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La solitudine delle sindache calabresi

di Alessandro Russo il . Senza categoria

di Alessandro Russo  – A un certo punto capisci che sei sola. Le strette di mano, i convegni di chi ti porta in giro come una medaglietta, che ti promette fondi per i servizi pubblici, per gli asili, le strade, le scuole, si dissolvono nel tempo in cui si esauriscono il flash di un fotografo e i secondi di una ripresa televisiva. Non ci sono più flash quando i cittadini bussano alla porta – ti spiegano che non vogliono essere cittadini di serie B – e tu sei costretta a fare i salti mortali. Non ci sono flash quando subentrano la stanchezza, la sfiducia negli altri, in quelli che a telecamere aperte avevano promesso sostegno e vicinanza.

Ripensi alle intimidazioni continue, non solo quelle eclatanti che arrivano a bruciare le abitazioni e i ricordi familiari, a mettere in pericolo la vita dei tuoi cari, ma soprattutto quelle fatte di fango, tanto fango, di cattiverie, di sorrisetti, che mettono in discussione la buona fede e l’integrità del tuo impegno. Pugnalate, sempre alle spalle.

da sinistra Girasole, Lanzetta, Cardamone e Tripodi

Pensi che da una parte c’è la ’ndrangheta che ti tiene continuamente sotto pressione, dall’altra ci sono le istituzioni e i partiti che parlano, parlano, parlano. In mezzo ci stai tu, di fronte hai i cittadini calabresi, i tuoi concittadini che come il “testimone silenzioso” di Kieślowski stanno in silenzio, non si muovono, guardano. Un tempo avevi creduto che un giorno il testimone silenzioso sarebbe riuscito a diventare un testimone attivo, oggi ti dici che questo, forse, non avverrà mai. E allora decidi che devi dare un segnale forte, agli altri, ma soprattutto ai tuoi cari e a te stessa, alla tua vita sotto scorta o sotto tutela.

Maria Carmela Lanzetta si era già dimessa da sindaco di Monasterace, ma dopo l’intervento in pompa magna della Commissione antimafia e dell’allora segretario del Pd, Pierluigi Bersani, aveva deciso di tornare sulla sua decisione. Nella foto ricordo con il segretario esponeva una maglietta, regalatale da un dipendente comunale, con la scritta “Na nuci nta nu saccu non faci scrusciu”, una noce nel sacco non fa rumore. «Il senso della frase – come aveva spiegato lei stessa – è che da soli non si va da nessuna parte: i piccoli passi in avanti sulla strada della legalità si possono fare soltanto tutti insieme». Oggi Maria Carmela Lanzetta ha capito he in quel sacco altre noci non sono entrate. Le dimissioni rese note due giorni fa sembrano irrevocabili.

La miccia che ha fatto esplodere una delusione contenuta da anni è stata la scelta di un assessore di non votare la costituzione di parte civile in un processo che vede coinvolto, tra gli altri, un ex tecnico comunale. Ma il malessere ha radici profonde. Maria Carmela Lanzetta ha raccontato a Repubblica che è delusa dalla politica, da chi pensa solo alle strategie e non alle persone, da chi non capisce che anche mettere una semplice lampadina in una strada diventa un’impresa titanica, se le casse dell’ente che amministri sono in dissesto. Poi, in una lettera al quotidiano online Zoomsud, ha spiegato di non voler stare ad attendere ancora un segnale concreto dopo tante “belle parole” per essere poi scaricata come Carolina Girasole. Sì, Carolina Girasole, celebrata in tutta Italia come sindaco antimafia di Isola Capo Rizzuto, un altro centro calabrese diventato esempio di un intelligente e proficuo riutilizzo dei beni confiscati alla ’ndrangheta, poi lasciata sola, anche lei, con una sconfitta elettorale e l’incendio dell’abitazione estiva di famiglia.

Il movimento delle donne sindaco antimafia in Calabria, che comprende anche Elisabetta Tripodi a Rosarno e Anna Maria Cardamone a Decollatura, sta subendo la progressiva involuzione del movimento dei sindaci della “primavera della Piana di Gioia Tauro”.  Movimento che, intorno agli anni Novanta, portò alla vittoria di amministrazioni progressiste e dichiaratamente antimafia nei principali centri della parte tirrenica della provincia di Reggio Calabria, oltre che nel comune capoluogo. Quelle amministrazioni ebbero tutte una costante: da una parte l’entusiasmo popolare iniziale, una grande esposizione mediatica, un sostegno dichiarato dei vertici nazionali dei partiti del centrosinistra; dall’altra una diffidenza – se non un dichiarato ostruzionismo – delle locali sezioni dei partiti di riferimento. A livello locale mai nessuno si sognò, ovviamente, di contestare l’impegno antimafia. I problemi erano sempre altri: di indirizzo, di metodo, di opportunità, di programma. Anche allora non c’era un termine tecnico per definire il logoramento programmato in politica. I partiti nazionali non si esposero quasi mai, o si esposero troppo poco, per imporre ai partiti locali un sostegno convinto, senza se e senza ma, a quelle amministrazioni. La primavera della Piana di Gioia Tauro si consumò, lasciando solo un sogno di libertà e legalità in una terra consumata dalla ’ndrangheta. Oggi la storia si ripete, consumando anche l’esperienza delle donne sindaco antimafia in Calabria: questa volta, forse, con maggiore consapevolezza di quanto stia accadendo.

Venerdì e sabato la presidente della Camera Laura Boldrini sarà in Calabria per incontrare Maria Carmela Lanzetta, Carolina Girasole, Elisabetta Tripodi. Da calabrese non mi aspetto che parli, che dica, che prometta, che convochi conferenze stampa. Mi aspetto che, una volta tanto, chi rappresenta le massime istituzioni in Italia ascolti quello che queste donne calabresi hanno da dire. Ma ascolti davvero. È l’unico modo per iniziare a rompere il cerchio grigio della solitudine.

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