Rassegna stampa 18 luglio 2013
Processo Mori. Tiene banco su tutti i giornali online la notizia dell’assoluzione dell’ex generale del Ros Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu dall’accusa di favoreggiamento aggravato nei confronti di Cosa nostra. Dopo un lungo processo durato cinque anni, la Quarta sezione penale del Tribunale di Palermo assolve gli imputati perchè il fatto non costituisce reato. Diverse le reazioni della stampa. Il Corriere della Sera pubblica un commento di Giovanni Bianconi, parla delle possibili ricadute sul processo in corso, sempre a Palermo, sulla trattativa Stato-mafia. Scrive Bianconi: “C’è un bel pezzo del processo sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia che rischia di vacillare, dietro l’assoluzione dell’ex investigatore di punta dell’Arma dei carabinieri Mario Mori. La sentenza di ieri non riconosce solo l’innocenza del generale, è anche un colpo vibrato all’impianto dell’altro dibattimento appena avviato”.
Anche Il Fatto Quotidiano, nell’articolo a firma di Giuseppe Pipitone, sottolinea le possibili ripercussioni sul processo sulla trattativa: “Quella di oggi è una sentenza importante e forse storica, nonostante si tratti soltanto di un primo grado di giudizio. Il processo sulla mancata cattura di Provenzano incrocia infatti da mesi un’inchiesta più importante: quella sulla trattativa tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra. Nel novembre del 2011 i pm palermitani avevano infatti contestato a Mori di non aver volutamente arrestato Provenzano “per assicurare a sé e ad altri il prodotto dei reati di cui agli articoli 338, 339, 110 e 416 bis” ovvero di non aver messo le manette a Binnu ‘u Tratturi in nome del patto sotterraneo siglato con Cosa Nostra”.
La Repubblica pubblica un commento di Attilio Bolzoni nel quale si legge che: “Questa sentenza…alla resa dei conti, è un segnale di una parte della magistratura a un’altra parte della magistratura. E’ una decisione che segnala un cambio di marcia clamoroso. E’ un verdetto che va ben oltre il verdetto e indica una nuova strada ai procuratori, dopo una lunga stagione dove la pubblica accusa ha trovato in tanti casi una certa “comprensione” nei colleghi giudicanti. In sintesi, è un avvertimento: dovete modificare il vostro modo di costruire le inchieste”.
Netta la posizione de Il Foglio, nell’articolo a firma di Claudio Cerasa dove si legge che: “L’assoluzione del generale dei Ros – arrivata contro ogni pronostico “dei pappagalli delle procure e degli avvoltoi da talk-show”, come Mori aveva definito a inizio giugno nel corso di una lunga autodifesa al tribunale alcuni famosi opinionisti “addestrati a emettere condanne o assoluzioni sulla base dei propri orientamenti ideologici e abituati a educare nei propri lettori il culto della presunzione della colpevolezza a priori” – apre a tutti gli effetti un nuovo capitolo del romanzo sulla trattativa. Un capitolo in cui il processo condotto dalla procura per dimostrare come, a partire dal 1992, un pezzo di stato sarebbe sceso a patti con i mafiosi, generando una serie di drammatici eventi a catena come la morte del giudice Paolo Borsellino, oggi incredibilmente si ritrova a sua volta sotto processo”.
Arresto Ligresti. Grande spazio viene riservato dalla stampa nazionale anche alla notizia dell’arresto della famiglia Ligresti, disposto dalla Procura di Torino che indaga sulla società assicuratrice Fonsai. Numerosi i commenti e le ricostruzioni sulla famiglia di origini siciliane per decenni ai vertici della finanza italiana. L’Unità, nell’articolo a firma di Rinaldo Gianola, scrive: “L’arresto di Ligresti e dei suoi figli rappresenta la caduta di un campione della finanza e del potere nazionale, un protagonista di oltre trent’anni di battaglie, di scalate, di interessi, di commistioni tra politica ed economia ingentilite dalle generose partecipazioni in ospedali, università private e varie opere di carità, in una Milano ricca, opulenta, ingiusta, dove la politica ha lasciato progressivamente il campo alla voracità di una razza predona che pare non cambiare mai e che, di padre in figlio, alimenta dinastie abituate al privilegio, all’arroganza del denaro e del censo”.
Il Giornale, nell’articolo a firma di Gian Maria De Francesco, scrive: “…anche quella di Ligresti è una storia di «salotti buoni», quei circoli ristretti della finanza di relazione nella quale il costruttore siciliano era riuscito a farsi largo grazie ai buoni uffici di un altro siculo, Enrico Cuccia. E non è un dettaglio che fosse stato il «delfino» del creatore di Mediobanca, Vincenzo Maranghi, a scegliere Ligresti come «cavaliere bianco» per Fondiaria, per proteggerla dall’Opa su Montedison. E non è un dettaglio che prima dell’uragano l’Ingegnere avesse invano cercato una sponda in Vincent Bolloré, socio francese forte di Piazzetta Cuccia che gli aveva prospettato un intervento di Groupama, fallito causa l’obbligo di Opa”.
Il Corriere della Sera, infine, nell’articolo a firma di Sergio Bocconi, scrive: “Carriera iniziata come dice la leggenda negli anni Sessanta con un sopralzo e che ha visto Salvatore conquistare nel ventennio successivo il titolo di «re del mattone» e l’appellativo di «Mister 5%» per il network di partecipazioni che ha accumulato. Nella «Milano da bere» di craxiana potestà Ligresti costruisce, vende, compra finché non lo ferma il ciclone di Mani Pulite con 112 giorni trascorsi a San Vittore. Lui però si risolleva e nel luglio 2001 fa il grande salto, rilevando Fondiaria dalla Montedison sotto assedio (a vendergliela è Mediobanca). La fonde con Sai. Nel gennaio 2003, quando Fonsai approda in Borsa, vale 1,6 miliardi. A fine 2006 ne capitalizza 5. Poi l’ingegnere e i figli affondano la compagnia in una spirale di operazioni con parti correlate e occultamenti vari, conti che i pm ritengono falsati. Risultato: 2 miliardi di perdite nel 2011 e 2012”.
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