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‘Ndrangheta e Lega Nord: blitz della Dia nell’ambito dell’inchiesta sul presunto riciclaggio di denaro della cosca De Stefano

Alessia Candito per "Il Corriere della Calabria" il . Calabria

Venticinque abitazioni passate al setaccio, insieme a tre sedi societarie, più sei accessi bancari: non si ferma l’indagine della Dda di Reggio Calabria che  nel ricostruire i canali di riciclaggio e reimpiego del denaro della cosca De Stefano ha incrociato i destini e i fondi della Lega, il partito del Senatur pizzicato a stornare soldi in Tanzania utilizzando le medesime rotte del noto clan reggino. Fin dalle prime ore dell’alba gli uomini della Dia sono al lavoro  in Lombardia, Liguria ed a Reggio Calabria, probabilmente seguendo anche le piste delle rivelazioni che l’ex tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito ha deciso di fare ai magistrati che da oltre un anno indagano su di lui. Un’inchiesta che si fa sempre più complessa ed oggi vede fra le ipotesi di reato anche la violazione della Legge Anselmi sulle società segrete servita in passato per smantellare la P2. Per gli inquirenti reggini infatti, la lega sarebbe al centro di una complessa triangolazione fra ‘ndrangheta, massoneria e la vecchia struttura dell’eversione finalizzata anche al riciclaggio di denaro sporco.
A fare da trait d’union fra queste realtà, Romolo Girardelli, destinatario mesi fa di un avviso di garanzia per una serie di reati che vanno dalla truffa al riciclaggio, aggravati dalla contestazione dell’associazione mafiosa e il sedicente avvocato Bruno Mafrici, nato a Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), ma residente a Milano, ex consulente del ministero alla Semplificazione, titolare di società dalle ragioni sociali più diverse, faccendiere e socio di uno dei più importanti studi di Milano, la Mgim dell’ex tesoriere dei Nar, Lino Guaglianone. Un altro calabrese – natio di San Sosti, in provincia di Cosenza – che dopo la parentesi eversiva che gli è costata una condanna per partecipazione a banda armata a cinque anni di detenzione, ridotta di qualche mese in appello, a Milano ha fatto fortuna. Fallito il tentativo di ricostruirsi una nuova verginità politica in An – naufragato insieme al clamoroso insuccesso alle regionali del 2005 nonostante l’appoggio dell’ex Ministro Ignazio La Russa- Guaglianone sembra aver relegato la politica agli “incontri conviviali”, come quello dell’aprile 2011, quando nella sua casa  milanese approderanno “per vedere una partita” il governatore Giuseppe Scopelliti, Giuseppe Sergi, ex assessore al Comune di Reggio Calabria e oggi commissario all’Asi di Reggio Calabria e Gioia Tauro, il dirigente della Regione Franco Zoccali e l’assessore regionale alla cultura Mario Caligiuri. E nel frattempo, colleziona incarichi di prestigio. pubblici e non. È presente nel cda di Ferrovie nord,  in Fiera Milano Congressi spa e  nel collegio sindacale della Finman Spa dell’immobiliarista calabrese Mario Pecchia, già noto alle cronache giudiziarie – ma mai indagato –  per l’inchiesta Cerberus, sul monopolio del movimento terra costruito dalle ndrine al Nord. Ma il cuore del suo business rimane la Mgim.
