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A dieci anni dalla morte di Attilio Manca

di Norma Ferrara il . Lazio, Sicilia

Un processo per fare luce sulla morte dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) L’approfondimento.

“… E se  Attilio fosse tuo fratello”?  recita il titolo di una delle numerose iniziative che hanno fatto conoscere all’opinione pubblica il caso del suicidio-omicidio di Attilio Manca, giovane medico originario di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) morto a Viterbo, città in cui viveva e lavorava, 11 febbraio del 2004. Da quella morte considerata frettolosamente un “suicidio” sono trascorsi dieci anni esatti. «La nostra è una battaglia sociale perché nessun altro possa incontrare nella sua vita persone pericolose come è accaduto ad Attilio e perdere la vita» – spiega a Libera Informazione,  il fratello Gianluca Manca. Dopo dieci anni lo scorso 3 febbraio il primo passo verso l’accertamento della verità: il Gup Franca Marinelli ha fissato al prossimo 12 giugno la prima udienza del processo.  «Si tratta di una occasione importante – spiega Gianluca Manca – perché ci consente di entrare nel merito dell’inchiesta e portare alla luce riscontri, testimonianze e incongruenze. Infine, chiedere conto ai magistrati e far emergere i punti oscuri di queste indagini». Secondo i familiari e i legali di parte civile dietro la morte dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto, infatti, ci sarebbe il tentativo di coprire la latitanza del boss di Cosa nostra, Bernardo Provenzano.

La strana morte dell’urologo Attilio Manca. Un mistero lungo dieci anni. Questo è il tempo che separa la verità sulla morte dell’urologo siciliano dall’inizio di questo processo. Ma chi  era  Attilio Manca e perché le indagini si sono scontrate con un “muro di gomma”? Quando lascia la Sicilia per studiare medicina alla facoltà di medicina dell’Università Cattolica di Roma Attilio è un ragazzo pieno di entusiasmo, innamorato della scienza e delle sue potenzialità per il progresso della società. Nel 1995 si laurea con 110 e lode. Quello stesso anno entra nella scuola di specializzazione di urologia diretta dal prof. Gerardo Ronzoni che lo fa subito lavorare nel suo studio privato e nel contempo lo avvia alla chirurgia. Si specializza all’estero Attilio e in pochi anni diventa un chirurgo di eccellenza: fra i pochissimi,  in quegli anni, a saper effettuare un intervento alla prostata in laparoscopia. Questa competenza che ne faceva  una “eccellenza” italiana nel suo campo potrebbe essergli costata la vita. I familiari e i legali, Fabio Repici e Antonio Ingroia, sono convinti che quello di Attilio Manca  non sia stato un suicidio. Tante le prove che confermerebbero questa ipotesi investigativa: il medico era mancino ma quando, secondo gli inquirenti, decide di farla finita con un mix di droghe e alcol si inietta l’eroina proprio nel braccio sinistro. Attilio è un urologo all’apice della sua carriera e raccontano i familiari “aveva tanti progetti in cantiere, anche di esperienze all’estero”. Una vita serena, una carriera affermata e poi la morte.Poche settimane prima, le ultime chiamate ai genitori in cui Attilio racconta di essere in Francia, poi senza ragione apparente parla del suo paese di origine, di una casa al mare e di una moto da aggiustare che sosta proprio nella casa accanto a quella di un parente, coinvolto in passato in una indagine per traffico di droga nella provincia di Messina.  Segnali lanciati,  si ipotizza, per cercare  aiuto e raccontare qualcosa su ciò che stava accadendo. Un asse Corleone – Barcellona Pozzo di Gotto (Me), indagato a lungo dall’avvocato Fabio Repici, sarebbe la cornice di questo inscenato suicidio.  Secondo i familiari e i legali, infatti, Attilio Manca sarebbe stato il medico scelto per operare a Marsiglia, il boss Bernardo Provenzano in latitanza sotto falsa identità (con il nome di Gaspare Troia, ndr) proprio per un tumore alla prostata: un intervento chirurgico in laparoscopia che si svolse nello stesso periodo in cui Manca si sarebbe recato in Francia.  Da alcuni giorni, inoltre, sono state pubblicate le foto del corpo di Attilio: sangue e segni rinvenuti sul corpo che poco o nulla avrebbero a che fare con una morte per overdose e mai pienamente giustificati nelle indagini che portano oggi al processo. «Abbiamo cercato di evitare la pubblicazione delle foto, soprattutto io ho voluto in questi anni che i miei genitori (cui fu impedito di vedere il corpo  quando arrivarono dalla Sicilia a Viterbo, ndr) ricordassero mio fratello da vivo – commenta Gianluca Manca. Ma dopo dieci anni, purtroppo, mi sono dovuto arrendere e abbiamo scelto di renderle pubbliche per chiarire un dato su tutti: quello di Attilio non è un suicidio, quelle foto sono chiare e non necessitano alcun commento». Secondo i genitori la morte del figlio sarebbe stata voluta da Cosa nostra. Un delitto organizzato per togliere di mezzo un testimone scomodo. Il mistero sulla morte dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto corre dunque sull’asse delle latitanze dorate che il sistema mafioso della provincia di Messina ha spesso garantito ai grandi boss di Cosa nostra, e fra questi, anche Provenzano, come testimoniato in una intercettazione di un colloquio fra boss, contenuta nell’inchiesta “Vivaio”.

