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Reggio Calabria brucia

di Lucia Lipari il . Calabria

Bruciano le macchine, le attività imprenditoriali, brucia il centro sociale Cartella, brucia la Chiesa Ortodossa, brucia l’asilo nido, brucia il Museo dello strumento musicale con le sue infinite note. Assieme ai palazzi bruciano i sogni e vanno in fumo le speranze di riscatto dei tanti cittadini onesti, che popolano la città sulle rive dello Stretto. Ancora una volta Reggio Calabria è chiamata a fare i conti con una vile aggressione, perpetrata da un sistema criminale che tenta, con la violenza e con il fuoco, di annichilire ogni iniziativa nata per diffondere germi di libertà e cultura.

Se la criminalità organizzata, in una fase economica ed assai delicata per le sorti cittadine, ha scelto di alzare bruscamente il livello dello scontro, è indispensabile che Reggio, la sua comunità e le sue Istituzioni, dimostrino con fermezza e corresponsabilità, di non voler cedere il passo alla logica della paura. Le fiamme che hanno distrutto buona parte del Museo dello strumento musicale hanno generato una ferita gravissima al cuore di una città già dolente. Del Mustrumu, una realtà museale rara nel panorama italiano, custode di una collezione multietnica, quel che resta sono le ceneri.

Pasquale Mauro, direttore del Museo, durante l’assemblea pubblica indetta, ha chiesto a tutti di presidiare i baluardi della cultura:<La città deve meritare i propri tesori artistici. Il museo è nato nel 1994, grazie alla passione ed ai sacrifici di un medico reggino, Demetrio Spagna, vantava ottocento strumenti catalogati, secondo il sistema Hornbostel-Sachs, in cinque famiglie: Aerofoni, Cordofoni, Idiofoni, Membranofoni e Meccanico-elettrici. Duecento metri quadri dell’ex Stazione Lido, al centro della Pineta Zerbi ed a pochi passi dal famoso lungomare Falcomatà, per cui si pagava l’affitto alle Ferrovie. Non avevamo nessun comodato d’uso gratuito e non avevamo mai subito intimidazioni. Questo luogo era depositario di opere come quelle dei liutai Lavilla o come le chitarre battenti della scuola De Bonis, opere turche, albanesi, curde, ecc., un patrimonio bibliotecario unico, testi, vinili, video, foto>>.

Al Museo è stata strappata la sua memoria musicale, i ricordi di sempre e le collezioni che generose famiglie avevano donato, salvandole dalla polvere delle soffitte, volendo rendere di tutti un bene proprio, volendo rendere universale ciò che è particolare, perché, anche se spesso per opportunità lo si dimentica, il bene comune coincide con il bene proprio. Non si trattava di un museo di quelli sottovuoto, in cui l’aria era viziata, gli strumenti musicali erano chiusi dentro un teca. E’ stato molto triste vedere riversi a terra, privi di vita, senza corde, violini e contrabbassi. Ad occhi attenti non sarebbe sfuggito che di quei violini e contrabbassi ne restava tutta l’anima. Le chitarre dentro il Museo vivevano, l’organo vibrava, i tamburi rullavano, tutto davanti ad un pubblico d’eccezione: i bambini, gli studenti, che visitavano il Mustrumu.

<<Numerose erano le attività didattiche che si svolgevano al suo interno – prosegue ancora Pasquale Mauro – la cultura è sempre troppo scomoda, è ingombrante, è quella che si oppone alle mafie. Loro leggono il pericolo dove c’è cultura, non dove ci sono solo i soldi senza contenuti; hanno paura che i bambini possano formarsi una coscienza, questo toglie loro il terreno da sotto i piedi. Noi siamo sicuri che il fatto di aver lasciato in bella vista il combustibile e chiari segni di effrazione sia stato un avvertimento: dovete andare via, perché dobbiamo speculare su quest’area. Non è stato un attacco al Museo, ma alla città. Quest’area è molto appetibile perché ci sono in ballo lavori per 62 mln di euro, visto il progetto Waterfront del Museo Mediterraneo e l’adeguamento del lungomare>>.

Il fondatore del Museo, Demetrio Spagna, invece, chiosa il momento pubblico esortando alla speranza:<<non siamo qui a dare le nostre condoglianze ad una struttura chiusa. Ci siamo già rimessi in moto per salvare gli strumenti scampati al rogo. Cominceremo con una grande festa, nella quale, noi e tutti gli amici intervenuti, suoneremo e balleremo, perché questo dovrà essere ricordato come un momento in cui vincerà la musica e la voglia di continuare. Ricostruiremo il Museo>>. A testimoniare la propria solidarietà allo staff del Museo tanti reggini perbene ed il mondo delle associazioni: Libera, Legambiente, Reggionontace, Agesci, Arci, Stop’ndrangheta. Un grido assordante e corale si è levato contro le coscienze sopite dei tanti che guardano e lasciano fare. La vicinanza non è però sufficiente, dinanzi alla rovina impunita di chiese, asili, musei, dinanzi alla sicurezza ed alla serenità che la cittadinanza vede ogni giorno sgretolate e ridotte in un pugno di macerie. Non rimane altro che l’azione. E’ finito il tempo di commiserarsi, bisogna muoversi, richiamare tutti, unire le forze positive, affinché nella ricostruzione della città, ciascuno faccia la propria parte, consapevolmente e a difesa di quei tanto millantati valori etici e democratici, che i clan si arrogano il diritto di calpestare e schernire.

La corresponsabilità di tutti ricostruirà ciò che è stato distrutto, occorre, però, un linguaggio diverso, un maggiore impegno civile, uno scatto d’orgoglio, una punta d’utopia, quella stessa utopia che Gianni Rodari insegnava ai suoi bambini, spronandoli a fare le cose difficili, come parlare ai sordi o mostrare la rosa al cieco.

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