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Nella patria delle mafie

di Piero Innocenti il . Senza categoria

Per un serio programma di sicurezza, la prima delle cinque priorità ritenute “irrinunciabili” dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera, in un documento elaborato più di cinque anni fa (aprile 2008), era rappresentata dalla necessità di liberarsi dalle organizzazioni mafiose. Nella premessa di tale rapporto, si ricordava come “.. in Italia, e in nessun altro paese avanzato, operano tre potenti, radicate e ramificate organizzazioni criminali, mafia, ‘ndrangheta e camorra, che condizionano la vita pubblica e l’economia di tre regioni, che per numero di abitanti, complessivamente 12milioni, potrebbero costituire l’undicesimo Stato del continente europeo, ed estendono la loro presenza nelle altre regioni italiane, in molti paesi europei ed extraeuropei”. Basterebbe soltanto questa annotazione per chiedersi come sia possibile che il nostro paese continui a sopravvivere, come sia possibile che la nostra democrazia non sia riuscita a scrollarsi di dosso le mafie, come possa l’Italia esser competitiva e serena con tale fardello di strutture criminali. Strutture per il cui contrasto occorrono risorse umane, professionali, finanziarie e mezzi in quantità tali da non avere termini di confronto con nessun altro paese al mondo. Mafie che si sono andate consolidando per decenni, che sono ormai stabili, con propri organigrammi, proprie leggi, propri gruppi dirigenziali. Mafie che si sono trasformate nel tempo sotto lo sguardo disattento, tollerante, complice talvolta, di una classe dirigente locale e nazionale alla ricerca  soltanto di consenso  elettorale e di potere. Mafie disconosciute ancora nei decenni passati da procuratori generali e da cardinali, da eminenti cattedratici e da alti funzionari delle forze di polizia. La lotta contro le mafie, in realtà, non ha mai rappresentato la priorità permanente. Ci si è accorti della potenza delle mafie soltanto quando queste hanno “osato” contrapporsi a  segmenti importanti dello Stato. Si pensi all’invio in Sicilia, molti anni fa, durante il periodo fascista, del prefetto Mori  o, più di recente (negli anni Ottanta) l’azione del pool antimafia a Palermo conclusosi con il maxiprocesso. Con i risultati ben noti a tutti: il richiamo di Mori a Roma dopo i primi successi, o l’isolamento prima e l’uccisione poi di Falcone e Borsellino con le stragi del ’92.

Intanto il mondo del crimine organizzato è stato in continuo movimento ed espansione a livello internazionale. Guai a pensare che sia statico, immobile. Se non si individuano queste trasformazioni non si possono cogliere le profonde novità che si vanno registrando. Il nostro paese è la conferma più evidente di tutto ciò. Le mafie nostrane non rappresentano un mondo statico. Se a questo aggiungiamo il fatto che da oltre quindici anni ai criminali di casa nostra si sono affiancati quelli che provengono dai paesi stranieri, abbiamo allora un quadro davvero preoccupante. Cosa sappiamo davvero della criminalità cinese presente, ormai, quasi  in ogni regione? Che cosa dei gruppi nigeriani e delle loro associazioni paramassoniche? Che cosa dei gruppi serbi? Tanto per citare le principali mafie straniere che si sono stabilmente insediate sul territorio nazionale Ma questo tema non pare essere più la priorità dell’informazione nel nostro paese retto da un Governo delle “larghe intese”. Le mafie sono ormai globalizzate. Le antimafie no! E probabilmente non lo saranno mai. Per avere qualche speranza di liberarsi da questo insopportabile peso sarebbe necessaria una forte volontà politica ( che non si vede da decenni) e una diffusa disponibilità sociale disposta ad impegnarsi in questa sorta di guerra di liberazione nazionale. Direi una sfida planetaria. Una partita giocata anche contro la complicità insospettabile di professionisti, di finanzieri, di  pezzi della massoneria e della politica. Una partita disperata perché siamo perdenti sul piano economico, politico, culturale, educativo, etico. Da quaranta anni almeno  sentiamo parlare di collusioni e silenzi compiacenti di banche, di impenetrabili segreti bancari, di società off shore . Non che il nostro paese rischi di diventare uno Stato-mafia. Alle mafie non conviene. La realtà è che conviene a molti che ci sia una “palude” e la massima opacità nei sistemi bancari e finanziari. Meglio convivere, poi,  con istituzioni inefficienti che sostituirvisi. Viviamo in un paese che presenta un evidente deficit di statualità. Non siamo, cioè, né uno Stato mafia né uno Stato autorevole. Con le mafie si tratta. In segreto. Da sempre.

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