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Migranti e scafisti

di Piero Innocenti il . Internazionale

Raccogliendo le testimonianze degli stranieri che arrivano via mare sulle nostre coste (21.200 al primo settembre, di cui oltre 17mila profughi), ci si può render conto dei tanti drammi umani di queste popolazioni ma anche della profonda disumanità delle persone impiegate, nei vari livelli e con diverse funzioni e ruoli, nell’azienda criminale che commercia esseri umani. Il lavoro investigativo che viene svolto dai vari team interforze, sin dal primo contatto a terra con i migranti, in particolare a Lampedusa, è accurato e puntiglioso. Sono fondamentali attente perquisizioni personali e sui natanti al fine di ricercare ogni utile elemento suscettibile di sviluppo investigativo (annotazioni, utenze telefoniche,nominativi, carte nautiche) Gli “appunti” redatti dagli operatori di polizia contengono elementi informativi preziosi che consentono di ricostruire le rotte e le modalità utilizzate dai trafficanti, di individuare le basi di partenza, gli scafisti, le persone che hanno “custodito” i migranti in abitazioni alle periferie delle città, di fare collegamenti con particolari già acquisiti ed hanno come destinatari immediati gli uffici periferici della Polizia di Stato competenti per territorio e le articolazioni centrali del Dipartimento della Pubblica Sicurezza per il necessario coordinamento informativo, anche a livello internazionale, che verrà attivato. La composizione del puzzle investigativo richiede tempo e (molta) pazienza. In questo settore, si ha a che fare con una criminalità che ha segmenti e succursali in diversi paesi dove, vuoi per i precarissimi equilibri politico istituzionali ivi esistenti che per una scarsa propensione (a volte dolosa) alla cooperazione internazionale, si lavora con pigrizia e disattenzione. Per i risultati operativi, quando arrivano, occorrono mesi di lavoro, talvolta anni.

Lo testimoniano alcune delle oltre cento operazioni antitratta e contro il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina svolte dal 2008 ad oggi dalle forze di polizia italiane. In alcuni casi, come noto, sono emerse anche cointeressenze tra la criminalità organizzata autoctona (mafie siciliana, calabrese e pugliese) e i sodalizi stranieri che gestiscono il traffico. Difficile, comunque, arrestare i capi delle organizzazioni di trafficanti che godono, oltretutto, nei vari paesi, di protezioni politiche e di complicità delle gerarchie militari. In genere i provvedimenti di cattura colpiscono i passeurs e gli scafisti ( e altri addetti alla logistica), cioè tutte persone che hanno i ruoli più esposti essendo a contatto con i migranti e quelli più facilmente identificabili dato che spesso sono colti nella flagranza del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Per inciso,nel 2012, sono stati arrestati 187 scafisti e basisti in ambito nazionale. Quest’anno, alla data del primo settembre, gli arresti sono stati 88. Più difficile già individuare i membri dell’organizzazione che vanno alla ricerca dei “clienti”, i cosiddetti “procacciatori” che sono delle più diverse nazionalità (nigeriani, pachistani, egiziani, eritrei, libici). Sono quelli ai quali ci si rivolge su indicazione di qualcuno fidato, indicati con un nome abbinato ad una località araba e descritti in modo sommario con riferimenti all’età,alla statura, alla corporatura. A loro viene consegnato l’anticipo del prezzo pattuito per il “viaggio”. Il saldo verrà corrisposto al momento dell’imbarco sul gommone, prima di iniziare la traversata e, comunque, prima dell’eventuale trasbordo su una “nave madre”. I patti prevedono che se il primo viaggio non va a buon fine è assicurato, gratis, un secondo viaggio.

I procacciatori vanno anche in giro, come capita di vedere nella zona della 10 Street di Tripoli, anche per “arruolare” i migranti per lavori manuali e umili. Insomma, anche da queste parti esiste la piaga del “caporalato” che si aggiunge alle altre tragedie umane che vive la Libia.

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