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Truffe al mercato ortofrutticolo

di Jacopo Della Porta il . Emilia-Romagna

Parmaonline.info- Una società che ha ottenuto uno stand in concessione al mercato ortofrutticolo e in pochi anni ha rifilato insoluti da un milione di euro ai fornitori di Parma e del resto d’Italia. La moglie di un condannato per mafia che si riforniva di frutta e verdura per il suo negozio, lasciando ai grossisti debiti per migliaia di euro (in città la donna ha anche comprato un bar senza pagarlo e poi l’ha ceduto in gestione al marito…). Cosa succede al mercato ortofrutticolo di Parma? Dal Centro agroalimentare e logistica (Cal) di via del Taglio emergono vicende che offrono una spaccato sulla zona grigia che minaccia l’economia legale. All’interno di questo spazio pubblico alcuni operatori sono rimasti vittime di veri e propri raggiri, perché  è di questo che si tratta e non di semplici insoluti frutto di una difficile fase economica. Partiamo da una premessa: i commercianti che si recano al mercato ortofrutticolo e le società che vi operano all’interno devono essere accreditati e la struttura è una società a maggioranza di capitale pubblico (i soci sono il Comune di Parma, 53,60%, la Provincia di Parma, 2,33%, la Regione Emilia-Romagna, 11,08%, la Camera di Commercio di Parma, 8,70%, la Cassa di Risparmio di Parma, 11,40%, la Banca Monte Parma, 8,31% e altri soci privati al 4,58%). All’interno dei 10mila metri quadrati della struttura operano 14 grossisti e il centro mobilizza in media 550.000 quintali di prodotti ogni anno. Parliamo dunque di una realtà importante del Parmense, anche se vive una situazione di difficoltà finanziaria di cui si è parlato proprio ieri in Consiglio comunale (il bilancio 2012 parla di debiti per un milione e 136mila euro).

Gli affari del mafioso in città
Il primo caso di cui ci occupiamo è stato segnalato a Parmaonline dal presidente della Camera di Commercio di Reggio Emilia, Enrico Bini. La vicenda riguarda una commerciante moldava di 29 anni, titolare di un negozio di frutta e verdura a Parma che risulta ancora attivo alla Camera di commercio, ma che di fatto non opera più. La donna a partire dal 2008 ha rifilato insoluti da alcune migliaia di euro a grossisti del Cal. Un creditore, dopo aver cercato invano di tornare in possesso dei soldi, e constatata l’impossibilità di trovare la donna, ha deciso di rivolgersi a una società privata di investigazioni per verificare se ci fosse la possibilità di recuperare il denaro. Gli investigatori privati sono arrivati in poco tempo a scoprire quello che forse anche altri avrebbero potuto notare: “Emerge che la persona indagata vive in un contesto familiare legato a un clan malavitoso”. Dunque? “Riteniamo non vi siano i presupposti perché un’attività investigativa mirata porti elementi utili nell’ambito di un recupero del credito da Voi vantato”. Tradotto: “Meglio lasciare perdere certa gente”. Il marito della moldava, il messinese 54enne Vincenzo Crascì, era arrivato a Parma nel 2000, quando era già un sorvegliato speciale in quanto indagato per reati in materia di mafia, estorsioni e omicidi. Le forze dell’ordine lo tenevano d’occhio già dagli anni ’90  e il suo nome lo avevano fatto alcuni commercianti vittime del pizzo in Sicilia. Crascì è stato condannato in via definitiva nel processo “Mare Nostrum”, scaturito da un’operazione antimafia del 1994 – 1995 contro decine di persone accusate di fare parte delle famiglie mafiose del Barcellonese e dei Nebrodi, protagoniste di una sanguinosa faida negli anni ’80 e ‘90. Il processo contro la cosiddetta mafia Tirrenica è durato ben 17 anni.  Nel 2006 è arrivata per l’uomo una condanna di primo grado a 27 anni di galera: Crascì, che nel frattempo si era trasferito con la compagna da Parma a Colorno, venne individuato e arrestato dai carabinieri nella Bassa. L’uomo è tornato libero in attesa del processo di secondo grado e nel 2009 è stato arrestato nuovamente a Parma dopo la sentenza d’Appello che lo ha condannato a 21 anni di reclusione, poi confermati in Cassazione nel 2011.

Il bar comprato e mai pagato
Nonostante le inchieste e le condanne a carico dell’uomo, la moglie è riuscita a gestire alcune attività in città e fare debiti. Da controlli effettuati dalla società di investigazioni sono emersi protesti a carico della moldava su cambiali e assegni elevati nel 2008, 2009 e 2010 per 28.420 euro. Lo stesso indagato per mafia, nonostante l’arresto del 2006, ha emesso nel 2009 due assegni, poi protestati, per 60mila euro (dal 2003 al 2007 l’uomo è stato titolare di una società individuale operante nel campo dell’edilizia).  Oltre al negozio di frutta e verdura i coniugi hanno gestito altre attività a Parma. Nel 2008 la moglie ha comprato un bar in via Savani, salvo poi non onorare il pagamento a chi glielo aveva ceduto. Sempre nel 2008 la donna ha venduto il bar a un’altra società, controllata dalla madre e dallo stesso Crascì (questa società è ancora attiva). Nel 2009 l’atto è stato ritenuto illecito e il tribunale di Parma ha fatto sequestrare il bar (dove ora si trova un’altra attività).  La vicenda offre uno spaccato su come alcuni soggetti, anche in odore di mafia, riescano, senza neppure nascondersi più di tanto, ad aprire e chiudere attività a Parma, agendo in modo spregiudicato e danneggiando gli operatori onesti. La cronaca, anche recente, offre anche altri spunti che confermano questa tesi.

“Servono più controlli”
Il presidente della Camera di Commercio Bini, che da anni, a cominciare dai suoi primi incarichi in Cna, invoca un maggiore impegno per contrastare le infiltrazioni malavitose nell’economia, sottolinea come in questa vicenda emerga prima di tutto la mancanza di controlli a vari livelli. “Sono necessarie verifiche, soprattutto all’interno di enti pubblici. Stupisce la semplicità con la quale alcuni soggetti riescono ad operare indisturbati. Servono controlli puntuali e protocolli e la massima attenzione da parte delle istituzioni”.  Nella prossima puntata vi racconteremo di una società che ha operato fino a poco tempo al mercato ortofrutticolo di Parma e che è fallita in un mare di insoluti

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