Beppe Alfano, 21 anni dopo
di Manuela Modica//// – Ci sono strade, luoghi che diventano monumenti: “Guarda, è stato precisamente qui che hanno ritrovato la macchina bruciata”. Leonardo Orlando, cronista della Gazzetta del Sud, fa da Cicerone per i luoghi della memoria. Quelle strade marchiate come una corteccia cerebrale che 22 anni fa è stata incisa da una privazione. La sua famiglia prima, Barcellona Pozzo di Gotto (Me) poi. Poi tutti noi e la nostra corteccia collettiva. Ventuno anni fa tre colpi di pistola calibro 22 perforavano il cranio di Beppe Alfano scolpendo il suo nome nel nostro. Nella nostra Storia. Era l’8 gennaio del 1993. È l’8 gennaio del 2014, anno dopo anno ci esercitiamo in questa frase: quel che è accaduto non lo sappiamo ancora del tutto. Conosciamo gli esecutori dell’omicidio, non i mandanti. Giuseppe Gullotti e Antonino Merlino erano il braccio armato. Quali menti avessero attivato quel braccio è ancora ignoto. Sappiamo di certo che da allora siamo rimasti privi di un uomo, di un giornalista che aveva esercitato il suo mestiere in una porzione di mondo apparentemente innocua, addirittura ‘babba’. Che aveva alzato la testa dalla sabbia, aveva ruotato lo sguardo da un lato all’altro. Che aveva cercato di osservare la realtà attorno a sé. Che in quel grandangolo scattato sul luogo vide Nitto Santapaola.
Alfano era un giornalista e aveva capito che il boss catanese era latitante a Barcellona Pozzo di Gotto. Un’intuizione che non tenne per sé, che cercò di verificare con chi di dovere: “La rivelazione sulla presenza di Santapaola a Barcellona è un fatto – sostiene la figlia Sonia Alfano – mio padre ne aveva parlato, in mia presenza, a una persona che riteneva fidata: il magistrato Olindo Canali. Evidentemente, dato che questo spunto non è stato preso subito in considerazione nelle indagini per il suo omicidio, non era l’amico che credeva”.
Qualche tempo fa, uno spettacolo teatrale “Presa di coscienza” metteva assieme tutti gli omicidi di mafia nel messinese. Uno spettacolo che abbiamo visto e apprezzato nell’auditorium della città del Longano. A più riprese durante la pièce veniva ribadito un concetto chiave: la mafia ti vive accanto in mille modi e facce diverse. Scattare la foto che fece Alfano è la vera impresa, rendersi davvero conto di quanti e quali connivenze esercitiamo tutti quotidianamente: girando lo sguardo altrove, togliendo peso ad ogni fatto (ma si, che sarà mai…). Prenderne coscienza, appunto. Quello spettacolo era scritto anche dall’attuale sindaco di Barcellona Pozzo di Gotto, Maria Teresa Collica, che oggi per commemorare il giornalista trucidato siederà accanto a Sonia Alfano presidente della Crim (la Commissione speciale sul crimine organizzato, la corruzione e il riciclaggio di denaro del Parlamento Europeo), il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico, il direttore della Dia, Arturo De Felice, il procuratore aggiunto di Messina, Sebastiano Ardita, il senatore Giuseppe Lumia, l’avvocato Fabio Repici.
Beppe Alfano 21 anni fa morì perché era il solo ad aver “preso coscienza”, ad aver osservato la realtà attorno a sé. Altre solitudini e perciò altre morti si sono aggiunte da allora alla sua. L’anno siciliano è costellato da commemorazioni di vittime di mafia. Si inizia anche con questa, un cronista ucciso d’inverno dalla mafia e non solo. Anche da quella società che ancora non sa tutta la verità. Ventuno anni dopo. Ma lui una verità la sapeva, e la sbandierava in tv: ad uccidere Carlo Alberto Dalla Chiesa, diceva lui, era stato l’isolamento in cui l’avevano relegato. Sapeva che da ricordare da allora in poi non ci sarebbe stato solo un omicidio ma un isolamento.
Che l’esercizio della memoria anno dopo anno non è mera retorica: serve a contarsi, a dire che ci siamo. A dire che non lasceremo che altri ancora ci vengano sottratti dalla nostra incoscienza.
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