Dieci anni e un processo.  «L’avvio di questo processo dopo dieci anni – spiega Gianluca Manca – rappresenta per noi la preziosa occasione di poter portare in dibattimento anche personaggi prima coinvolti nell’inchiesta e poi scagionati ma che adesso potremmo chiamare a testimoniare in aula per avere chiarezza e ricostruire verità». Sull’unica imputata per l’omicidio di Attilio, Monica Mileti, accusata di aver fornito la droga al medico in servizio all’ospedale di Belcolle, Gianluca afferma «Noi siamo convinti della piena non colpevolezza  dell’imputata ma  la verità giudiziaria deve fare il suo corso e questa è l’occasione per fare luce sulle responsabilità penali, quelle oggettive e soggettive e soprattutto quelle  di persone terze». Da poco, ad affiancare il lavoro dell’instancabile avvocato Fabio Repici, il collega Antonio Ingroia che   – aggiunge Manca –  «ha scoperto alcune irregolarità nei faldoni che hanno portato al procedimento. Su tutte: durante una conferenza stampa degli inquirenti si era parlato di un esame tricologico fatto ad Attilio che avrebbe permesso di rintracciare l’assunzione di droghe ma nei documenti quell’esame non risulta».

La vicinanza della società civile.  «Vogliamo che  il procedimento faccia il suo corso sotto profilo giudiziario  in tutte le direzioni anche se noi – conclude Gianluca Manca – crediamo che Attilio sia morto perché aveva capito la vera identità di Bernardo Provenzano. La rete che lo proteggeva si è attivata per eliminare un testimone scomodo come Attilio e successivamente la rete “istituzionale” che ha protetto quella latitanza dorata del boss di Corleone, ha provato a far calare il silenzio sulla vicenda». Un tentativo, questo, non riuscito. Società civile e giornalisti hanno seguito con attenzione, partecipazione e anche impegno, dal nord al sud del Paese, il caso del giovane medico. Anche oggi, a dieci anni dalla morte, la cittadinanza, alcuni politici, magistrati, associazioni e giornalisti si sono dati appuntamento nella città natale di Attilio, Barcellona Pozzo di Gotto, dove nel pomeriggio  lo ricorderanno  e faranno il punto sul questo importante avvio del processo.

Il prossimo 22 marzo a Latina Attilio Manca sarà ricordato insieme alle oltre 900 vittime delle mafie nella XIX Giornata della Memoria e dell’Impegno. Guardando al processo che sta per iniziare, in attesa di avere verità e giustizia.

 

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