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Trattativa Stato – mafia: il processo rimane a Palermo. Ma in aula aspettiamo l’Italia intera

di Umberto Di Maggio il . L'analisi

E’ di competenza della Corte di Assise di Palermo il procedimento giudiziario in corso nel capoluogo siciliano sulla “trattativa” Stato – mafia. La conferma che spazza via ogni dubbio è arrivata oggi. Sono state, infatti, respinte le eccezioni presentate nell’udienza dello scorso 27 giugno dagli avvocati difensori degli imputati nel processo. Rimane, inoltre, stralciata la posizione di Zu Binnu, il capomafia corleonese Bernardo Provenzano, per le sue gravi condizioni di salute.

Gli avvocati della difesa avevano eccepito l’incompetenza territoriale e funzionale del tribunale palermitano chiedendo che lo storico processo che vede imputati ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, ex politici e boss di Cosa Nostra venisse trasferito a Caltanissetta se non addirittura a Roma o Firenze.

La Corte, presieduta da Alfredo Montalto, ha convocato le parti per il 26 settembre ed il 10 ottobre. Il luogo sarà ancora una volta l’aula “Grandi processi” del Carcere Ucciardone di Palermo. Un posto che trasuda Storia e che richiama a grandi ed importanti vittorie della nostra Repubblica nei confronti della criminalità organizzata. In quel bunker, a prova di attacchi aria-terra, venne letta 26 anni fa la storica sentenza del Maxiprocesso che inchiodava la mafia siciliana alla sue colpe. In quelle celle verdi, oggi vuote, il 10 febbraio 1986 e il 16 dicembre 1987, sfilarono più di 400 imputati di cui 119 in contumacia. Lì furono inflitti 2665 anni di carcere e più di 40 ergastoli. Dopo quella sentenza Cosa nostra diede inizio,  come hanno ribadito più volte  i pm, alla stagione stragista:  l’omicidio Lima, le bombe di Capaci, via D’Amelio, Firenze, Roma e Milano.

Per questo processo che rimane saldamente a Palermo e vede imputati i vertici dello Stato, la speranza è che non vi sia più il clima ostile che caratterizzò proprio gli ultimi giorni di lavoro di quel pool antimafia. Noi non dimentichiamo, a pochi giorni dal 19 luglio, che in tanti osteggiarono il lavoro di Falcone e Borsellino e degli altri magistrati. Diversi furono i canali: dalle lamentele al giornale cittadino di quella signora palermitana nei confronti delle auto di scorta che sfrecciando nelle strade della sua Palermo le impedivano di di fare l’abituale pennichella pomeridiana, ad altri attacchi che arrivarono attraverso le prime pagine dei giornali nazionali e regionali. Altri tempi. Adesso, forse (ci auguriamo…) l’aria è cambiata. La speranza è che gli spalti di quella sala siano popolati, sempre più nelle  prossime udienze, da cittadini, associazioni, studenti in arrivo da tutta Italia e pronti a dare il proprio sostegno alle sete di verità e giustizia di questo nostro Paese. Il desiderio è che questo processo sia, al tempo di internet e dei social network, quanto più seguito, narrato, vissuto, partecipato.

Perché non possiamo permetterci una verità giudiziaria che non sia anche verità storica. Ed è compito della Giustizia verificare se alcuni pezzi deviati dello Stato hanno trattato con la mafia, a che titolo e con che condizioni. Fin quando prevarrà la Speranza ci sarà spazio e motivo di credere che l’Italia è una Repubblica democratica e che “la legge è uguale per tutti”.

Noi  saremo in quell’aula, ad ogni udienza,  per conoscere, vigilare, informare. Ma serve che l’Italia intera sia  in quel tribunale, al fianco dei magistrati, dalla parte della Legge, a rappresentare uno Stato che non tratta con la mafia e con i fiancheggiatori dei mafiosi.

Noi ci saremo, dunque,  ma aspettiamo l’Italia intera.

 

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Umberto Di Maggio

Umberto Di Maggio nasce a Palermo durante le stragi di mafia degli anni '80. Cresce nei vicoli della periferia, nel meticciato del Mediterraneo, mentre la città viveva la sua Primavera. Fugge rabbioso nel Continente per trovare la desiderata pace. Il sogno di un terra libera, invece, lo rimette in viaggio verso Itaca. Oggi, felice, coordina "Libera - associazioni, nomi e numeri contro le mafie" nell'Isola. Diritti, libertà, democrazia sono per lui il pensiero plurale di una Sicilia emancipata dall'infame peso di mafie e corruzione. Sociologo, è autore di “Siciliani si diventa”, un racconto che denuncia i traffici delle mafie internazionali nel mediterraneo. Sostiene Libera Informazione perché Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato, Mauro Francese, Giuseppe Fava, Giancarlo Siani, Mauro Rostagno, Beppe Alfano sono giornalisti uccisi delle mafie. Nella loro memoria il mio (ed il nostro) impegno.

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