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I finocchi, la ‘ndrangheta e l’arresto dell’ex sindaco di Isola Capo Rizzuto

di Norma Ferrara il . Calabria

L’approfondimento/// – Quattrocento pagine d’inchiesta e alcune cassette di finocchi da consegnare  – secondo i mafiosi di Isola Capo Rizzuto (Kr) –  in segno di ringraziamento per un raccolto “salvato” dalla frangizollatura. Una accusa per corruzione che coinvolge l’ex sindaca Carolina Girasole e il marito nell’operazione “Insula” della Guardia di Finanza. E infine, 13 ordinanze di custodia cautelare per associazione a delinquere di stampo mafioso, corruzione elettorale, turbativa d’asta, usura, favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio. Cosa c’è dentro l’inchiesta che ha portato al clamoroso arresto emesso dal Gip del Tribunale di Catanzaro su richiesta della Procura distrettuale antimafia? Proviamo a capire i contorni di questa indagine che ha messo ai domiciliari  l’ex primo cittadino, sino a una settimana fa protagonista di numerose battaglie anche dai banchi dell’opposizione in Consiglio comunale.  Fra gli arrestati  anche il marito, Francesco Pugliese, che avrebbe chiesto  – secondo i magistrati – appoggio esplicito alla cosca Arena per l’elezione della Girasole a primo cittadino nel 2008.

“Insula” e dintorni. L’inchiesta della magistratura e della Guardia di Finanza parte nel 2010 e dura tre anni. Gli investigatori intercettano telefonate e conversazioni in macchina di boss di spicco della famiglia Arena, la cosca che a Isola Capo Rizzuto da decenni detiene il potere. L’indagine mira ad individuare i responsabili di una serie di delitti che si sono verificati negli ultimi anni in paese, conseguenza di una faida fra cosche per il controllo del racket e dei tanti traffici illeciti gestiti sul territorio. L’inchiesta ricostruisce responsabilità e circostanze di questi omicidi, fra i quali quello di Carmine e di Giuseppe Arena ma anche quello di Pasquale Niscoscia, capo clan della fazione rivale dei Niscoscia – Manfredi – Corda Capicchiano. In una di queste conversazioni i magistrati rintracciano una dichiarazione che li sorprende e da cui parte l’accusa di “contatti” rivolta all’ex sindaco Carolina Girasole e al marito, Francesco Pugliese.

Le intercettazioni. Siamo nell’ottobre del 2010 e il boss Massimo Arena conversa in auto con un altro interlocutore e commenta un articolo di giornale in cui si parla di Carolina Girasole come di un sindaco impegnato contro la ‘ndrangheta. “Glielo direi io come ha preso i voti!” – esclama il capoclan. Intercettati dalle microspie delle forze dell’ordine, i mafiosi della cosca Arena raccontano una storia insospettabile e tutt’ora poco chiara. Sostengono che a chiedere i voti del “sindaco antindrangheta” fosse stato proprio il marito della Girasole, parente della famiglia Arena (come accade in paesi così piccoli, in  cui spesso si è legati da vincoli di parentela). Francesco Pugliese, dunque, avrebbe chiesto i voti durante una visita al bar della famiglia Arena e gli uomini della cosca avrebbero fatto “favori a cristiani” per garantirli. Si tratterebbe di circa 1350 voti, rintracciati restituendo con piccoli favori o promesse future: dal posto di lavoro sino alla fornitura di pacchetti di sigarette.  Mentre i mafiosi commentano in auto questa “immagine” pubblica del sindaco sostenuto anche con i loro voti,  il discorso si sposta sui terreni confiscati e sul rischio di perdere i soldi investiti nelle piantagioni di finocchi.

 

L’appalto per la raccolta dei finocchi. E qui, gli investigatori e i magistrati, aprono un altro capitolo. I terreni di cui si parla nelle intercettazioni sono stati confiscati a Nicola Arena e alla moglie Tomassina Corda e dal 2005 al 2009, nonostante i provvedimenti giudiziari, erano rimasti sostanzialmente a loro disposizione. Solo dopo alcuni anni una sentenza del Tribunale intima l’abbandono dei terreni. Circa un anno dopo, siamo nell’autunno del 2010, si svolge a Isola Capo Rizzuto un convegno che mette al centro la questione della legalità e dei terreni confiscati. Un passo forte e significativo voluto proprio dall’impegno civile e per la legalità del primo cittadino che intende restituire alla collettività quei beni.  In quei giorni verrà stipulato anche un protocollo d’intesa che consentirà di dare il via al riutilizzo sociale. Come prassi di legge, si affida ad una ATS, che in questo caso fu Libera Terra Crotone, la gestione dei terreni in attesa di stilare il consueto bando pubblico e programmare la nascita della cooperativa, in linea con la legge 109/96.

