Fanno arrestare figlio del boss
Il primo lo hanno preso, immobilizzato e gli hanno tagliato i capelli che portava raccolti in una coda. Il secondo lo hanno colpito con un cacciavite. Il terzo lo hanno investito mentre era in bicicletta. L`ultimo si chiama Ion. Lo hanno pestato con un mattone. E calci e pugni fino a lasciarlo in una pozza di sangue. Era il 10 agosto del 2011. Ad aprile Luigi Mancuso, 19 anni, è stato condannato per tentato omicidio con l`aggravante del razzismo. Cinque anni di reclusione in primo grado. I rumeni hanno testimoniato, gli italiani non hanno visto niente. «La speranza è che i cittadini prendano esempio dall`atteggiamento collaborativo di quegli stranieri che hanno subito i gravi reati per cui si procede», dice il Procuratore di Vibo Mario Spagnuolo.
Mancuso e il complice – 18 anni – erano sicuri dell`impunità. Più volte avevano usato il nome della ‘ndrina per promettere vendetta. Il padre – uscito dal carcere – avrebbe «ammazzato parecchi rumeni nella zona». «I miei fratelli di Limbadi mi proteggono», aggiungeva. Le aggressioni sono avvenute di fronte a decine di testimoni impauriti. Verso la fine di ottobre, a casa di Sheau sarebbe andato un uomo per avvertirlo. Gli uomini che ti hanno aggredito sono molto pericolosi, gli avrebbe detto. Se parli ti uccideranno.
Gli abitanti del luogo – a differenza degli stranieri – sanno bene chi hanno di fronte. Luigi è figlio di Peppe, uno dei boss più importanti, detto «mbrogghjia», imbroglia. Secondo i collaboratori di giustizia il nomignolo deriva dall`abitudine di eliminare i nemici col doppio gioco.
I Mancuso sono specializzati nel narcotraffico con laColombia. La Commissione Antimafia li definì il «clan finanziariamente più potente d`Europa». Negli anni scorsi uno dei boss fu eletto sindaco del suo paese nonostante all`epoca fosse latitante. Qualche anno fa, nel porto di Gioia Tauro, fu sequestrata un`enorme quantità di cocaina mimetizzata all`interno di lastroni di marmo destinati a una piccola ditta della zona.
Ion Sorin Sheau, bracciante agricolo, ha un nome troppo complicato. In paese era per tutti «Antonio». Dopo l`aggressione è rimasto per qualche giorno all`ospedale di Catanzaro, in condizioni disperate. Le lacerazioni alla scatola cranica, al volto e al torace lo hanno portato a un passo dalla morte. Al risveglio ha iniziato a parlare.
Per sessanta giorni due ragazzini hanno perseguitato la piccola comunità rumena del luogo. Senza alcun motivo. Alcuni testimoni, pesantemente minacciati, hanno preferito fuggire all`estero. Adesso i colpevoli sono stati condannati, ma solo grazie al coraggio dei lavoratori stranieri. Non è la prima volta che accade. A Locri la comunità indiana era perseguitata dai criminali locali. Anche in quel caso trovò il coraggio della denuncia. A Rosarno il caso più celebre. A dicembre 2009 gli africani denunciarono in massa l`uomo che aveva ferito due braccianti. Era il killer del clan Pesce.
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