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Rassegna stampa 20 giugno 2013

di redazione il . Rassegne

Le mani dei clan sulla Capitale. Una operazione della magistratura ha scoperto una “holding” criminale e affaristica fra il sud e il centro – nord. La cosca che gestiva questo business è quella dei Mallardo, che dalla Campania all’Emilia – Romagna, passando per il Basso Lazio, riciclava “un fiume di denaro”. Il racconto oggi su Il Mattino a pagina 44. di Monica D’Ambrosio che spiega: “Sessantacinque milioni fra palazzi, ristoranti, alberghi, ville: tutto sequestrato. E’ il tesoro dei Mallardo sequestrato tra Giugliano, il Basso Lazio, Bologna e Ferrara. Un colpo grosso da Roma. In azione il Gico della Guardia di Finanza su delega della Direzione distrettuale antimafia”. Nel retroscena dell’inchiesta la giornalista sottolinea inoltre che “finiti in carcere i vecchi capi sono proliferate imprese e colletti bianchi che – in sostanza – muovono i soldi del clan. Le indagini camminano verso Nord e mettono in moto il modo di operare dei clan, simile in tutta Italia. Un contributo a far scattare le inchieste – confermano fonti investigative – arriva dai pentiti che raccontano questo “sistema” che opera in Italia, penetrando e inquinando quello legale.”Sequestrati alla camorra hotel e ristoranti per 65 milioni di euro” il titolo dell’articolo di “Repubblica” sull’operazione della procura di Roma. Il “Corriere della Sera” invece mette in evidenza l’analisi del procuratore Giuseppe Pipitone (articolo di Ilaria Sacchettoni ) che dichiara fra l’altro: “Così cambia la strategia della Camorra” puntando il dito sul riciclaggio nella Capitale e sulla presenza del clan direttamente sui territori del Basso Lazio. “La Stampa” si occupa a pagina 19  del “mafietour” che si tiene oggi a Roma, un viaggio nei luoghi simbolo della presenza mafiosa nella Capitale, organizzato da daSud. Omicidi, richieste di estorsione, incendi, danneggiamenti, riciclaggio. Tutto questo accade a Roma eppure di mafie – dicono gli organizzatori – si preferisce non parlare.

Dal Lazio al Piemonte, rimanendo su La Stampa” a pagina 41 troviamo in un articolo di Niccolò Zancan la richiesta della famiglia del procuratore Caccia, ucciso dalla ‘ndrangheta in Piemonte nel 1983, di riaprire le indagini sull’omicidio. Per quel delitto, spiega il giornalista, è stato condannato all’ergastolo il mandante , il boss della ‘ndrangheta Domenico Belfiore.  Cinque gradi di giudizio, scrive, sono serviti a capire questo e poco altro. Poco si sa, infatti, della “zona grigia” che si è mossa per questo delitto. Un filone, seguito dall’avvocato siciliano Fabio Repici porta dritto a Rosario Cattafi, personaggio ritenuto “l’anello di congiunzione fra i servizi segreti  deviati, la massoneria e la mafia”.

Sulle pagine de “Il Corriere della Sera”  Felice Cavallaro  pubblica un articolo che ricostruisce la polemica giudiziario – giornalistica. Una triangolazione fra i giornalisti de L’Unità”, del “Fatto Quotidiano”  e del “Foglio” che è la fotografia evidente di un corto circuito mediatico sulle vicende e soprattutto sui retroscena e i depistaggi legati all’inchiesta delicata e sotto la lente d’ingrandimento della politica e del giornalismo, della trattativa Stato – mafia.

 

 

 

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