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L’omicidio impunito di Palmina Martinelli

di Marta Silvestre il . Senza categoria

Era l’11 novembre del 1981 quando Palmina Martinelli – appena quattordicenne – viene ritrovata, dal fratello maggiore Antonio, nella sua abitazione di Fasano, nel bagno di servizio in piedi sul piano doccia con il corpo avvolto dalle fiamme nel tentativo di salvarsi reso vano da una strana coincidenza per cui mancava l’acqua in tutto il paese. Presso il Centro di Rianimazione del policlinico di Bari, dove fu trasportata per la estrema gravità delle ustioni riportate sul 70% del corpo, Palmina, con un filo di voce, rilascia le sue ultime dichiarazioni nelle quali accusa i propri assassini, indica le dinamiche, il movente e l’ambiente in cui era maturato quel clima di violenza per cui l’avevano ridotta a torcia umana e arsa viva, come una strega.

Davanti al fratello, ai medici, agli infermieri, ai carabinieri e al pubblico ministero fa i nomi dei suoi carnefici che avevano voluto punirla  per essersi rifiutata di prostituirsi. Le sue parole vennero registrate su un nastro magnetico e trascritte a verbale. Con tutta la voce che ancora aveva in corpo, Palmina rispose alle domande degli inquirenti sull’identità delle persone che le avevano fatto del male: “Giovanni Costantino e Enrico” di cui non ricordava il cognome. E alla richiesta di chiarimento riguardante le azioni contro di lei, rispose solo: “Alcol, fiammifero”.

Giovanni Costantino era un ragazzo di diciannove anni, militare a Mestre, che spesso riceveva lettere firmate da Palmina, che se ne era invaghita. Giovanni, insieme al fratellastro Enrico Bernardi, era dedito allo sfruttamento della prostituzione. La sorella maggiore di Palmina, Franca, era già incappata in un triste destino: si era innamorata di Enrico, con lui e con la madre di lui era andata a vivere in una chiesa sconsacrata, aveva dato alla luce una bambina e, ridotta in schiavitù e marchiata come le mucche, era stata costretta a prostituirsi. Intorno a Palmina stavano cercando di tessere la stessa tela. Non avevano fatto i conti con il fatto che lei, però, era il ragno e non la mosca. Il 2 dicembre, dopo 22 giorni di dolorosa agonia, Palmina muore. Il processo davanti alla Corte d’Assise di Bari iniziò il 28 novembre del 1983 e si concluse il 22 dicembre dello stesso anno con l’assoluzione degli imputati per insufficienza di prove – anche se entrambi vennero condannati a 5 anni per sfruttamento e induzione alla prostituzione. 

Sostanzialmente per esclusione, fu avvalorata l’ipotesi del suicidio sostenuta, apparentemente, da una lettera lasciata sul tavolo della cucina. Quella lettera Palmina l’aveva scritta davvero ma non certo perché aveva intenzione di suicidarsi, bensì perché proprio quel giorno aveva pianificato, insieme a una compagna di classe, di scappare per allontanarsi da un contesto familiare soffocante. Che Palmina si sia potuta suicidare lo esclude anche una perizia di un anatomopatologo che sostiene si sia trattato di un omicidio doloso, poiché prima dello sviluppo della vampata e dello scatenarsi dell’incendio Palmina si proteggeva il volto coprendolo con entrambe le mani. Dall’aprile 2012, nella piazza adiacente al Comando della polizia municipale di Fasano, si può leggere una targa che ricorda questa ragazzina, vittima di una violenza crudele e del degrado sociale, che ha sacrificato la propria vita e la propria morte perchè fermamente decisa nella volontà di non assecondare chi voleva portarla sulla strada della prostituzione e ha avuto il coraggio di gridare la sua denuncia, nonostante la sua voce fosse oramai un filo.

Per approfondire la vicenda di Palmina, di seguito una puntata di Chi l’ha visto in cui viene raccontata la sua storia: http://www.youtube.com/watch?v=QXgyNRxMI30&feature=youtu.be

[Marta Silvestre per Mediapolitika]

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