Lotta alle cause che determinano migrazioni
La politica generale dell’immigrazione, nel nostro paese ( da anni, per inciso, non viene più redatto il relativo Documento programmatico governativo previsto dal Testo Unico del 1988), continua a basarsi sulla esigenza di ridurre il flusso d’ingresso e di aumentare quello in uscita con rimpatri, espulsioni, respingimenti alla frontiera, allontanamenti. Si è perseguito questo obiettivo – in particolare, in un recente passato, con esponenti politici al Governo fortemente ostili verso gli stranieri – soprattutto rendendo difficile la vita dei migranti, riducendone i diritti, aumentando gli ostacoli alla loro inclusione, anzi, prima di tutto, sottoponendoli all’umiliazione dei respingimenti in mezzo al mare, verso la Libia, come è capitato a centinaia di uomini, donne e bambini che avrebbero potuto richiedere asilo. Insomma, una sistematica lotta ai migranti che, però, “.. garantiva consenso elettorale..” come ebbe a dire, poco tempo fa, l’ex ministro dell’Interno Maroni (cfr. l’articolo di Marco Cremonesi a pag. 3 del Corriere della Sera del 15 luglio u.s.). Considerato che la presenza straniera in Italia è sempre aumentata negli ultimi anni, non si può certo dire che la strategia governativa delle fortificazioni dei confini e dell’inasprimento normativo (introduzione, tra l’altro, nel 2009, del reato contravvenzionale di “clandestinità”), abbiano centrato l’obiettivo. Sono serviti soltanto ad incrementare i flussi migratori via mare, che sono i meno costosi ( quasi 16mila le persone sbarcate sulle nostre coste alla data dell’11 agosto cui si aggiungono i 2.441 stranieri “irregolari” rintracciati nel solo mese di luglio sul territorio nazionale) e ad aumentare le morti nel Mediterraneo ( le ultime sei il 10 agosto, nel mare di Catania), gli incidenti sul lavoro degli irregolari, le sofferenze di tanta gente. Intendiamoci, è giusto ed auspicabile desiderare che i flussi migratori si riducano perché espressione netta di una diffusa disuguaglianza globale, di ingiustizie, di povertà, di oppressioni, di disastri ambientali.
I migranti mettono a repentaglio la propria vita, soffrono lo sradicamento, si espongono ad un fallimento esistenziale. Ha un senso la “ricetta” che viene di tanto in tanto sbandierata dell’”aiutiamoli a casa loro”? A me pare molto ipocrita. Gran parte dei paesi che l’hanno richiamata hanno devoluto pochi fondi alla cooperazione internazionale. L’Italia, secondo il rapporto OCSE del 2012, è in coda alla classifica europea e tra gli ultimi paesi a livello mondiale (in rapporto al Pil) in tema di stanziamento di aiuti. Siamo i primi, però, nelle forniture made in Italy a Libia e Tunisia ( ed altri paesi africani) di diverseimbarcazioni per controllare le coste (con risultati fortemente deludenti), di fuoristrada ed altrecostose apparecchiature per vigilare i confini terrestri libici. Chi sostiene l’aiuto in casa loro lo fa, a ben vedere, più per insofferenza verso una società multietnica ( come è l’Italia) che per un dovere di solidarietà verso i più poveri, ritenendosi detentore di un primato morale e culturale di popolo “superiore”. Quello che appare rimosso dal dibattito pubblico nazionale sul tema ( a parte i vergognosi insulti contro la ministra Kyenge e le ridicole proposte di “soppressione” del suo ministero) è che i paesi in via di sviluppo più che di essere aiutati avrebbero un gran bisogno di non essere danneggiati e spogliati dai paesi più ricchi e potenti. E’ vero che molti fuggono a causa di regimi oppressivi, ma ci si dimentica quanto l’Italia ed altri paesi dell’occidente , per interessi vari, hanno contribuito a mantenerli e a foraggiarli ( vedi le dittature di Ben Alì e di Gheddafi).Senza contare la vendita di armi e attrezzature belliche a paesi in perenne conflitto o le devastazioni ambientali (e la corruzione) praticate da Eni e altre compagnie petrolifere nel delta del Niger. Rimuovere le cause dell’emigrazione con un’azione seria di cooperazione allo sviluppo è fondamentale, nella misura in cui si cambiasse totalmente la pratica neocolonialista che ancora si applica ai paesi cosiddetti poveri ma ben forniti di materie prime che fanno gola ai paesi ricchi. Si deve passare dalla falsa logica dell’”aiutiamoli a casa loro” a quella del “non sfruttiamo e nondanneggiamo le terre dove quegli uomini vorrebbero poter vivere tranquillamente”.
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