Salento. Il turismo che dovrebbe essere volano e punto di forza dell’economia del Tacco d’Italia, diventa preda della Sacra Corona Unita che non disdegna il suo interesse per ogni ramo dell’economia lecita. L’operazione “Tam Tam”, così denominata per la velocità con cui gli associati si scambiavano le informazioni, è stata portata a termine dagli agenti della Squadra Mobile di Lecce, coadiuvati dagli uomini del Commissariato di Taurisano e del Reparto Prevenzione Crimine. Le manette sono scattate ai polsi di quindici persone. Venti, invece, gli indagati a piede libero. Pesanti le accuse avanzate dal Procuratore Aggiunto Antonio De Donno che ha chiesto e ottenuto le misure cautelari dal Gip Cinzia Vergine: associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. Al centro delle indagini due clan: quello di Tommaso Montedoro, 38 anni, di Casarano (attivo nel Basso Salento tra Taurisano, Ugento e Casarano) e quello dei fratelli Andrea, Antonio e Gregorio Leo (operante nei comuni di Calimera, Vernole e Melendugno). Tutto nasce proprio dalla scarcerazione di Montedoro, avvenuta nel 2012, per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Gli investigatori hanno appurato che, appena tornato in libertà, il 38enne casaranese ha incontrato Rosario Sabato, 36 anni, di Taurisano. Gli incontri erano finalizzati a riprendere le attività che erano state interrotte con il carcere, in primis il traffico di sostanze stupefacenti. Ma il gruppo di Montedoro dimostrava tutto il suo interesse per le estorsioni da imporre ai lidi balneari situati nel tratto di costa tra Santa Maria di Leuca e Ugento.
Ad occuparsi di questo settore, all’interno del clan, era Cengs De Paola, 39enne di Acquarica del Capo. L’uomo avrebbe imposto la gestione del servizio di guardiania agli stabilimenti balneari. Sono state le intercettazioni telefoniche a far luce su quanto stava accadendo: “Le conversazioni intercettate – ha affermato il Procuratore Aggiunto Antonio De Donno – hanno evidenziato la soggezione dei titolari di lidi balneari dell’area di Ugento alle pretese di Cengs De Paola, soggetto ripetutamente condannato per appartenenza alla Scu. Questi, infatti, ha imposto la propria guardiania sulle attività economiche previo pagamento di una somma di denaro da parte delle vittime, ovvero, mediante imposizione dell’assunzione di un suo adepto, Ilario Venneri”. Nell’ordinanza di custodia cautelare si evidenzia proprio “la professionalità e capillarità del censimento delle vittime delle estorsioni”. Diversi, i casi documentati. Tutti verificatisi nel corso dell’estate 2012. L’aspetto più allarmante della vicenda è che, in un caso, è stato appurato che la richiesta di protezione sia partita proprio da un imprenditore: “E quindi, da questa sera vorremmo stare tranquilli”, si ascolta in un’intercettazione tra l’uomo e uno degli arrestati, dopo aver pagato . La preoccupazione degli inquirenti è che l’influenza dei gruppi criminali sul settore del turismo sia ancora più esteso come afferma il capo della Squadra Mobile, Sabrina Manzone, che fa riferimento ad una “forte egemonia di questo gruppo sul territorio”. Una forza che deriva anche dall’alleanza tra il clan Montedoro con quello dei fratelli Leo, denominato “Vernel”. Un accordo basato sul versamento di denaro alla famiglia Leo, denaro che serviva per il mantenimento delle famiglie dei detenuti e sulla fornitura di droga da parte di Montedoro ai complici dei Leo, a prezzo di costo. Di rilievo, il ruolo assunto dalle donne all’interno dell’associazione criminale. Infatti, a fare da tramite tra Rosario Sabato e Tommaso Montedoro, erano la sorella, la moglie e la figlia di quest’ultimo. I due uomini evitavano accuratamente di avere contatti diretti. “L’incremento del turismo richiama anche l’interesse della criminalità organizzata. E si sa che la malavita ha sempre interesse al denaro e alle attività che producono denaro”, afferma il Procuratore Motta. “Abbiamo scoperto questa attività grazie alle intercettazioni telefoniche perché purtroppo la gente continua a non denunciare. Il fenomeno che abbiamo verificato è di una gravità inaudita perché le vittime prendono loro stesse l’iniziativa di offrire denaro a chi controlla il territorio. È un aspetto grave sul quale occorre soffermarsi perché è necessario che il contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso non si svolga soltanto da parte di chi, istituzionalmente, è chiamato a reprimere comportamenti e condotte illeciti. Anche il cittadino deve fare la sua parte. E non mi stancherò di ripetere che anche al cittadino spetta il controllo del territorio. Se il cittadino non fa il proprio dovere e non denuncia è ben difficile contrastare fenomeni di questo genere che sono sempre più diffusi perché egualmente diffuso è il comportamento omertoso dei gestori dei lidi o, comunque, di chi è vittima di estorsioni”, continua allarmato l’alto magistrato che cerca di scuotere le coscienze: “È importante l’atteggiamento culturale e mentale della gente. È una mentalità che va contrastata e combattuta. Perché, altrimenti, quello che abbiamo sempre detto e cioè che il Salento non è terra di mafia, viene smentito dalla condizione di assoggettamento e di omertà. Perché tale è il comportamento di chi nega, tace o addirittura prende l’iniziativa di essere vittima di estorsione. È paradossale che lo stesso interessato accetti di diventare vittima. Ripeto: abbiamo sempre detto che il Salento non è terra di mafia, ma se la fanno da padrone l’assoggettamento e l’omertà siamo rovinati”. Il Procuratore Motta si sofferma anche sul consenso sociale, obiettivo delle organizzazioni criminali: “Le organizzazioni criminali sono alla ricerca del consenso sociale. Ed il consenso sociale genera questa accettazione. L’esperienza leccese è un laboratorio nel settore della criminalità organizzata che diventa mafiosa in un territorio immune da dinamiche mafiose ma che corre il rischio del radicamento mafioso. Si è passati da una situazione di rifiuto da parte della gente della criminalità, perché mal vista e mal tollerata, alla tolleranza. Il rischio è che si arrivi all’accettazione e alla condivisione. Ritengo che offrire spontaneamente regalo e pizzo sia veramente condivisione di un atteggiamento culturale che va contrastato. Non è più un problema di repressione che c’è e ci sarà, ma di modifica culturale degli atteggiamenti. Ed è su questo aspetto che invito a riflettere”. Antonio Nicola Pezzuto
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