Diffamazione: l’ora della verità
Pochi giorni ancora e forse sapremo se questo Parlamento saprà’ rispondere agli impegni presi, anche solennemente, per riformare la legge sulla Diffamazione a mezzo stampa, adeguandola ai tempi, ma anche alle richieste dei cittadini, per una informazione libera e senza condizionamenti, capace di dare notizie e di non “infangare”. Perché’ finalmente dopo lunghe attese, un testo di legge base e condiviso, arriva in aula alla Camera dei Deputati: e’ necessariamente una mediazione, non può essere perfetto ma presenta alcuni pregi, alcune lacune, comunque e’ migliorabile. Innanzitutto, va rilevato che vi sono aspetti positivi nelle modifiche proposte. In primo luogo l’abolizione del carcere per i giornalisti accusati di diffamazione. Era un controsenso, una legge a tutela della libertà’ di stampa che prevedeva la privazione della libertà’, anche se limitata a casi limite. Vi e’ poi la esclusione dei blog dal controllo di questa legge che dovrebbe riguardare solo i siti giornalistici sul web registrati come organi di informazione presso il tribunale. Una innovazione importante, che presenta pero’ il primo dei 5 punti di criticità’ che vogliamo sottoporre ad una revisione da parte del Parlamento. Perché va risolta la contraddizione tra l’esclusione dei blog dalla legge e viceversa, la presenza, spesso massiccia, di blog all’interno dei siti web di testate giornalistiche . Come si possono escludere i blog dal controllo della legge sulla diffamazione, mantenendone invece l’efficacia tra lettori che compaiono nei siti web dei giornali e testate Internet registrate come giornalistiche? E’ una contraddizione che va risolta, altrimenti l’ applicazione della legge potrebbe non essere efficace o sfiorare l’incostituzionalità. C’e’ invece una innovazione positiva, l’inclusione nella legge di una forma di deterrenza per le Querele temerarie, con la presenza di una forma di “multa” per il querelante decisa dal giudice. Ma, e questo e’ il secondo punto di criticità che va superato, la cifra proposta, va da 1000 a 10000 Euro ; e’ troppo bassa per essere una vera deterrenza. Andrebbe alzata almeno arrivando “da 3000 a 30000 Euro”.
Va poi introdotta una forma di forte deterrenza anche per le cause civili di risarcimento che saltano la fase penale, uscendo così dalla legge sulla Diffamazione . Sono le vere Querele Temerarie, quelle che possono mettere in ginocchio la libertà di stampa: perché i boss mafiosi oppure i potentati economici che intentano querele in sede civile con richieste milionarie di risarcimento solo per impedire inchieste giornalistiche, oggi non corrono rischi. Abbiamo così proposto, come gruppo di lavoro dello Sportello contro le Querele Temerarie, l’aggiunta di un comma alla legge che preveda la possibilità per il giudice della sezione civile del tribunale, di condannare il querelante ad un risarcimento che vada in percentuale dal 10 al 50% della cifra inizialmente richiesta al querelato, nel caso sia dimostrata la manifesta infondatezza della querela e risarcimento connesso, inizialmente richiesto. In questo modo diminuirebbero, secondo gli esperti civilisti, le “tentazioni ” di ricorrere alla richiesta di risarcimento per impedire inchieste o articoli scomodi, soprattutto in casi di mafia o corruzione. C’è’ poi la questione della rettifica, terzo punto critico della riforma, a nostro avviso. Nella modifica della legge, si introduce giustamente l’obbligo della rettifica, a difesa dei cittadini che si sentono diffamati: ma si esclude il commento del giornalista o direttore alla rettifica richiesta. Perché non lasciare la discrezionalità al giornalista unita all’estinzione del procedimento penale e/ o civile? In poche parole basterebbe introdurre per legge che la rettifica pubblicata senza commento chiude la vicenda con soddisfazione del “diffamato”. Ma se il giornale ha solide prove in mano a sostegno di quanto scritto in precedenza, può tranquillamente controreplicare, ben sapendo che in questo caso si va poi in tribunale a “vedere le carte”. Infine altre due questioni del testo di modifica lasciano perplessi. Innanzitutto, rispetto al testo Costa inizialmente usato come base di partenza della discussione, e’ sparito il tetto di 30.000 Euro come tetto massimo del risarcimento che dovrebbe pagare il giornalista ritenuto “diffamatore”. Si lascia libera discrezionalità al giudice. Ma in questo modo aumenta il peso di quella “spada di Damocle” che grava sul giornalista che conduce una inchiesta delicata ,con nomi pesanti e potenti, il quale sa di poter incorrere in una vera e propria batosta economica, con danni per di più’ non quantificati ma discrezionali il che aumenta l’ansia e l’incertezza, togliendo comunque serenità’ di giudizio a chi sta conducendo il lavoro giornalistico.