 

Il “no” di Libera. Come si evince dall’inchiesta con estrema chiarezza la scelta dell’Associazione Libera fu netta per quel che riguardava il raccolto dei finocchi che su quel terreno erano stati piantati dalla cosca Arena. Libera non voleva raccoglierli, e suggeriva di non darli in appalto ad altre società. Come sottolineano nelle cento pagine dedicate a questo passaggio dell’inchiesta, Libera propone la frangizollatura, ovvero la distruzione del raccolto. In quei giorni, la scelta fu condivisa anche dal sindaco Girasole e si cercarono persino le risorse per poter realizzare questa procedura (si trattava di soldi per la benzina e disponibilità degli automezzi). L’Agenzia del demanio, nonostante le poche risorse a sua disposizione, si era detta pronta a  sostenere questa spesa. Un atto forte e di rottura che avrebbe portato i mafiosi a perdere i soldi investiti all’epoca nella piantagione e fare i conti anche con le mancate entrate della commercializzazione dei finocchi.

 

Le cassette di finocchi alla sindaca. “A sorpresa”  – come sottolineano anche i verbali delle riunioni  – qualche tempo dopo l’amministrazione comunale cambia idea. In quei giorni gli attacchi che arrivano al primo cittadino su questa scelta di distruggere il raccolto in un momento di grave crisi dell’economia locale sono tanti e fanno vacillare questa decisione della frangizollatura. Secondo i magistrati però è su pressione dei mafiosi e per restituire il favore legato allo scambio di voti, che Carolina Girasole avrebbe cambiato idea e scelto di dare in appalto la raccolta dei finocchi. Questa valutazione viene fatta sulla base delle intercettazioni delle conversazioni dei mafiosi che in questi termini commentano fra loro l’operato del sindaco. Il bando passa, come accade in aree a particolare densità mafiosa, attraverso la gestione della stazione unica appaltante della Prefettura. Oggi leggendo l’inchiesta verrebbe da chiedersi: chi avrebbe potuto partecipare liberamente con la propria impresa alla raccolta dei finocchi di proprietà di una cosca cosi potente a Isola Capo Rizzuto? Nessuno, oppure soltanto ditte che preventivamente avessero preso accordi con gli Arena. Il rischio almeno era alto. E così andò. A vincere l’appalto fu la ditta De Meo che oggi figura fra gli indagati in questa inchiesta e che secondo i magistrati fece da “prestanome”per gli affari della cosca. La prefettura, in quegli anni,  non ritenne questo appalto a rischio e ne confermò la regolarità. La raccolta dei finocchi venne fatta e portò circa un milione di euro nelle tasche della cosca.

 

