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Mafie, fiction e menù internazionali: il potere dell’immaginario mafioso

di Ludovica Ioppolo il . L'analisi

In questi primi di giorni di giugno l’attenzione di chi si occupa di mafia e antimafia è stata catturata da due fatti in apparenza distanti tra loro, ma a parere di chi scrive,  fortemente legati. Giovedì 6 giugno è andata in onda su Mediaset la fiction tv “Il coraggio e la passione”, ispirata alla storia di Assunta Maresca, donna di camorra tra gli anni ’50 e gli anni ’80, chiamata Pupetta (nella fiction diventa Pupetta Marico, interpretata da Manuela Arcuri). Le reazioni del movimento antimafia non si sono fatte attendere: Libera Campania e la Fondazione Polis si sono espresse in maniera chiara contro la produzione televisiva che ha voluto dare spazio e visibilità ad una storia tanto controversaLeggendo la storia di Assunta Maresco si fa fatica a capire come si sia potuto anche solo pensare di ispirare alla sua storia una serie tv dal titolo romanzesco che ispira coraggio e passione, in cui la giustizia evocata più volte dalla protagonista ha le forme della vendetta e della violenza. Le immagini mandate in onda nella prima serata di Canale5 mostrano i colori del boom economico degli anni’50 e i suoni divertiti della canzonetta napoletana. La bella protagonista si ribella al ruolo di femmena tradizionalmente attribuito alle donne del Sud, quasi a voler emulare un percorso di emancipazione (irreale quanto illusorio) dentro la carriera criminale.

In questi ultimi giorni, poi, il web si è riempito di messaggi di indignazione per il menu austriaco del locale “Don Panino”  che – facendo il verso al film che ha reso celebre la mafia siciliana in tutto il mondo  –  pubblicizza panini con nomi che richiamano boss mafiosi (Don Buscetta, Don Corleone) e persone che hanno perso la vita per il loro impegno antimafia (Don Falcone e Don Peppino, Giovanni Falcone e Peppino Impastato, ndr). L’accostamento di vittime e carnefici dovrebbe far andare di traverso qualsiasi cibo e invece oltralpe diventa strategia di marketing. Le polemiche sollevate non sono certo nuove. Ciclicamente notizie come queste conquistano uno spazio di visibilità a partire da episodi tra i più disparati: dai tanti videogiochi sulla mafia in cui chi gioca impara a diventare un vero padrino, al reality americano Mob Wives  o la ormai nota serie tv, sempre made in USA, Sopranos, fino alle tante fiction nostrane che mettono in scena storie ispirate alle più feroci cronache di mafia, camorra o ‘ndrangheta (Il capo dei capi, Romanzo criminale, Squadra Antimafia L’onore e il rispetto, Il peccato e la vergogna, e la lista potrebbe continuare a lungo).

In Campania solo pochi mesi fa i cittadini di Scampia avevano espresso forti critiche rispetto alla scelta di Sky di girare la fiction ispirata al libro Gomorra  in un quartiere già sovraesposto mediaticamente, che fa sempre troppa fatica a far raccontare di sé – oltre al negativo – anche il tanto positivo che c’è nel lavoro sociale e culturale che viene portato avanti da molte associazioni, giorno dopo giorno, sul territorio. Il fil rouge che accomuna tutti questi casi è il tema di quale rappresentazione si vuole dare della mafia e dell’antimafia e, più in particolare, dei soggetti che animano queste storie. Ci sembra emerga un aspetto del fenomeno mafioso – che potremmo definire di tipo culturale – che non è più possibile sottovalutare: il fascino esercitato dall’immaginario mafioso sulla cultura socialmente condivisa e, al tempo stesso, la sostanziale invisibilità di chi si impegna quotidianamente per il contrasto sociale alle organizzazioni e alle culture mafiose.

Negli ultimi anni il tema “mafia” si è imposto all’attenzione mediatica come mai era accaduto prima. Si assiste oggi ad una vera e propria sovrapproduzione mediale: fiction, film, saggi, documentari, etc. Mafia, camorra e ‘ndrangheta sono diventate di fatto brand commerciali, simboli del made in Italy diffusi ormai anche all’estero: si pensi alle magliette con Il Padrino o le tre scimmiette non vedo, non sento, non parlo; nel solo settore ristorazione, oltre al caso austriaco, il portale livesicilia.it segnala il ristorante argentino Arte de mafia e su libera informazione pubblichiamo un altro menu piccante come la vendetta trovato da chi scrive a Vilnius in Lituania. Infine, si è sviluppata una vera e propria mitologia dell’antimafia, per la quale nella lotta alla criminalità organizzata sembra esserci posto solo per eroi post-moderni, troppo spesso stereotipati al pari dei padrini.

Ma il modo in cui si rappresentano queste storie non è neutro: è profondamente diverso definire la mafia come fenomeno semplicemente criminale piuttosto che come fenomeno complesso che coinvolge le dimensioni sociali, culturali, politiche ed economiche. Alla prima rappresentazione corrisponde una risposta dello Stato di tipo puramente poliziesco e repressivo e un meccaniscmo di distacco e delega da parte dei cittadini. Ad una rappresentazione multidimensionale del problema, invece, corrisponde una risposta complessiva, sicuramente più difficile da raccontare, ma che chiama in causa tutti: le istituzioni, le imprese, la scuola e l’università, il mondo della cultura, l’informazione.

Così come rappresentare l’antimafia esclusivamente attraverso gesta eroiche e storie eccellenti allontana i giovani e i cittadini dalla consapevolezza di poter fare ciascuno la propria parte. La sfida allora non è quella di raccontare meno storie, ma di raccontare meglio storie differenti, capaci di rendere la gravità e il dolore delle vicende mafiose e, al tempo stesso, la straordinarietà della quotidiana (r)esistenza delle donne e degli uomini di un movimento antimafia – questo sì vorremmo che diventasse il marchio made in Italy da esportare all’estero – capace di liberare le terre di mafia e renderle terre di sviluppo, verità e giustizia.

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Ludovica Ioppolo

Ludovica Ioppolo è ricercatrice e sociologa, si occupa di formazione, università e ricerca per Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie

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