Sarebbe come dire che la querela temeraria, nel testo di legge, viene introdotta e sanzionata da un lato, lasciandola inalterata dall’altro lato, dando al giudice la possibilità di un risarcimento da centinaia di migliaia di Euro. Una questione a arte riguarda il Giurì proposto inizialmente e’ poi sparito: ci chiediamo innanzitutto chi e quali forze l’hanno cosi’ precipitosamente accantonato. Come mai appena si arriva a questa forma di autoregolamentazione e decisione su possibili errori nella professione giornalistica, entrano in scena forze significativamente coese che fanno di tutto per evitare una forma di autonoma disciplina interna? Forse si saldano automaticamente persone e pensieri che da tempo affermano a gran voce che di CSM in Italia ce n’e’ già’ uno per i magistrati ed e’ sin troppo… Resta da capire allora come intervenire nell’ambito della professione giornalistica per sanzionare i comportamenti scorretti . La legge prevede solo multe salate? È perché la multa e’ così bassa per le querele temerarie mentre non ha un tetto nel caso di condanna del giornalista? La proposta di riforma della Diffamazione mette poi, positivamente, sullo stesso piano Giornalisti Professionisti e Pubblicisti nel caso di difesa delle fonti e rispetto del segreto professionale. Ma allora andrebbe almeno scritto nella legge, se non si vuole fissare un tetto, che la sanzione pecuniaria al giornalista deve essere proporzionale al reddito del giornalista stesso, almeno per salvaguardare i giovani cronisti precari (e pubblicisti, in molti casi) che spesso per 5 Euro scrivono articoli in terre di mafie e che rischiano querele e multe capaci di metterli sul lastrico. Da parte nostra, come giornalisti, va affrontata da subito una discussione per rafforzare l’Ordine dei giornalisti, per riformarne il ruolo in senso deontologico, eliminandone gli aspetti più vecchi e desueti. E’ l’altro aspetto della riforma della Diffamazione che noi dobbiamo esser capaci di offrire alla Pubblica Opinione, in difesa della dignità dei cittadini e delle garanzie costituzionali della nostra società. E connessa alla autoregolamentazione della professione giornalistica, c’e’ per concludere, in questa proposta di modifica della legge sulla Diffamazione, una questione aperta per la responsabilità dei direttori di testata che il testo di modifica della legge propone di spostare, a discrezione del giornale, su un giornalista che si faccia carico appositamente di questa delega di responsabilità . Non e’ una soluzione: innanzitutto perché’ non e’ tollerabile che direttori ed editori scarichino su un qualsiasi redattore, anche se graduato, le responsabilità editoriali e solo per i profili di legge. Oltretutto c’e’ il rischio di un conflitto con la legge sulla registrazione in Tribunale delle testate giornalistiche che prevede esplicitamente un Direttore Responsabile, a tutti gli effetti di legge. E poi, non dimentichiamo che la responsabilità del direttore di testata ha un valore anche morale ed editoriale, di copertura ed approvazione del lavoro del cronista; il lavoro giornalistico, ricordiamolo, e’ una opera collettiva . Se il giornalista fa una inchiesta oppure scrive una notizia importante quanto scomoda, deve sapere che il giornale, intero, dal direttore al collega cronista, approva ed incoraggia il suo lavoro prendendone la responsabilità nei suoi vertici editoriali. Altrimenti il rischio e’ l’isolamento, pericoloso dal punto di vista delle conseguenze personali ed economiche.
Questi i punti da riformare ulteriormente che sottoponiamo al Parlamento. C’e’ poi una stranezza comparsa all’ultimo momento come aggiunta al testo base. Nelle aggravanti stabilite dall’articolo 13, viene introdotto il concetto di ” consapevolezza della falsità'” quando viene attribuito un fatto determinato “falso” ad una persona. A parte la formulazione un po’ astrusa, non vorremmo che l’introduzione del concetto di “consapevolezza” finisse per rendere incerta e difficile l’applicazione della legge stessa. Come si fa infatti a determinare la consapevolezza della falsità di un fatto attribuito ad una persona da un giornalista? Chi lo stabilisce ? E con quali strumenti? Forse la macchina della verità? Non era meglio lasciare la precedente formulazione dell’articolo 13 scritta nel testo base “Costa” che parlava solo di ” fatto determinato” senza infilarsi nel labirinto della consapevolezza?
Osservazioni e criticità’. Ovviamente tralasciando le innovazioni positive, che pure ci sono nel testo in discussione alla Camera, ci aspettiamo ora che i legislatori tengano conto di queste osservazioni e proposte. E ci aspettiamo interventi che tengano sempre presente il punto di partenza di queste proposte,ora come sempre: il diritto dei cittadini ad essere informati correttamente e senza diffamazione si deve coniugare con il diritto- dovere dei giornalisti ad informare senza alcun condizionamento, in piena libertà di coscienza ,nel rispetto della propria deontologia professionale. Ora scatta l’ora della verità, oltre le buone intenzioni.
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