Legge sulla diffamazione: la strada si è aperta
Uno spiraglio, una speranza, questa volta potrebbe essere possibile arrivare ad una modifica della legge sulla Diffamazione che sia rispettosa dei diritti dei cittadini e del dovere di informare correttamente ma anche liberamente da parte dei giornalisti. Le audizioni di questi giorni della Commissione Giustizia della Camera, che ha incardinato la discussione sulla modifica della Legge, lasciano sperare che si possa giungere al traguardo. È una speranza da tradurre in fatti, però. Ed a questo passo attendiamo il Parlamento, al quale sono arrivate da parte del mondo del giornalismo e dalle associazioni, le osservazioni e gli simboli adatti. L’audizione dei direttori dei giornali, canali tv e telegiornali, dei direttori delle agenzie di stampa, hanno fornito importanti indicazioni che devono ora tradursi in modifiche di legge. Che devono seguire, come abbiamo detto nell’audizione del 18 luglio, alcune linee guida per noi importanti, direi irrinunciabili, pur sapendo che poi si deve arrivare ad una sintesi delle proposte.
Per noi il punto di partenza resta quel diritto costituzionale delle persone ad essere rispettate nella propria dignità e di essere informata con professionalità, in modo completo corretto e, aggiungiamo, senza condizionamenti di sorta. Perché l’informazione o è libera, oppure non è informazione. Purtroppo abbiamo assistito in questi anni ad un uso della legge sulla diffamazione, in particolare in sede civile con le “Querele temerarie”, come una clava da parte dei poteri forti, delle mafie, dei clan e dei corrotti, contro l’informazione, i giornalisti che fanno inchieste, che vogliono approfondire i fatti e scoprire gli affari loschi, quelli a favore di pochi potentati ed ai dati della comunità.
Le modifiche alla legge sulla Diffamazione devono agevolare il lavoro dei giornalisti e la loro libertà, che per primi noi stessi (giornalisti) vogliamo sia usata per allargare la democrazia della conoscenza, non certamente a favore di pochi per entrare nelle controversia politiche oppure economiche per far pesare il piatto della bilancia a favore dei soliti noti. Partiamo dunque dal principio che il mondo dell’informazione non chiede immunità per i giornalisti ma il rispetto del diritto-dovere di informare. Per difendere questo diritto costituzionale è necessario che il cronista o l’opinionista sappiano di avere intorno a sè una redazione, una azienda editoriale che li difenda dagli attacchi esterni, una comunità sociale che valorizza il loro lavoro e la loro libertà.
Non è accettabile che si separino gli aspetti di responsabilità legale dei redattori da quelle dei direttori degli giornali o radio o tv. Pur sapendo che il mondo dell’informazione è cambiato, che il numero di articoli e di pagine di giornale o sito web è considerevolmente aumentato, che non tutto è controllabile, resta il principio della responsabilità collettiva, del gruppo redazionale che lavora e che fa inchieste, che pubblica non lasciando mai soli i cronisti, soprattutto quelli impegnati in delicate inchieste sulla corruzione, sulle mafie, sui traffici illeciti.
La legge deve poi aiutare i piccoli editori, i giornalisti free-lance, le cooperative giornalistiche, ad evitare il pericolo di incorrere nell’uso intimidatorio delle querele temerarie, da parte di quei potenti o mafiosi che minacciano la richiesta in sede civile di risarcimenti milionari per evitare che vengano pubblicate notizie ed inchieste. Oggi questi querelanti “temerai” non rischiano nulla. Deve esserci una deterrenza, una forma di disincentivo, un risarcimento al querelato in caso di querela riconosciuta manifestamente infondata, che impedisca il ricorso alla minaccia facile che colpisce oggi i giornalisti più indifesi (come i precari o chi è pagato anche 5 Euro ad articolo), così come le inchieste dei giornalisti delle grandi testate, come ci ha dimostrato il caso Report.
Per questo diciamo che l’abolizione del carcere come pena per i giornalisti è un fatto di civiltà, che la pena carceraria va abolita, ma che in cambio di una forma sanzionatoria forte per chi sbaglia oppure usa l’informazione come “macchina del fango”(sanzione decisa un organismo come l’Ordine dei Giornalisti con un apposito organismo riconosciuto dalla legge), la legge deve stabilire forme di tutela dei giornalisti più esposti contro ogni forma di querela usata come spada di Damocle sul collo di chi fa inchieste. Nello stesso momento chiediamo attenzione a distinguere, su Internet, i Blog dai siti giornalistici.
Proprio per salvare il diritto alla libertà di opinione, chiediamo attenzione per non aprire la strada ad interventi che in futuro potrebbero diventare censori. Ed attenzione chiediamo per una legge che elimini l’obbligo i rettifica per i libri, un controsenso che obbligherebbe molti piccoli editori a chiudere per le spese che dovrebbero sopportare; che dia alla rettifica il suo ruolo di difesa dell’onorabilità delle persone, ma senza trasformare la rettifica in una smentita delle responsabilità di criminali o potenti colti on le mani nel sacco. Significa che la rettifica pubblicata senza commento del giornalista deve estinguere l’azione civile o penale successiva. Ma anche che il commento del giornalista alla rettifica sia possibile, lasciando in questo caso alla persona che si sente diffamata, la possibilità di adire per vie legali.
Ed infine che la legge nuova riconosca il nuovo mondo dell’informazione dove ormai tanti giovani pubblicisti fanno inchieste e pubblicano notizie, spesso molto serie: anche a loro va estesa la tutela del segreto professionale che oggi vale solo per i professionisti. Sono spunti, proposte. Altre, come l’abolizione del concetto di recidiva, la prescrizione dell’azione civile dopo un anno, il tetto massimo del danno patrimoniale proporzionato alla potenzialità economica del giornalista e comunque non superiore a 30.000 Euro, il diritto all’oblio con la rettifica pubblicata nella stessa pagine della prima notizia che riguarda un cittadino citato in un articolo, sono state portate all’attenzione della Commissione Giustizia nel l’audizione del 18 luglio.
Ora ci aspettiamo che i commissari ed il Parlamento ascoltino i suggerimenti, con fiducia e qualche speranza.
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