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Puglia, Dia sequestra beni per un valore di 2 milioni e mezzo di euro

di Antonio Nicola Pezzuto il . Puglia

Continua nel Salento l’azione di contrasto ai patrimoni accumulati illecitamente. A finire nel mirino della Direzione Investigativa Antimafia, questa volta, è stato Mario Grande, 79 anni, noto pregiudicato di San Donato di Lecce. Il provvedimento di sequestro è stato emesso dai giudici della Seconda Sezione del Tribunale di Lecce su richiesta del Direttore della Dia.

L’uomo, già sorvegliato speciale, è stato condannato negli anni ’80 per aver organizzato, insieme ad altri, tre rapine ad istituti di credito e ad un portavalori. Nell’agosto ’79 alla Banca Popolare Neritina di Nardò, nel dicembre del ’79 alla filiale di San Donato della Banca Agricola Popolare di Matino e di Lecce, nel gennaio 1980 alla filiale del Banco di Napoli di Nardò. In questo caso, ci fu un conflitto a fuoco con gli agenti di polizia e ai malviventi venne, anche, contestato il tentato omicidio. Risale al settembre del 1979 l’assalto al furgone portavalori dell’Istituto di Vigilanza “Sveviapol” di Lecce. L’agguato si consumò sulla Maglie-Scorrano e, anche questa volta, i banditi aprirono il fuoco. Gli inquirenti attribuirono al Grande il ruolo di organizzatore di questi crimini.

Condannato a 14 anni in via definitiva, ne sconta una decina e torna in libertà agli inizi degli anni Novanta. Viene, successivamente, coinvolto nell’inchiesta “Invalidopoli” che tra il 1992 e il 1993 fa luce sulle truffe ai danni del Servizio Sanitario. In pratica, l’uomo fa da intermediario tra chi cerca di aggirare gli ostacoli per ottenere una pensione di invalidità e i componenti della commissione medica che si lasciano corrompere. Il tutto, ovviamente, dietro il pagamento di un “corrispettivo”. L’essere lui stesso titolare di una pensione di invalidità, nell’ occasione, gli risparmia il carcere e finisce ai domiciliari. Come si può osservare, parliamo di fatti accaduti parecchi anni fa. L’inchiesta attuale nasce da un monitoraggio che gli investigatori della DIA hanno eseguito sui patrimoni riconducibili a personaggi coinvolti in assalti a furgoni portavalori. Gli approfondimenti economico-patrimoniali svolti dalla Sezione Operativa di Lecce nei confronti di Mario Grande e dei suoi familiari hanno fatto emergere una notevole sproporzione tra i redditi dichiarati dalla famiglia e il patrimonio a lui riconducibile ma intestato alla moglie, ai due figli e al genero. Gli uomini della DIA analizzano, per la precisione, gli anni tra il 1972 e il 2013 e scoprono che la sproporzione ammonta a oltre un milione di euro. Decidono, di conseguenza, di proporre l’applicazione della misura patrimoniale. I giudici hanno quindi disposto il sequestro anticipato in attesa che si svolga il processo finalizzato alla confisca dei beni. Beni per un valore di due milioni e mezzo di euro. Sono stati apposti i sigilli a una villa, quattro abitazioni, due locali commerciali, una palazzina di quattro appartamenti, due garage, un fabbricato rurale e sei ettari di terreno a San Donato di Lecce, due appartamenti a Torre dell’Orso (Marina di Melendugno) e due appezzamenti di terreno in agro di Lecce e di Porto Cesareo.

Una carriera criminale, quella del Grande, cominciata ben presto. Infatti, già nel lontano 1955, finisce sotto la lente d’ingrandimento delle forze dell’ordine per episodi di furto, estorsione, favoreggiamento della prostituzione, violazioni in materia urbanistica, porto e detenzione di armi. L’uomo è considerato dagli investigatori un “cane sciolto” per non essere mai Stato affiliato alla Sacra Corona Unita, ma ciò non gli ha impedito di essere un personaggio potente sul suo territorio. A dimostrazione di questo, il fatto che, nel febbraio 1991, Giovanni Maiorano, ergastolano della Scu ed ex collaboratore di giustizia, pure lui di San Donato, chiese ai fratelli Tornese di Monteroni il via libera per compiere attentati incendiari e dinamitardi tra San Donato e San Cesario a scopo estorsivo.

“La richiesta – come spiega il Vicequestore Leonzio Ferretti, dirigente della Sezione operativa della DIA di Lecce – era dovuta al fatto che i commercianti dei due paesi si rivolgevano proprio a Mario Grande, da tutti riconosciuto come capo incontrastato del territorio, per ottenere la sua protezione. Grande, però, non risulta essere mai stato affiliato ai gruppi della Sacra Corona Unita”.

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