Società con sede milanese a un passo da San Babila –  crocevia storico della destra milanese e della finanza che conta –  ma cuore calabrese come gran parte dei suoi soci – insieme a Mafrici e Guaglianone,  c’è il reggino Giorgio Laurendi e c’era, fino al marzo 2009, un altro reggino d’origine, Antonio Italica- la Mgim curiosamente si è scoperta punto di riferimento non solo per la galassia che ruota attorno a Belsito, ma per il gotha dell’imprenditoria reggina. Soprattutto quella chiacchierata. Quella toccata o lambita dalle indagini dei magistrati delle Dda di Reggio e Milano che hanno iniziato a indagare sui fallimenti Montesano come sulla presenza dei Tegano nella Multiservizi (Operazione Astrea), sugli affari di Mucciola con il Pio Albergo Trivulzio (Operazione Redux Caposaldo), così come sui tentativi di acquisizioni di cliniche lombarde da parte di Pasquale Rappoccio (Operazione Mentore) e sono finiti inevitabilmente a via Durini 14. Lì dove i fili di affari diversi ma ugualmente ambigui si incrociano e si trasformano in una matassa. Un groviglio che forse gli inquirenti hanno iniziato a sbrogliare a partire dalla rete di uomini e rapporti che ha messo nei guai la Lega e il suo ex tesoriere, Francesco Belsito.
Ufficialmente procacciatore di business, Girardelli, conosciuto come “l’ammiraglio”,  che di Belsito è stato l’ultradecennale socio, anche per gli inquirenti non è uno sconosciuto. Del resto, può vantare amicizie tra la ‘ndrangheta che conta. Fin dal 2002, anno in cui venne indagato per associazione di stampo mafioso, il nome dell’Ammiraglio appare spesso assieme a quello di Paolo Martino e Antonio Vittorio Canale, considerati le teste di ponte della cosca De Stefano al Nord Italia. All’epoca gli inquirenti lo accusarono di aver “messo a disposizione le proprie competenze – si legge nel decreto firmato mesi fa dal Gip di Reggio Calabria, Francesco Petrone, per autorizzare le perquisizione nei domicili personali e professionali degli otto indagati dell’inchiesta Breakfast- finalizzate a fornire supporto logistico alla latitanza di Salavatore Fazzalari, esponente di spicco della ndrangheta calabrese, attraverso la messa a disposizione di somme di denaro a ciò destinate: alla negoziazione, allo sconto ovvero alla monetizzazione di ‘strumenti finanziari atipici’ di illecita provenienza”. Da allora, i giudici seguono le sue tracce. Secondo gli investigatori coordinati dal pm reggino Giuseppe Lombardo, Girardelli potrebbe essere uno degli incaricati di occultare e far fruttare il tesoro della cosca De Stefano lontano dalla Calabria e dagli sguardi delle Procure. Una pista che ha portato fino alla cassaforte della Lega Nord e a chi ne teneva in mano le chiavi: Francesco Belsito. L’Ammiraglio e il tesoriere della Lega – scoprono gli inquirenti – sono entrambi soci della Effebi Immobiliare, società con sede a Genova e attiva nel settore immobiliare e commerciale. I rapporti fra i due sono tutto meno che occasionali ed a rivelarlo è lo stesso Girardelli, che il 23 dicembre scorso, litigando furiosamente con l’ormai ex tesoriere della Lega, si sfoga “per il comportamento tenuto da Belsito in questi dieci anni di collaborazione”. Dieci anni durante i quali i due hanno collezionato affari di ogni natura e drenato centinaia di milioni di euro.
Affari come quello che riguarda la Polare Scarl, riconducibile all’imprenditore veneto Stefano Bonet, destinatario oggi di un avviso di garanzia e fra i protagonisti dell’inchiesta che ha messo nei guai lo Stato maggiore del Carroccio. Secondo i magistrati, è proprio tramite il gruppo Bonet e il suo promotore finanziario di fiducia, Paolo Scala, che Belsito ha fatto transitare a Cipro e in Tanzania quei sei milioni di euro che nell’aprile scorso hanno messo nei guai la Lega. Ma il coinvolgimento dell’imprenditore veneto negli affari di Belsito e Girardelli potrebbe essere molto più profondo. Bonet decide infatti di affidare all’Ammiraglio, anche in virtù del suo legame con il tesoriere della Lega, all’epoca consigliere d’amministrazione di Fincantieri, la filiale genovese della ditta nella speranza di “accaparrarsi commesse da parte delle più importanti realtà societarie genovesi, in particolare Fincantieri e Grandi Navi Veloci”.