Le minacce alla Girasole, l’isolamento e l’intensa attività antimafia. I magistrati rintracciano in questo “cambio improvviso” di decisione del sindaco proprio la restituzione di un “favore” legato al sostegno elettorale. Un do ut des che si svolge senza grande pianificazione ma che passa attraverso il marito della sindaca Girasole e che viene raccontato soltanto dalle intercettazioni dei mafiosi coinvolti nell’inchiesta – come conferma il procuratore della Dda di Catanzaro, Vincenzo Lombardo, commentando l’indagine.  Un episodio successivo, inoltre, viene rintracciato dagli inquirenti come “dimostrazione” di questo scambio fra voti e l’appalto per la raccolta. Si tratta dell’aspetto che più ha fatto notizia in questi giorni: la consegna di alcune cassette di finocchi a casa delle famiglie d’origine del sindaco Girasole e del marito. Questo atto carico di un significato simbolico secondo i magistrati dimostrerebbe il rapporto fra il marito del sindaco, il sindaco e la cosca Arena. Scrivono i magistrati “Non è un credito economico è un credito di riconoscenza che ha legato un pezzo di Stato ad una consorteria criminale”. Così almeno è stato dal 2008 alla raccolta dei finocchi nel 2010.  Da subito però tante sono state le minacce, le intimidazioni contro Carolina Girasole. Fortissimo l’isolamento vissuto in paese. Atteggiamenti insoliti nei confronti di un sindaco che – a detta dei mafiosi – sarebbe stata messa lì anche con i loro voti e che secondo l’inchiesta avrebbe avuto contatti con i boss. Gli Arena, famiglia di ‘ndrangheta molto numerosa e potente, da decenni condizionano la vita dei cittadini di Isola. In passato, anche quella dell’amministrazione comunale, tanto che le elezioni in cui diventò sindaco Carolina Girasole furono precedute da un commissariamento per mafia e una breve esperienza amministrativa, interrotta dalle dimissioni del sindaco che subì pressioni e minacce.  Dopo l’episodio dei “finocchi” l’attività comunale sarà volta ad una nuova trasparenza amministrativa e ad un progetto complesso come la nascita della cooperativa che lavorerà quei beni confiscati agli Arena. Si svolgeranno tante le iniziative a Isola Capo Rizzuto e nel resto d’Italia in cui Carolina Girasole avrà parole di dura condanna per la ‘ndrangheta, per la sua capacità di condizionamento del territorio e di compressione dei diritti fondamentali della persona. Fra i tanti interventi della Girasole anche un appello alle donne di Isola perchè rompessero con la cultura mafiosa del posto e scegliessero un futuro diverso e migliore per i propri figli. La Girasole si è schierata pubblicamente in un contesto cosi difficile contro le ‘ndrine e ha messo in atto la risposta pratica più dannosa per i mafiosi: il riutilizzo sociale dei loro terreni. In una terra in cui le sfumature di grigio coprono tutto, anche questa inchiesta è  basata su un racconto in presa diretta fatto dai mafiosi e alcuni riscontri negli atti amministrativi del Comune. E sorprende per molti aspetti e in particolare per le ragioni di una scelta che a Carolina Girasole  è costata la messa a rischio della vita. “Dal punto di vista penale non c’è nulla a carico dell’ex sindaco. Non ci sono intercettazioni fatte nei suoi confronti o del marito, ma solo a carico di due soggetti arrestati in questa vicenda che notoriamente odiavano la Girasole perché è stata l’unica che ha osato mettersi contro la famiglia mafiosa degli Arena rischiando anche la vita – spiega l’avvocato della Girasole, Marcello Bombardiere. Dico questo perché se è vero che la Girasole fosse stata d’accordo con gli Arena c’era il modo di assegnare i terreni indirettamente ad associazioni del territorio e, invece, la Girasole ha portato avanti “Libera”. Erano stati coltivati dei finocchi dagli Arena che dovevano andare al macero. Il Comune ha deciso di dare a qualcun altro la possibilità di raccogliere i finocchi e di venderli. Il bando l’ha gestito la Stazione unica appaltante e non il Comune. In tutto questo la Girasole si è confrontata con la prefettura”.

Calabria, questione nazionale. L’inchiesta coinvolge anche altri protagonisti che hanno un ruolo nella vicenda ma al momento rimangono coperti da “omissis”. La stampa nazionale e regionale ha gridato allo scandalo per un ossimoro chiaro e giornalisticamente evidente: un sindaco antimafia arrestato per  voto di scambio con la ‘ndrangheta.  E così anche sui social network. L’isolamento definitivo della Girasole sul territorio era tangibile e visibile agli occhi dei giornalisti che si sono recati ad ascoltare i comizi nell’ultima competizione elettorale: un meccanismo che non si applica a chi gode dell’appoggio diretto o indiretto della cosca locale. Tanti i pezzi di questo puzzle che sembrano non trovare posto. A fare chiarezza in questa inchiesta dovrà essere la stessa Carolina Girasole che avrà modo di spiegare, davanti ai magistrati, le sue ragioni, i rapporti eventuali con gli Arena, e il cambio di passo che l’ha portata ad opporsi ai condizionamenti della ‘ndrangheta. La partita in Calabria è aperta, i confini fra i giocatori in campo si fanno sempre meno chiari. E tutto questo fatica ancora a diventare una questione nazionale. Se non per un giorno, per un titolo d’effetto sui nostri giornali e sugli schermi dei Telegiornali. Eppure è qui in Calabria, più che altrove, che si stanno giocando i destini della tenuta democratica del Paese e di un mancato sviluppo economico legale.

[Un concetto ribadito oggi anche dalla presidente della Commissione antimafia, Rosy Bindi, che per la Calabria e la città di Reggio ha invocato “leggi speciali”]

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