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L’azzardo mafioso a Roma e nel Lazio

di Daniele Poto il . Lazio

L’approfondimento a cura di Daniele Poto/// – La specificità dell’imprenditorialità mafiosa nel comparto dell’azzardo, fenomeno italiano testimoniato dagli 87 miliardi di euro come movimentazione economica nel 2012 e nel 2013 (pari incasso) trova una sua particolare evidenza nel Lazio.  Roma, la capitale, è una delle tre città faro di questa speculazione e sottintende tutta la regione così come Milano riassume buona parte della Lombardia mentre  Napoli caratterizza e marca la Campania. La recente denuncia del minisindaco (I circoscrizione, Roma centro) Sabrina Alfonsi è una buona lente di ingrandimento per valutare il fenomeno che s’irradia dalla città-riferimento fino alla periferia della regione.  In occasione della firma del protocollo “Municipi senza mafie” promosso dall’associazione daSud, l’Alfonsi ha lanciato l’allarme sull’avanzata inesorabile della criminalità organizzata nella capitale: “Nel municipio I sarebbe importante mettere in trasparenza le volture delle attività commerciali. Purtroppo c’è il rischio che quasi il 70 per cento di bar e ristoranti nel Centro storico sia in mano alla criminalità organizzata”.  Non sembri un riferimento improprio il lanciato allarme. Si assiste in questi mesi a uno stravolgimento del tessuto urbano (oltre che del decoro) nella capitale con una generale mutazione d’uso che la burocrazia non può recepire ma l’antropologia e il costume sicuramente sì. Pensiamo alla valenza che può avere in un periodo di crisi economica-  in cui i negozi delle più disparate e differenziate attività sono costretti a chiudere-  il rilancio imprenditoriale dei gruppi mafiosi che rilevano i locali, riciclano il denaro (con una modesta percentuale di perdita, acquisti e affitti in questo periodo sono convenienti). Il dato sul piatto è che nel 2013 a Roma hanno chiuso i battenti 417 tra bar e ristoranti. Inoltre 25 locali negli ultimi 12 mesi hanno chiuso i sigilli per contiguità mafiosa: nell’elenco ancora bar, alberghi, ristoranti, pizzerie società immobiliari.

La mappa delle attività commerciali che cambiano pelle. Riflettiamo allora sulla strumentalizzazione e sul cambio di utilizzo che possono subire bar i cui proprietari non hanno alcuna vocazione e sensibilità per quell’attività commerciale ma vedono solo l’utilità di poter impiantare nel loro locale le famigerate macchinette, siano esse vlt o newslot, intuendo che la fonte del guadagno è soprattutto in direzione di questo sfruttamento, più o meno legale. Difatti c’è anche il rischio, vista l’estrazione di questi nuovi ricchi e proprietari, che i software siano anche contraffatti.  In un esercizio di buona presenza commerciale in centro semi-centro l’installazione di 3/6 “macchinette” garantisce guadagni percentuali dai 3.000 ai 6.000 euro mensili, una sorta di doping a cui nessuno si sente di rinunciare. E’ una terra di nessuno in cui il confine tra legalità e illegalità è assolutamente labile. La guerra per bande invalsa a Roma, con la penetrazione e l’ascesa di gruppi camorristici stride con la presenza sul territorio di residui della banda della Magliana e di macro-criminalità diffusa (v. la famiglia Casamonica). E’ un corto circuito che si riflette sulle attività dell’azzardo e ha un continuo sconfinamento nella cronaca nera. Una buona percentuale di ferimenti e omicidi infatti si verifica in contiguità con sale giochi che, a loro volta, possono sottintendere un’attività usuraria. Quartieri non propriamente baciati da un benessere diffuso come il Tiburtino o il Prenestino sono diventare Las Vegas Valley aperte al pubblico con ingresso libero e continuità. E i regolamenti di conti si sprecano per partite di giro legate all’azzardo o, alla sue dirette conseguenza, usura e estorsione. Il Lazio non ha Casinò ma si può dire che, ai limiti del raccordo anulare, sia nato un casinò virtuale, ufficioso e polverizzato, su cui c’è scarso potere di controllo.

