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Rassegna stampa 25 luglio 2013

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Voto di scambio. Dibattito politico intenso sulla modifica dell’articolo 416-ter del Codice penale relativo al voto di scambio politico-mafioso. Dopo l’anticipazione di Repubblica di ieri, la dura presa di posizione del magistrato Raffaele Cantone e del presidente di Libera don Luigi Ciotti, il Pd fa marcia indietro e prepara delle madifiche. Sul sito del quotidiano si legge che: “”Il Senato correggerà certamente il testo”, ha assicurato il presidente dei senatori del Pd Luigi Zanda”. Sulla stessa linea, la presidente della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, Anna Finocchiaro: “Non possiamo permetterci di sbagliare nulla”. Mentre il M5S attacca: “Il ddl venga esaminato in aula”. I democratici però insistono per l’approvazione in commissione e chiedono di riaprire i termini per gli emendamenti. La decisione è rinviata a lunedì, quando si riunirà l’ufficio di presidenza che dovrà dirimere la questione”.

La Stampa fa una ricostruzione dell’iter che ha portato all’approvazione delle modifiche in Commissione Giustizia alla Camera: “Tutto comincia a Montecitorio quando il Pdl, con il capogruppo in commissione Giustizia Enrico Costa, presenta nei mesi scorsi una serie di emendamenti al testo sul voto di scambio che introduceva, rispetto alla legge attuale, solo l’ aggiunta dell«altra utilità. Costa chiede che il testo cambi prevedendo che il reato scatti quando «chiunque accetti consapevolmente il procacciamento di voti» in cambio «dell’erogazione di denaro o di altra utilità». Anche la pena la vuole diversa: dal tetto massimo dei 12 anni passi ai 10. Costa difende le sue scelte spiegando che si deve avere la «consapevolezza» che quello che promette sia un mafioso e assicurando che non si possono mantenere i 12 anni «visto che è la stessa pena prevista per il concorso esterno in associazione mafiosa», che è una condotta continuata nel tempo e non un «fatto singolo» come lo scambio di voti”.

Il Fatto Quotidiano pubblica un’intervista di Giuseppe Pipitone al pm palermitano Vittorio Teresi, che definisce la riforma “gattopardiana”. Nel testo dell’intervista si legge che: “È una finta riforma, stanno cambiando tutto perché nulla cambi”. Anche Vittorio Teresi, procuratore aggiunto della direzione distrettuale antimafia di Palermo, si unisce al coro di voci critiche sulla modifica dell’articolo 416 ter del codice penale. “A leggere il testo della modifica, mi sembra si tratti di una riforma gattopardiana”.

Cosa nostra. Allarme e tensione a Palermo. Le forze dell’ordine hanno aumentato il livello di protezione al sostituto procuratore Nino Di Matteo, tra i protagonisti dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, in seguito a segnalazioni attendibili. La Repubblica pubblica la notizia nell’articolo a firma di Salvo Palazzolo, dove si legge che: “il livello di protezione per Di Matteo è salito dal secondo al primo. Ovvero, al massimo. In Italia, sono solo una ventina le personalità che hanno questa scorta. Così, adesso, Di Matteo viaggia protetto dentro un corteo composto da tre auto blindate, in cui ci sono nove carabinieri (fra Gis e nucleo scorte di Palermo). Sotto l’abitazione del magistrato c’è invece una vigilanza fissa. Altri carabinieri si occupano di “bonificare” le strade e i luoghi più frequentati dal pm”.

‘Ndrangheta. Si ritorna a parlare dellex senatore De Gregorio, principale accusatore di Sivlio Berlusconi nel processo per la compravendita di parlamentari in via di definizione a Napoli. A farlo è Il Fatto Quotidiano, nell’articolo a firma di David Perluigi e Nello Trocchia sui rapporti tra De Gregorio e Massimiliano Colangelo, ritenuto vicino al boss della ‘ndrangheta Nicola Femia. Nell’articolo si legge che: “Circa un anno fa, tra maggio e giugno 2012, l’allora senatore Pdl Sergio De Gregorio incontrava ripetutamente Massimiliano Colangelo, uomo che poi si è scoperto vicino al potente boss di ‘ndrangheta Nicola Femia, il re dei videopoker.  Ilfattoquotidiano.it può documentare gli incontri tra l’ex parlamentare e l’uomo in contatto con i clan. De Gregorio abbandonava l’auto e lasciava la scorta ad aspettare prima di iniziare la sua passeggiata consueta ogni sabato mattina su via Po a Roma con Colangelo, un inserito promotore finanziario e immobiliare nella Capitale. Quando, nel gennaio scorso, su richiesta della Procura di Bologna, il gip dispone l’arresto del boss Nicola Femia, nell’ordinanza cautelare spunta anche il nome di Massimiliano Colangelo, “per il quale la procura – si leggeva nell’ordinanza – procede separatamente”.

Il Sole 24 Ore pubblica un articolo del giornalista Roberto Galullo sulla cittadina calabrese di Scalea, dove recentemente è stata decapitata l’amministrazione comunale con l’accusa di essere collusa con i Muto di Cetraro.  “Ma – evidentemente – qualcosa a Scalea non andava per il verso giusto se è vero che, come si legge nell’ordinanza, il 19 agosto 2007, Francesco Adiletta, socio lavoratore della Logistica Adiletta e responsabile dell’esecuzione dei servizi svolti dalla società in quella zona, riferiva, in via informale, al comandante ed al vice comandante della Stazione dei Carabinieri di Scalea, di avere subito intimidazioni con finalità estorsive anche se si rifiutava di sporgere formale denuncia pur dichiarandosi disponibile a collaborare con gli inquirenti. Per lui la strada era una sola: abbandonare Scalea”.

 

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