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Una battaglia culturale contro la ‘ndrangheta

di Lucia Lipari il . Calabria, Interviste e persone

Mimmo Nasone è stato recentemente rieletto referente regionale di Libera in Calabria: nella vita di tutti i giorni fa il professore di religione. Tappa fondamentale della sua storia è l’incontro nel 1970 con don Italo Calabrò, sacerdote reggino, che lo accompagna nella scelta del servizio agli ultimi e quindi nella decisione di diventare prete. Si spende così per la promozione dei diritti dei malati mentali, prima e dopo la chiusura dei manicomi, per l’affermazione della dignità “dei più piccoli della terra” e nel contrasto ad ogni forma di violenza e malaffare. Suoi maestri di vita sono stati anche Madre Teresa di Calcutta, che ha conosciuto personalmente, e i più poveri che ha incontrato. Anche dopo sposato, soprattutto grazie alla vicinanza e all’attenzione di don Luigi Ciotti, ha continuato la sua missione.Con lui abbiamo fatto il punto della situazione in Calabria, alla luce del nuovo impegno che lo attendere a livello regionale.

 

Qual è la situazione in Calabria in questo momento?

Partiamo da alcuni dati che ci fanno capire la situazione assolutamente pesante in cui versa la mia regione. I comuni sciolti per mafia dal 1991 ad oggi sono circa 53 e per alcuni consigli comunali questo è accaduto più di una volta, attualmente è grave il peso dello scioglimento del comune di Reggio Calabria; i beni ad oggi confiscati sono circa 1811 e molti di essi, imprese incluse, versano in stato di abbandono; i familiari di vittime innocenti della criminalità organizzata sono 85 e non tutti sono stati ancora riconosciuti; le persone accolte allo Sportello S.o.S. Giustizia sono un centinaio e hanno prevalentemente subito episodi di racket ed usura; i locali di ‘ndrangheta sonooltre 160 e continuano a crescere e radicarsi nei territori; altre piaghe sono la corruzione e la collusione: operazioni importanti come “Ada”, “Infinito”, “Crimine”, rappresentano i legami sempre più saldi tra ‘ndrangheta, massoneria deviata e politica compromessa. Diventa sempre più complesso nella nostra realtà sperimentare l’esigibilità dei diritti costituzionali con un conseguenteimpoverimento delle politiche sociali. Quanto detto descrive solo parzialmente la problematica situazione in cui operiamo, ma comunque ci aiuta a percepire come la presenza asfissiante della‘ndrangheta e la debolezza di uno Stato sentito poco vicino, tendano sempre più a condizionare la vita dei calabresi, inculcando tra l’altro una pericolosa mentalità di omertà e di rassegnazione.

Quali sono le radici di Libera in Calabria?

Nel 1995, quando Libera nasce, Reggio Calabria, ma anche altri territori della regione, avevano alle spalle una storia di impegno per contrastare le ingiustizie e le varie forme di violenza legate alla‘ndrangheta. Tra i protagonisti di quegli anni, fondamentale punto di riferimento era don Italo Calabrò, che a Reggio Calabria con la Caritas diocesana, il Centro Comunitario Agape, la PiccolaOpera Papa Giovanni, aveva avviato tante iniziative a servizio dei più emarginati. Altre esperienzeunivano all’impegno per la liberazione degli ultimi, una appassionata condanna della ‘ndranghetaed azioni concrete di educazione. Quelle esperienze hanno certamente favorito il radicamento di Libera in Calabria, che oggi è presente a Reggio Calabria, nella piana di Gioia Tauro, nella locride, nel vibonese, a Crotone e a Cosenza, a Scilla, a Bagnara, a Cirò, a Catanzaro.

 

Quali sono i presupposti dell’impegno di Libera in Calabria?

Proprio in questi ultimi mesi i vari coordinamenti e presidi, con la guida ed il sostegno di tanti amici ed amiche della presidenza nazionale di Libera, hanno avviato un percorso di ripensamentodella loro esperienza. Chi aderisce a Libera, anche in Calabria, deve contribuire a realizzare una missione che si fonda sulla consapevolezza di una grande responsabilità, che ci chiama tutti e ciascuno a far prevalere la logica del “noi”, intesa come condivisione di percorsi che interpellano innanzitutto le nostre scelte personali e comunitarie. A partire dalla conoscenza approfondita e documentata dei danni che la ‘ndrangheta e i suoi vari alleati provocano nei nostri territori, stiamo cercando di far crescere quella “fame e sete di giustizia” che ci permette di contribuire al cambiamento ed alla costruzione di una società più libera e giusta. Il primo lavoro che invitiamo a fare nei vari presidi e coordinamenti è quello di scoprire le storie delle vittime innocenti della criminalità, spesso dimenticate dopo pochi giorni dell’evento violento e sostenere i loro familiari. Libera deve necessariamente conoscere le cosche che dominano: bisogna studiare il loro sviluppo, le modalità da loro attivate per il controllo del territorio, i loro sistemi di intimidazione e di condizionamento, le loro alleanze e collusioni. E occorre seguire, per quanto possibile, i variprocessi che coinvolgono vittime e ‘ndranghetisti. Nel processo Meta, tra l’altro, si è costituita parte civile. Non possiamo permetterci superficialità e genericismi né tanto meno divisioni. Ci stiamo richiamando con forza a vigilare per far crescere la coesione matura e corresponsabile delle diverse realtà aderenti a Libera: il rischio di far prevalere personalismi ed autoreferenzialità è sempre presente.