Dentro la città dell’azzardo. Al Prenestino, per fare un esempio, nel primo semestre del 2011, sono nate 36 nuove sale-giochi stante la facilità quasi auto-certificativa di aprire locali commerciali legati all’azzardo. Roma peraltro è anche la città in cui, in periferia, l’attività ippica (e relative scommesse) incentrata sugli ippodromi di Capannelle e Tor di Valle è ridotta e semi-paralizzata. Ironia della sorte i maggiori incassi nel 2013 per Capannelle è stata centrata in relazione all’affitto mirato dell’area per i concerti rock dell’estate romana.   Con improprie scritte ammiccanti al Casino o al supermercato dell’azzardo. Infatti si può giocare su quasi tutto e quasi sempre. La contaminazione mafiosa è di casa nella capitale come dimostra l’impossessamento di luoghi simbolo come il Cafè de Paris, l’Antico Caffè Chigi e l’Hotel Gianicolo. Grandi catene di pizzerie colonizzano location prestigiose non badando a spese. E si stabilisce una filiera indotta dove alla sala giochi succede il Compra Oro, il Bancomat e, disponibile, l’usuraio, a volte presentato dallo stesso gestore dell’impresa.   Del resto la forbice dell’investimento è pari alla differenza che intercorre tra il fatturato in crescita delle mafie (valutato tra i 170 e i 200 miliardi all’anno) e il montante debito pubblico che ha sforato la soglia psicologica dei 2.100 miliardi, in attesa di un’inimmaginabile risanamento, minato a priori da interessi che seppure ridotti, gravano per 81 miliardi all’anno sullo Stato Italiano e sull’attuale governo. Non è il caso di attualizzare l’antico detto “Capitale corrotta, nazione infetta”. Semmai Roma con la sua super-fetazione rappresenta un caso limite, ospitando la maxi sala giochi che detiene il record di apparecchi da intrattenimento, volgarmente dette macchinette, con 982 esemplari e la più grande sala Bingo d’Europa.  Non sfugga la pericolosità di quest’ultima deriva merceologica, pure in crisi (si sta ideando un Super Bingo più concorrenziale con altre proposte) dal momento in cui si è stabilita un modello di un avveniristico nuova centro anziano dove colazioni, pranzi e cene sono gratuite. E di più il cliente può essere prelevato e riportato a casa senza preoccuparsi del parcheggio e del mezzo privato. Una captatio che poi sottintende la possibilità di disporre nei Bingo le famigerate vlt, di costringere l’avventore incuriosito a entrare nel sistema, per non uscirne più.  Lo Stato biscazziere ha scommesso forte sull’azzardo nel decennio 2003-2013 attraverso le rappresentazioni legislative dei governi che si sono avvicendati e che in questo campo hanno mantenuto una preoccupante continuità d’intenti: allargare la fascia delle proposte mentre calavano gli introiti statali.

La politica e il Parlamento. Si può scrivere che la lobby dell’azzardo sia inter-parlamentare e, attraversi tutti gli schieramenti in operazioni addizionali che hanno continuato a aggiungere proposte su proposte (eliminando solo l’obsoleto videopoker) ma coprendo a 360 gradi tutto l’esistente possibile in materia di palinsesto.  A questa struttura la mafia ha applicato un funzionale calco sovrastrutturale mettendo in gioco capitali e investimenti maggiori, una raffinata disponibilità informatica, un know how supplementare di  fantasia e di creatività che, evidentemente, manca per definizione all’ingessata macchina dei Monopoli, deprivata progressivamente dell’apporto di alcuni responsabili più dinamici e spregiudicati, indagati, ancora  bisognosa di rodaggio nell’inconsueto accorpamento, per ragioni fiscali, con le Dogane. Se lo Stato movimenta in un anno 87 miliardi attorno all’azzardo appare sempre più chiaro che lavora ai fini del benessere della filiera del gioco che si dipana con l’attività dei concessionari, dei gestori e con il ritorno in termini di payout (pari al 77%) dei giocatori. Infatti lo Stato che ha guadagnato 8 miliardi dall’investimento nel 2012, ha visto ridursi questa cifra a 7,2 nel corso del 2013. Il dato è ufficioso perché – schiaffo alla trasparenza- da due anni a questa parte, per ragioni strategiche di marketing (meno si pubblicizzano questi dati, meglio è)  le sintesi finali non vengono comunicate.

