Delitto Rostagno: cercare la verità, per consegnare giustizia
Il posto giusto per il ricordo di Mauro Rostagno è qui, nessuno se ne dolga. E’ qui che trova la sua migliore collocazione. Il perché sta nel nome di questo portale on line, “LiberaInformazione”. Rostagno fu ammazzato dalla mafia per la libertà con la quale informava i siciliani e i trapanesi in quegli anni ’80 dagli schermi di una tv locale, Rtc. Era il 26 settembre del 1988. Lo scenario sporcato dal sangue di Rostagno fu quello di Lenzi, campagne di Valderice, appena sotto la montagna di Erice, ad un paio di chilometri da Trapani e da Nubia dove Rtc aveva sede, un centinaio di metri dal baglio dove la comunità Saman, fondata da Rostagno assieme alla sua compagna Chicca Roveri e al guru Francesco Cardella, aveva la sua sede e si occupava di recupero di tossicodipendenti. Mauro Rostagno tornava con Monica Serra dalla redazione. Il killer la lasciò viva sebbene lei sedeva affianco a Rostagno che guidava la sua Duna di colore bianco.
Il sicario era uno bravo a sparare, c’era da colpire solo Rostagno e questo fece, eseguendo la sentenza di condanna a morte pronunciata dal tribunale di Cosa nostra. Venticinque anni dopo informare è ancora difficile in questa terra. La mafia la si continua a respirare nell’aria, te la trovi davanti, anche quando stai in un ufficio pubblico o dentro ad un istituto bancario. Te la trovi davanti quando c’è sempre qualcuno pronto a chiederti “ma tu a cu apparteni”, ma tu a chi appartieni. Te la trovi davanti quando il tuo interlocutore preferisce la solita via di mezzo tra un si e un no, quando ti spiega che tra la mafia e l’antimafia è meglio non schierarsi. Eppure ragioni per ricredersi di questi comportamenti ce ne sono diverse. Sono stati compiuti arresti, sono state pronunciate condanne, mafiosi, politici e colletti bianchi non sono rimasti indenni come forse pensavano di riuscire a fare in quegli anni ’80 quando Rostagno fu ammazzato perché il suo lavoro d’inchiesta lo avrebbe certamente portato a scoprire la mafia che in quel tempo cambiava pelle, diventava impresa e metteva i suoi uomini in politica.
Oggi dovremmo prendere atto, senza tanti interrogativi e dubbi che la mafia quella che ha commesso stragi e delitti in questi 25 è forte ma non ha vinto, è vero è è diventata ricca ed è facile percepire che le confische fatte finora sono solo la punta di un iceberg. Ma intanto bisogna dire ad alta voce la mafia non è rimasta impunita come i boss desideravano. Però la mafia c’è e resiste ai colpi che le sono stati assestati, perché c’è e resiste una politica debole. Questo è il dato odierno. La mafia è forte ma non ha vinto perché ha trovato magistrati e investigatori determinati a fare il loro lavoro. Contro questi però Cosa nostra ha trovato sponde importanti, politici per l’appunto. Politici pronti a vendersi per un pugno di voti, perché la mafia trapanese è una mafia che sa sparare quando è ora di sparare e sa votare bene quando è ora di votare bene. Ed ecco allora le pressioni che questa politica ancora oggi come nel passato cerca di mettere in atto. La mafia non ha bisogno di sparare perché c’è sempre un politico pronto ad agevolarla facendo trasferire un prefetto, mettendo sotto pressione un magistrato, promuovendo e trasferendo un investigatore. Pagando i giornalisti o mettendo loro il bavaglio, screditandoli quando non funzionano altri sistemi.
Ma non bisogna scoraggiarsi: rispetto a quel 1988 quando la morte violenta di Rostagno servì a spegnere quel coro che stava cominciando a far sentire la sua voce, oggi quel coro è tornato a essere presente, ci sono le associazioni antimafia e antiracket, c’è Libera, ci sono gruppi di giovani che fanno cultura che ci dicono, come hanno fatto le ragazze e i ragazzi di Ferus, che con l’arte è possibile sconfiggere la mafia. E’ vero non è una società civile numerosa quella che oggi opera contro le mafie ma è viva e presente e solo chi non la vuol vedere non la vede. Però il compito non è stato ancora assolto in pieno. Bisogna consegnare alle vittime delle mafie la verità, consegnando la verità si consegna giustizia. Non ci stancheremo di ripetere che questo non è solo il lavoro di magistrati e investigatori è un compito che ci riguarda tutti anche chi non veste le toghe e non porta distintivi. Cosa fare allora? Raccontare che la storia di Mauro Rostagno non è diversa dalle altre storie di altre vittime che vengono meglio ricordati e celebrati. E’ la storia di un uomo che ha combattuto per la libertà, per il riscatto degli oppressi, per consegnare…giustizia. Giustizia a quella madre dell’agente Antiochia che a lui affidò il compito di non arrendersi mai, a quella madre di quel giovane morto per overdose. La storia di Mauro Rostagno è analoga ad altre, anche lui è stato “mascariato”, ucciso una seconda, una terza, una quarta volta. Abbiamo il dovere di raccontare il vero Mauro Rostagno ognuno per la sua parte: chi lo ha conosciuto, chi ha lavorato con lui, chi ne ha tratti elementi leggendo atti processuali e seguendo il processo che da due anni si svolge dinanzi alla Corte di Assise di Trapani. Dobbiamo dire ai giovani di oggi che nella borsa di Mauro Rostagno presa dai carabinieri dall’interno dell’auto dopo il delitto non c’erano dollari come qualcuno fece subito sapere ai giornalisti che stavano in attesa davanti l’ingresso dell’obitorio dell’ospedale di Trapani. Non c’erano dollari, ma appunti e un’agenda che non si trova più. Oggi mi piace concludere così, dentro quella borsa ci sono i paramenti sacri che un sacerdote indossa quando va a celebrare messa in mezzo ai familiari delle vittime delle mafie.
Quella borsa è nelle mani di un uomo che ogni giorno predica il Noi per sconfiggere le mafie, don Luigi Ciotti. A lui la borsa la regalò Maddalena la figlia di Mauro, lei con Chicca, con sua sorella Monica, con la sorella di Mauro, Carla attendono verità e giustizia. E non sono più sole, come la mafia voleva che fossero.
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