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Giornalisti – Giornalisti

di Santo Della Volpe il . L'analisi

In questo giorno di memoria e impegno nel nome di Giancarlo Siani, noi vorremmo dedicare la sua  immagine ed il suo sacrificio al giornalismo, quello vero. Nel 1985, la nostra generazione, quella di Giancarlo, di tanti altri giornalisti oggi ancora in attività, era ancora alle prese con  una difficile battaglia di affermazione del “mestiere” di giornalista fatto di inchiesta, ricerca della notizia e della verità insieme. Eravamo giovani, certo, di quella età che offre entusiasmo e mille spunti di lavoro, insieme ad una grande forza di trascinamento e di reazione. Nelle redazioni sembravamo marziani (“questi vogliono cercare l’obiettività e la verità, ma qui non esiste né l’una né l’altra” dicevano i giornalisti impiegati dietro le scrivanie), eppure suscitavamo grande speranza in quei giornalisti che vedevano in noi giovani di allora un appoggio decisivo ad antiche lotte sindacali  di affermazione dell’autonomia, di battaglie per far uscire in pagine le notizie vere, quelle che parlavano di povertà, di persone dimenticate, ai margini della società, di disoccupati , di morti sul lavoro, di lotte sindacali.

Battaglie antiche che  vedevano in noi “giovani” la speranza nel cambiamento. Anche e soprattutto nella lotta alla  mafia, alle assoluzioni per insufficienza di prove a catena dei boss, contro quei direttori che spalleggiati da molti magistrati di antica formazione, dicevano che la “mafia” non esiste, che era una invenzione di intellettuali come Sciascia, di quei “comunisti” che vedevamo la mafia anche tra i professionisti, che parlavano di camorra e politica, di mafia ed appalti, di strani casi legati alla ricostruzione del post terremoto in Campania, di Cirillo e Gava, come di Andreotti e Riina, di industriali milanesi emergenti che ospitavano in casa boss mafiosi come stallieri.

Eppure, allora come oggi, nei confronti di quella generazione  ci fu una reazione  che usò le armi dell’assunzione, per cercare di arginare quell’entusiasmo e voglia di raccontare il nostro Paese: poiché le garanzie in Redazione erano abbastanza forti, il blocco vero di tante notizie che si ritenevano scomode, diventò, già allora l’accesso alla professione. “Quello è una testa calda” ,”quello vuole rompere le specchiere, come un elefante in cristalleria”, “ma che vuole fa, il Giornalista?”, erano le frasi mormorate nei confronti di chi era anche bravo, era anche uno che aveva le notizie, che faceva bene il nostro mestiere, ma che, cavolo, voleva mettersi contro i potenti, voleva scoprire  e scoperchiare veramente come andava il mondo… Allora andavano bene per scrivere ogni tanto, ma ben controllati,  serviva tenerli a bada…

Giancarlo era così: quella “Mehari” scoperta,  quel viso fresco e curioso, faceva storcere il naso a chi non voleva giovani assunti un po’ troppo curiosi in casa dei potenti DC dell’epoca, soprattutto in grandi  giornali che facevano opinione.  ED allora meglio fargli fare il precario, magari giornalista- giornalista, ma pagato a pezzo, con un contratto che metteva ogni giorno il suo articolo nelle mani di chi potev decidere di tagliarlo, buttarlo o pubblicarlo.

Vecchio metodo, ancora oggi attuale, ma con altre modalità: allora, nel 1985, eravamo tutti speranzosi, sicuri che una opinione pubblica ben informata si sarebbe rivoltata contro mafie, corruzione, politicanti  maneggioni ed affamati di tangenti. C’erano già state le prime avvisaglie di quello che sarebbe successo, ma  il Muro di Berlino era ancora in piedi, i patti con mafie e camorre, in nome degli affari e del “no” al  comunismo che copriva ogni sorta di malaffare era ancora in piedi.

Vent’otto anni fa Giancarlo Siani fu ucciso perché voleva fare il giornalista, oggi molti vogliono fare i giornalisti, ma non ci riescono: allora l’opinione pubblica cominciò a capire cosa si annidava nelle stanze del potere, ma le speranze andarono presto deluse, dopo Mani Pulite e le battaglie contro le mafie, incominciò una stagione di recessione, sia culturale che economica. Oggi l’esempio di Giancarlo Siani è ancora forte ed impegnativo, per molti giovani e molti di noi che abbiamo continuato, da giornalisti, quelle battaglie.   Giancarlo è il simbolo di un modo di fare giornalismo e di scrivere inchieste che mettano a nudo il potere e le corruzioni mafiose. Con onestà intellettuale e voglia di cambiare, in meglio, questo mondo.

Il ritorno in città, a Napoli, dell’auto nella quale fu ucciso, è il segno di un cammino che deve continuare, di un percorso che continua, Quel motore deve ripartire, per Napoli, per questo Paese e per tutti noi.

Giornalisti – giornalisti, appunto.

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