I numeri della dipendenza. Nel Lazio la spesa delle famiglie, il disinvestimento sull’azzardo, è pari a circa il 9% della spesa complessiva  nazionale, pari al 4,5 del Pil regionale, percentuale sovrabbondante rispetto al dato dell’Italia (4,1%). Il Lazio è la seconda regione d’Italia nella graduatoria di quelle che giocano di più. Dai dati ufficiali del 2012 emerge per i cittadini laziali una spesa media pro capite di 1723,50 euro (minorenni esclusi, eppure giocano). Dato secondo solo all’Abruzzo capofila con 1.756 euro pro capite. In particolare, fatti salvi i decimali, il cittadino laziale spende mediamente in un anno 109 euro per il lotto, 36 per i giochi numerici, 289 per il gioco online, 942 euro per gli apparecchi da intrattenimento, 38 euro per il bingo, 24 per i giochi a base ippica, 80 per i giochi a base sportiva e 206 per le lotterie.  Come ordine di grandezza complessiva “regionale” il Lazio si conferma ancora al secondo posto con una spesa di 9 miliardi  e 815 milioni, alle spalle della Lombardia che ne movimenta 15,965. E l’incremento su base regionale è consistente dato che nell’anno precedente, il 2011, la raccolta si era attestata sugli 8,677 miliardi. Nella ripartizione per province, stabilmente guidata per spesa pro capite da Pavia, nel 2011 Latina si inseriva al quinto posto, precedente nel Lazio Rieti (n.48) , Roma (n. 63 e Viterbo (n. 89).

I costi del gioco d’azzardo. Secondo il calcolo induttivo proposto dalla Campagna in Rete Mettiamoci in gioco il costo sociale (speculazione di Matteo Iori del Conagga) che graverebbe sullo Stato Italiano, rispettando l’art. 32 della Costituzione (il diritto alla salute) sarebbe di 6 miliardi. E dunque, proporzionalmente, la quota parte che graverebbe sul Lazio ammonterebbe a circa 550 milioni di euro. Una cifra di rara sostenibilità. Il 24 luglio 2013 la Regione Lazio, tra le prime a muoversi in Italia (sono attualmente sette le regioni con una propria legislazione specifica in materia), ha approvato una legge che disciplina la collocazione delle sale da gioco, preservando scuole, ospedali, luoghi di culto, dalle contiguità con le sale gioco (peraltro non specificando la sostanza, l’affermazione rimane vaga), prevedendo premi per gli esercizi commerciali che rimuovano o non istallino slot machine e videolottery che si potranno fregiare del marchio regionale “Slot free”. Parallelamente è stato previsto il varo di un numero verde, peraltro, non ancora in funzione, come ausilio per i malati patologici. Il primo impulso economico conferito alla Legge è stato modesto, appena 50.000 euro, a disposizione per il privato sociale per la realizzazione di materiali informativi. Ma a inizio 2014 è arrivato un secondo forte contributo di un milione di euro per l’apertura di 51 sportelli informativi, dunque con l’assegnazione di 20.000 euro per ogni distretto socio-sanitario. Per avere una pietra di paragone occorre ricordare che la Regione Lombardia, la prima a dare l’esempio, ha finanziato inizialmente la propria legge con 5 milioni di euro. In Azzardopoli 2.0 Libera aveva aggiornato induttivamente la cifra del guadagno delle mafie applicate all’azzardo ritoccando l’originaria valutazione di 10 miliardi in quella più realistica di 15. Basandosi sui dati reali delle attività investigative e di repressione, su arresti e maxi-sequestri e emersione di attività mafiosa. Una stima sicuramente per difetto. Nettamente dilatata dalla valutazione dell’ex presidente della Commissione Antimafia Pisanu quando ebbe modo di affermare in una seduta dell’organismo: “Per ogni euro guadagnato legalmente dallo mafie dallo Stato ce ne sono 7-8 introitati dalla mafie”.

La Capitale del gioco. Roma è il punto di sfogo di questa tensione criminale-mafiosa perché si potrebbe quasi tentare di pattuire una mappa del controllo del territorio, quartiere per quartiere, attribuendolo alle famiglie malavitose. Del resto bisogna misurarsi con la grandezza dell’esistenza e con infinite possibilità di sviluppo territoriale dal momento che la mafia, quando ha investito massicciamente sulla penetrazione, era ben conscia di rivolgersi a quartieri, a esempio, della dimensione di Montesacro che inerisce circoscrizionalmente a una popolazione di quasi 400.000 abitanti. Dunque la più grande circoscrizione d’Europa mentre, virtualmente, “vale” per popolazione il rango di nona città italiana. Roma in questo comparto si presta magnificamente alla campionatura e alla sperimentazione stante l’oggettiva difficoltà delle autorità di polizia, di Questure e Prefetture, di controllare superfici e abitati così vasti.  Anche il presidente di Sistema Gioco Italia (l’associazione che all’interno di Confindustria rappresenta i concessionari del gioco d’azzardo), Massimo Passamonti, in una recente intervista al quotidiano Avvenire, ha ammesso i rischi di contaminazione mafiosa, particolarmente allarmanti in una città come Roma. “Premetto che secondo studi internazionali, come quello di Transcrime/Università Cattolica)- ha detto- Il rischio di infiltrazione mafiosa è tra i più bassi rispetto ad altri comparti. Ma in effetti resta il problema dei circa 4.000 noleggiatori. Una categoria che per esercitare deve iscriversi a un apposito albo fornendo requisiti precisi, ma su questi bisogna farsi delle domande. Alcuni di essi dichiarano di gestire 15 apparecchi. Ma basti pensare che un noleggiato strutturato industrialmente dovrebbe avere mille macchine. Chi dichiara numeri molto bassi andrebbe controllato: come fa a sopravvivere? Siamo certi che parallelamente non vengano svolte attività illegali?” Più che un dubbio una domanda retorica. Evidentemente lo Stato non ha previsto studi di settore per l’azzardo, mondo in cui l’evasione fiscale percepita è altissima. Sistema Gioco Italia ha attivato un alert particolare per la Puglia dove nelle scommesse sportive si giocherebbe clandestinamente anche sulla serie D (il calcio dilettanti), quindi con la spiccata facilità di alterare i risultati delle partite ma anche il Lazio, zona di penetrazione camorrista, è “attenzionato” con un particolare riguardo.

