Gli affari della mafia cinese in Italia
C’è chi, in Italia, parla di una presenza della “mafia” cinese e chi, invece, preferisce ancora utilizzare la semplice espressione di “criminalità” che, comunque, avrebbe registrato, negli ultimi anni, “qualche mutamento organizzativo-funzionale” (Polizia di Stato, 2013). Fatto sta che anche la recente indagine (30 maggio 2013) condotta dalla Guardia di Finanza (con l’ausilio della Banca d’Italia), coordinata dalla Procura della Repubblica di Firenze, ha visto indagate ben 287 persone, quasi tutti imprenditori cinesi ( o loro prestanomi) e, per 24 di questi, l’accusa è di associazione mafiosa finalizzata al riciclaggio di oltre 4miliardi di euro, provenienti dalla contraffazione di marchi, dal contrabbando e dall’evasione fiscale. Quanto basta per tornare a parlare del “pericolo giallo”. In realtà è da un po’ di tempo che nel nostro paese si parla di “evoluzione della criminalità cinese” e di collegamenti “tra diverse organizzazioni cinesi stanziate in Italia (..)con elementi di altre organizzazioni esogene e con gruppi italiani (..)di interazioni con la camorra (..)e taciti accordi con la criminalità siciliana” (cfr.55^ Relazione sulla politica informativa e della sicurezza, 2005, a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri). Sul versante giudiziario era stato il Tribunale di Firenze, nel 1999 (processo contro Hsiang Khe Zhi ed altri), con una sentenza confermata in Corte d’Appello e in Cassazione, a riconoscere l’esistenza di un’associazione a delinquere di stampo mafioso, composta da cinesi che si avvalevano dell’uso della violenza e dell’intimidazione per esercitare il proprio potere all’interno della comunità di connazionali.
In quest’ultimo anno (giugno 2012-giugno 2013), poi, le diverse squadre mobili delle Questure italiane, coordinate sul piano infoinvestigativo dal Servizio Centrale Operativo (SCO) del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, hanno compiuto ben cinquantacinque operazioni con l’arresto di 50 cinesi , la denuncia in stato di libertà di 450 e il sequestro preventivo di 30 immobili destinati, soprattutto, allo sfruttamento della prostituzione. Ma non è solo questo l’ambito criminale privilegiato dalla malavita cinese. Le evidenze investigative sul territorio e le analisi dello SCO indicano “un maggior coinvolgimento nel traffico di stupefacenti anche per una clientela non cinese”, con “un tendenziale estendersi della devianza di tipo associativo” ( per esempio, le estorsioni in danno di ristoratori e di titolari di laboratori manifatturieri, le rapine in danno di famiglie cinesi, il recupero crediti con metodi intimidatori e violenti) dalla storiche zone (Toscana) verso altre, in primis, la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, il Lazio, la Campania, la Sicilia. Permane l’interesse nel contrabbando di esseri umani che si concretizza in attività illecite riconducibili al delitto, nelle varie ipotesi, previsto dall’art.12 del Testo Unico sull’immigrazione, del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, finalizzato allo sfruttamento dei cinesi nel “lavoro nero”.
Una nota positiva viene dal maggior numero di denunce di cinesi ( sempre poche rispetto alla realtà) per reati da loro subiti, presentate nel 2012 alle autorità italiane; un segnale giudicato di “progressivo affrancamento della comunità cinese dall’omertà”, che è stato utile per aumentare la conoscenza degli apparati della sicurezza e per avvicinarsi a contesti socio-culturali storicamente e geograficamente molto distanti dal nostro. Comunità, infine, che, è bene ricordarlo, è cresciuta enormemente negli ultimi anni, se si pensa ai 239.351 cinesi (118.186 donne e 121.165 uomini) residenti in Italia con regolare permesso di soggiorno alla data del 15 maggio c.a., ai quali vanno sommati i 74.381 minori iscritti sui titoli di soggiorno dei titolari e alcune migliaia che hanno i permessi scaduti in attesa di rinnovo o perché “clandestini”. A proposito di questi ultimi, rintracciati in posizione irregolare sul territorio, i dati nazionali indicano una lieve flessione, essendo passati dai 1.436 del 2011 ( di cui 233 effettivamente allontanati) ai 1.181 del 2012 ( di cui 274 allontanati). Nel corrente anno, sempre alla data del 15 maggio, sono stati 308 i cinesi “clandestini” fermati nei consueti servizi di controllo del territorio e, di questi, 99 sono stati quelli effettivamente allontanati.
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