 

Ma c’è di più. I nomi dei tre tornano ancora nella sospetta triangolazione tra la Siram, società che opera nel settore degli impianti tecnologici e del riscaldamento, grande mattatrice di pubblici appalti al Nord come al Sud, la Polare e la Marco Polo. Stando al meccanismo ricostruito dagli investigatori, la Siram – con la quale la Polare “ha stipulato un accordo commerciale nel settore dell’innovazione e della ricerca, giovandosi del patrocinio politico di Belsito” – acquista servizi dalla Polare per circa 8 milioni di euro. Questa a sua volta compra consulenze per 7 milioni dalla Marco Polo, quindi attraverso quest’ultima, la medesima cifra torna nuovamente alla Siram. Stesso meccanismo sembra governare i rapporti fra Siran, Polare e Fin.tecno. Nei diversi passaggi, ci sono centinaia di migliaia di euro, che si disperdono in mille rivoli, per confluire poi nelle più diverse tasche, come quelle del  tesoriere della Lega Belsito. Ma soprattutto,  sospettano gli inquirenti, c’è un unico vero dominus: Romolo Girardelli. Potrebbe sembrare una storia di ordinaria malversazione, ma Girardelli non è un uomo qualunque. Girardelli è un uomo dei De Stefano. Ed è proprio per conto della cosca De Stefano che l’Ammiraglio insieme agli altri indagati avrebbe compiuto, secondo gli inquirenti, sofisticate operazioni bancarie di esterovestizione e filtrazione per occultare la provenienza illecita delle risorse. Scrive il gip  Petrone: “Il suo ruolo non è secondario, anzi, basta attenzionare quanto emerge dalla conversazione captata il 29 agosto 2011 tra l’avvocato Bruno Mafrici e Francesco Belsito per capirne il peso, allorquando i due si lamentano della prepotenza nella gestione degli affari da parte del Girardelli, che pretende il 50% e che da questa somma lo stesso non paga nulla mentre il Belsito è costretto a pagare le tasse (emissione di fatture per schermare le operazioni)”.
E proprio il sedicente avvocato Mafrici, calabrese d’origine ma milanese per business e affezione, è per gli inquirenti una delle figure chiave dell’intera inchiesta. Coinvolto nell’operazione della Dia scaturita dalle indagini sugli affari di Girardelli, Mafrici nel corso degli ultimi mesi è stato chiamato in causa dalla Procura di Reggio Calabria per chiarire il suo ruolo e la sua presenza in diversi affari e misteri che lo hanno visto protagonista in riva allo Stretto. Dal progetto di speculazione edilizia sull’ex fabbrica Vilardi che potrebbe essere costato la vita al broker di Ina Assitalia, Giovanni Filianoti, all’informale consulenza prestata alla cordata di imprenditori e ras del mattone reggini determinati ad   acquisire le quote private della Multiservizi un tempo in mano alla Fiat, fino alla  Siram, azienda campione di appalti a Palazzo Alemanni, agli ospedali Riuniti, alla Provincia di Reggio Calabria e all’università Mediterranea,  il nome di Mafrici si rivela una costante.
Vicinissimo a esponenti della destra eversiva come Lino Guaglianone e al boss Paolo Martino, oggi in carcere per l’operazione “Redux”, Mafrici sarebbe  stato il personaggio che curava i rapporti tra imprenditori, politici e lobbisti. E non solo. Dietro personaggi come Girardelli e Mafrici, dietro la galassia di interessi che rappresentano, ci sarebbero i De Stefano, anima nera e vero dominus della ndrangheta reggina in grado di proiettarsi agevolmente nella galassia della finanza creativa, senza perdere un grammo di potere a Reggio Calabria. Un potere forgiato – forse – nel fuoco di quel patto di ferro con la destra eversiva nato con la benedizione della massoneria all’ombra della strategia della tensione negli anni Settanta. E nel tempo diventato sistema.

 

Alessia Candito per “Il Corriere della Calabria”

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