La Quinta mafia. La seconda specificità diffusa in regione è quella che riguarda la cosiddetta Quinta Mafia (in aggiunta a Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita e Camorra), etichettatura, seppur non sempre universalmente riconosciuta, con cui si allude alla diffusa penetrazione di famiglie camorriste nel basso Lazio, in particolare nelle province di Latina e Frosinone mentre il Lazio nord (province di Rieti e Viterbo) sembrerebbe immune da questa contaminazione. L’eloquente piantina pubblicata a pagina 57 di “Azzardopoli”- il paese del gioco d’azzardo (edizione Libera) documentava l’insediamento sul territorio laziale dei clan Moccia, Mallardo e Schiavone oltre a ribadire la presenza di clan autoctoni locali e della Banda della Magliana. Come si legge è forte il riflusso di clan stanziali camorristi che, geograficamente, vanno a insediarsi in territori non tradizionali. Peraltro il clan Moccia ha subito un fiero colpo con l’arresto di 22 suoi membri. Anche il clan Mallardo ha subito un fiero colpo con il sequestro di beni per 44 milioni con un ben individuato core business nell’azzardo. Né meno intaccato  il clan Schiavone, ramificato tra Campania, Lazio e Emilia. Nei suoi riguardi  l’operazione di polizia ha portato a 50 arresti e a 160 avvisi di garanzia. Tra gli indagati in quest’ultimo blitz anche un consigliere comunale di Santa Maria Capua Vetere, Alfonso Salzillo, presidente della locale quadra di calcio Gladiator (dimessosi dopo l’emersione giudiziaria) e l’imprenditore Mario Natale. E lunga anche la lista dei reati contestati, a vario titolo, ai numerosi indagati: associazione per delinquere di stampo camorristico, concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso e una serie di reati aggravati dalle finalità mafiose (tra cui esercizio abusivo di attività di gioco e scommesse, illecita concorrenza eseguita con violenze e minacce, truffa aggravata ai danni dello Stato, frode informatica, riciclaggio, reimpiego di capitali, estorsione e intestazione fittizia di beni). I sequestri sono stati operati in particolare nel modenese, nel frusinate e in Campania. Si tratta di svariate centinaia tra immobili (347), aziende (148), conti bancari (247), quote societarie, imbarcazioni e automobili di lusso (280, tra cui due Ferrari).  Gli Schiavone sono il perfetto esempio di uno sfruttamento dell’azzardo a cavallo tra il gioco legale e quello illegale perché a malversazioni e contraffazioni nel comparto legale univano la proliferazione e l’incentivazione di bische clandestine e di un gioco sommerso. Come si intuisce la presenza dei clan mafiosi nel Lazio non è sporadica e, dal punto di vista numerico, si pone in fascia alta nell’intervento mafioso nell’azzardo visto che la nomenclatura attuale documenta l’attività di 53 clan sul suolo italiano, con diffusione a macchia di leopardo e con esclusione di sole tre regioni. Ma la presenza di maggiore attualità e quella che desta la maggiore inquietudine per le proprie caratteristiche di aggressività è quella legata alla penetrazione del clan Iovine. Il capocordata Mario Iovine, detto Rififi, legato ai Casalesi, ha costruito il proprio impero ad Acilia legandosi alla zona grigia imprenditoriale del luogo. Dopo l’arresto di Mario Iovine (cugino del potente Antonio Iovine), risalente al maggio del 2008, i suoi soci romani, si sarebbero costruita una sempre maggiore autonomia legata a spregiudicate joint venture di settore. Mario Iovine è stato un antesignano nel controllo dei videopoker in Emilia già nei primi anni del nuovo millennio. Una famiglia influente sul territorio è quella dei fratelli Guarnera, Sandro e Sergio, denominati “i fratelli Las Vegas”. Talmente popolari sul territorio da essere percepiti come benefattori di una comunità spesso popolata da soggetti border line, facilmente arruolabile dalla mafiosità   Il gruppo romano attuale, costola del nucleo originale,  