Sentenza d’Appello “Infinito”, depositate le motivazioni. I giudici: “‘Ndrangheta in Lombardia è metastasi”
Depositate le motivazioni della sentenza d’Appello del processo “Infinito”. All’interno la conferma della pervasività e del tentativo di autonomia della ‘ndrangheta in Lombardia, rispetto alla “casa madre” calabrese. Il processo portò alla condanna degli imputati, pur con lievi riduzioni per una quarantina di loro rispetto alla sentenza di primo grado, fino a pene che arrivano a oltre 15 anni di carcere. 110 condanne di boss: dal “capo” della locale Pasquale Zappia, sino a Cosimo Barranca, capo della cosca di Milano, 12 anni per lui.
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I giudici nelle motivazioni in alcuni passaggi sottolineano il processo di “emancipazione e interazione tra le ‘locali’ (le cosche) di neoformazione in territori nordici”, della “influenza della cosche in vari settori dell’attività economica” e poi dei “tentativi, anche riusciti, d’infiltrare le amministrazioni locali per ottenere vantaggi”. Ma anche la paura e l’omertà: “l’assoggettamento delle vittime” degli episodi di intimidazione “che s’asterranno dallo sporgere denunce”. Paradossalmente, scrive la Corte d’appello, “la prova dell’esistenza del sodalizio mafioso affiora invece dalla sua stessa negazione, dalla diffusa omertà che porta le vittime a subire senza denunciare, a nascondere piuttosto che a rivelare”.
Non c’è bisogno al Nord , secondo i giudici, che “cittadini o singole vittime sappiano distinguere fra ‘locale’ e ‘locale'”, perché “la ‘ndrangheta si fa scudo della sua segretezza, della sua esteriore impermeabilità, nel contempo dimostrando in forma anonima la sua concretezza. Per i giudici la ‘ndrangheta in Lombardia è ormai una vera e propria metastasi”, una realtà “conclamata” e “capillare”.
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