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Cie e clandestinità nell’UE

di Piero Innocenti il . Senza categoria

Bucarest (Romania), settembre 2013. I quarantacinque minuti di aria nel cortile angusto di un centro di identificazione per stranieri “clandestini” sono terminati. La “ricreazione” è finita e si rientra nelle camerate ad oziare in attesa di essere “dimessi”.Il tempo massimo di “detenzione” con il provvedimento, anche da queste parti, sottoposto all’esame di un giudice, è di 18 mesi rinnovabile a scaglioni di sei mesi. Inghilterra: nei dieci centri esistenti (quasi tutti gestiti da agenzie di sicurezza private), gli stranieri irregolari possono essere trattenuti per un tempo indeterminato. Germania: é il paese che ha il maggior numero di centri per stranieri (34), con un tempo massimo di permanenza di 18 mesi. Inadeguata l’assistenza sanitaria specialistica, assente (o carente) quella legale, quasi azzerata la possibilità di contatti con il mondo esterno. Francia: un “clandestino” può essere trattenuto “solo” per 45 giorni, con la convalida di un giudice che interviene solo dopo 5 giorni dal fermo ( questo comporta un’alta percentuale di espulsioni senza la convalida). Spagna: sette centri su tutto il territorio, in stato precario, a volte di vero degrado, con provvedimenti espulsivi che seguono procedure confuse e dove il tempo di permanenza massimo è di 60 giorni. Svezia: con i suoi 5 centri di identificazione, gestiti anche qui da agenzie private e dai servizi sociali, e con un tempo massimo di trattenimento di 12 mesi, è il paese che garantisce una buona libertà di movimento all’interno, l’accesso da parte di soggetti esterni e visite senza particolari limitazioni. Il panorama europeo, dunque, è estremamente variegato e riesce difficile comprendere come mai le istituzioni comunitarie non siano riuscite ancora a disciplinare in modo uniforme una materia così delicata. Molte delle legittime e documentate critiche che sono state fatte nei riguardi dei Cie italiani possono ben essere avanzate anche in altri paesi europei e questo non per voler attenuare le responsabilità di casa nostra o per cercare di distogliere l’attenzione versoaltri paesi. C’è la reale esigenza, innanzi ad un fenomeno migratorio verso l’UE in continuo aumento, di armonizzare una politica migratoria comune e coerente. Altrimenti si continuerà a leggere e ad ascoltare soltanto belle dichiarazioni politiche di solidarietà e di comprensione e nulla di più. Due parole vanno anche dette sulle differenze tra i paesi europei che riguardano anche ilreato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio nazionale (quello che nel linguaggio comune e giornalistico si continua a chiamare, impropriamente, come reato di clandestinità); ferma restando la  mia opinione personale, che ho già più volte espressa, della sua inutilità sia sul piano della “deterrenza” che su quello del “contrasto” (l’ammenda di 5mila euro prevista come sanzione penale non l’ha pagata nessun “clandestino” da quando la norma è entrata in vigore, cioè dal 2009) e auspicando che possa essere abolito. Si va dalla Spagna, dove la “clandestinità” non è reato ed è sanzionata con un’ammenda, alla Germania che la punisce con la reclusione da 1 a 3 anni (in caso di recidiva), ma solo se l’ingresso avviene con dolo. L’ipotesi colposa, invece, costituisce un illecito amministrativo sanzionato con ammenda fino a 5mila euro ( che pochi pagano!). In Inghilterra, l’ingresso e il soggiorno illegali, se dolosi, prevedono da una multa alla reclusione di 6 mesi che aumenta sino a 2 anni se non si ottempera all’ordine di espulsione. Minore severità in Belgio, dove è previsto il carcere fino 3 mesi per lo straniero irregolare, mentre in Danimarca si arriva fino ad 1 anno di reclusione o una sanzione pecuniaria.

Armonizzazione comunitaria, dunque, necessaria prevedendo trattenimenti, sanzioni, tempi e modalità diverse dalle attuali, più rispettose dei diritti umani e certamente evitando la legislazioneisraeliana che prevede addirittura 5 anni di carcere per l’immigrazione clandestina, aumentati a 7,se gli stranieri provengono dai paesi considerati “nemici” e cioè Iran, Afghanistan, Libano, Libia, Iraq, Pakistan, Yemen e Palestina.

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