si avvale per operazioni di intimidazioni di un congruo braccio armato di pregiudicati legati alla malavita albanese di cui fa parte anche un ex campione europeo di pugilato, categoria mediomassimi. Le ipotesi di reato, nel blitz di fine ottobre 2013 che ha portato all’arresto di 15 persone, hanno evidenziato l’associazione mafiosa, il trasferimento fraudolento di beni, l’usura, l’estorsione, l’illecita concorrenza con minacce e violenza, la detenzione illegale di armi, delitti aggravati dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa. Il clan usava pesanti mezzi coercitivi per convincere i gestori a utilizzare “macchinette mangiasoldi” della propria, come dire, ragione sociale.  In linea con l’ultima relazione semestrale 2013 della Direzione Investigativa Antimafia che ricorda “come il gioco d’azzardo si sia rivelato una delle principali fonti di profitto per il clan camorristici che dimostrano una spiccata propensione a utilizzare tecniche complesse per controllare sale giochi, scommesse e slot machine”.  In questa specificità il clan Iovine si era accaparrato la gestione dell’installazione, la distribuzione e il noleggio delle slot machine e delle ricevitorie. E’ bene ricordare che attualmente sul territorio nazionale sono diffuse 457.000 macchinette, di cui 53.000 videolottery (le più pericolose) mentre non esistono statistiche sulla diffusione su scala regionale. L’imposizione del noleggio è una deriva fruttuosa dei clan mafiosi nel Lazio. Per quanto riguarda la propaggine di Acilia occorrerà valutare nel prossimo futuro l’indipendenza e l’autonomia del gruppo romano rispetto all’imprinting originario targato Iovine.   Per quanto riguarda il numero dei malati patologici in regione non risultano rapporti scientifici esaustivi che ci rappresentino questo numero. Il dato nazionale de Cnr ci riferisce di due milioni di giocatori nell’area di rischio oltre che l’esistenza di 500.000 connazionali afflitti da Gap. E, di fronte a questa paludosa area di patologia in gran parte non emersa (il decreto legge Balduzzi ha riconosciuto alla patologia l’inserimento nei Lea, Livelli Essenziali di Assistenza, ma mancano i decreti attuativi che rendano concreta questa presenza), appare risibile il dato ufficiale di circa 7.500 casi presi in carico dai Serd nel 2012, dato che, ovviamente, non rappresenta una credibile e spendibile  anagrafe nazionale, stante l’attività delle strutture private e dell’attività non documentata dei numerosi numeri verdi agenti sul territorio nazionale. Nelle statistiche del DPA (Dipartimento Politiche Anti Droga) il Lazio scende addirittura all’11esimo posto per numero di soggetti trattati per acquisite patologie mentre, nell’universo della popolazione studentesca che azzarda, la sua posizione, nel contesto delle regioni italiane, è il posto n. 5. Si comprenderà come ben altrimenti significativo e documentato sia il numero soggetti trattati dai Serd nel 2011 (176.000 complessivi alla voce “tossicodipendenti”). Stima che peraltro rappresenterebbe solo circa il 40% rispetto all’effettivo numero complessivo (438.000), secondo le valutazioni per lo stesso anno del Dipartimento per le Politiche Anti Droga in carico alla Presidenza del Consiglio. Nel Lazio non risultano particolari  esempi mediatici di buone pratiche come in altre regioni (esempio, la Lombardia, con il bar di Cremona che per me primo ha dismesso le slot). Ma lo Slot Mob che ha attraversato l’Italia a spina di pesce, movimenterà una grande manifestazione terminale a maggio a Roma, grazie anche al contributo di libera, con l’organizzazione di un maxi torneo di calcio-balilla. E’ l’oggetto meccanico che ha portato un negoziante veneto a essere multato mentre contestualmente il suo locale veniva detassato per aver rinunciato a ospitare un congruo numero di macchinette: schizofrenia dello Stato-biscazziere.

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