Quali sono le azioni concrete attraverso le quali si traduce l’impegno assunto?

Recentemente abbiamo deciso di organizzare il nostro lavoro individuando alcuni gruppi tematici: beni confiscati, comunicazione, racket ed usura, memoria, formazione, sport. Questi gruppi  sono chiamati a programmare azioni appropriate ed adeguate ai vari contesti. Attualmente in Calabria esiste una ricchezza di iniziative frutto anche di scelte decise e coerenti: abbiamo due cooperativeLibera Terra, la “Valle del Marro” nella Piana di Gioia e “Terre Ioniche” nel crotonese, che gestiscono centinaia di ettari di terreni confiscati ai mafiosi. E danno opportunità di lavoro vero e liberato a una ventina di giovani. A Reggio e Catanzaro sono operativi due sportelli SOS Giustiziache finora hanno ascoltato ed accompagnato un centinaio di vittime. A Reggio è aperta una bottega della legalità dedicata al piccolo “Dodò Gabriele” di Crotone, gestita dalla Cooperativa Ichora, e dal  2010 cresce con una certa gradualità la campagna antiracket ReggioLiberaReggio, la libertà non ha pizzo. Ogni estate si organizzano i campi di lavoro che accolgono centinaia di giovani ed adulti provenienti da tutta Italia. Nelle scuole e nelle università si realizzano progetti mirati acoinvolgere nelle azioni formative docenti e alunni. I familiari delle vittime innocenti continuano ad essere testimoni attivi e propositivi per vincere la logica della rassegnazione e promuovere la formazione di coscienze orientate alla logica della non violenza e della giustizia. Certo è che, più cerchiamo di fare e costruire nella concretezza, più scopriamo che quello che facciamo è solo una parte del nostro dovere di cittadini. E sappiamo che potremo continuare a sentire l’urgenza dell’impegno solo se accogliamo il richiamo di don Luigi Ciotti, quel “morso del più” che non ci fa accomodare a contemplare gratificati le poche e piccole cose che riusciamo a fare pur con tanti limiti e fatiche.

Come svolge la sua attività di docente di religione, soprattutto in presenza di alunni le cui famiglie sono coinvolte in fatti di ‘ndrangheta?

Racconto le mafie in classe per riempire il vuoto che c’è. Non è semplice al Sud parlare di questi temi, soprattutto quando hai di fronte i figli di chi molti massacri li ha causati, i figli dei mafiosi.L’ora di Religione è una grande opportunità per seminare verità e giustizia, a partire da storie vere, storie che faccio presentare quando è possibile anche ai familiari delle vittime. E capita anche che qualche figlio o parente di mafioso in carcere cominci a porsi qualche domanda che gli consente di valutare criticamente la vicenda criminale che vive. Cerchiamo di “purificare” l’esperienza religiosa dalle assurde strumentalizzazioni dei mafiosi. E si fa una grande fatica a dimostrare l’assoluta incompatibilità tra fede cristiana e scelte di mafia. C’è una mentalità assai diffusa che considera possibile la convivenza tra fede e mafia, tra vangelo e violenza.

Come vengono percepite le Istituzioni?

Le istituzioni, nelle loro articolazioni territoriali, sono determinanti per far prevalere la giustizia edassicurare il riconoscimento dei diritti dei cittadini. La storia della nostra Calabria insegna che i calabresi non sempre hanno visto le istituzioni a loro servizio. Abbiamo ancora presente, i meno giovani, il rumore assordante dei carri armati utilizzati per stroncare la rivolta di Reggio  degli anni settanta. Così come non possiamo disconoscere i tradimenti della politica che, sempre negli anni del dopo rivolta, ha illuso i calabresi con promesse di opere fondamentali per lo sviluppo, ma quasi sempre non realizzate, senza rispettare le caratteristiche e le peculiarità della nostra terra “bella e amara”. Anche fatti recenti non hanno educato i calabresi ad aver fiducia nelle istituzioni: emblematiche sono le ultime dimissioni di alcuni sindaci che hanno motivato e documentato la loro scelta basandola sull’abbandono da parte dello Stato. Significativa è anche una frase che un mio alunno ha scritto nella parete dell’aula “le soddisfazioni che ti dà la ‘ndrangheta non te le dà lo Stato”. Il questionario che ho sottoposto in quella scuola a circa 200 studenti ha evidenziato che il 70% dei ragazzi era d’accordo con la frase. Non possiamo però essere disfattisti e disconoscere un impegno sempre più efficace della Magistratura, delle Forze dell’Ordine e di buona parte della Politica. La fatica più grande è di tipo culturale e consiste nel ridestare la speranza. Un cambiamento è possibile, ma  a condizione che ogni pezzo delle Istituzioni e della società civile faccia la propria parte, interagendo in una logica strategica che tenda a rispondere ai bisogni e ad assicurare a tutti i cittadini libertà e dignità.

 

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