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Sentenza Cucchi, assolti gli agenti. I familiari: “Stefano ucciso due volte”

di redazione il . Lazio

La terza corte d’assise di Roma ha condannato a due anni di carcere il primario della struttura protetta del Sandro Pertini, Aldo Fierro, nel processo per la morte di Stefano Cucchi. Condannati anche gli altri 5 medici, di cui 4 a un anno e quattro mesi e uno a 8 mesi. Assolti, invece, gli infermieri e gli agenti della polizia penitenziaria.La decisione della Corte e’ stata accolta da un pubblico di una cinquantina di persone con urla, e con frasi di “Vergogna, vergogna questa non e’ giustizia, assassini”. “Mio figlio e’ morto di ingiustizia. Me lo hanno ucciso due volte”. Sono le prime parole della mamma di Stefano Cucchi. La sorella Ilaria Cucchi e’ un fiume in piena. Dopo la sentenza, che assolve infermieri e agenti della polizia penitenziaria e condanna a pene contenute i medici, scoppia a piangere e dichiara: “Mio fratello e’ stato tradito dalla giustizia per la seconda volta. Non so dire cosa faremo, ma certamente non ci tiriamo indietro. Questo non ce lo aspettavamo. I medici dovranno ora fare i conti con la loro coscienza. Si tratta di una pena ridicola rispetto a una vita umana. Sapevamo che nessuna sentenza ci avrebbe dato soddisfazione e restituito Stefano ma calpestare mio fratello e la verita’ cosi’… non me l’aspettavo”. La notizia subito rilanciata da Articolo21, una delle prime associazioni a raccogliere il grido di dolore i familiari, dopo la morte di Stefano e la richiesta di giustizia e corretta informazione sul caso. Negli stessi minuti una nota di Libera  sul caso Cucchi: nel ribadire vicinanza alla famiglia di Stefano, l’associazione allarga l’analisi al problema giustizia e tossicodipendenze.

“La morte di Stefano Cucchi, non solo chiede verità, ma impone a tutti una riflessione vera sulle implicazioni penali di certe norme di legge e sulle politiche carcerarie del nostro Paese – scrivono da Libera. Politiche che è necessario ripensare perché così come sono penalizzano l’intero mondo carcerario”. “Le carceri non possono essere luogo di degradazione, contesti sovraffollati e fatiscenti dove la dignità e i diritti delle persone detenute e di chi ci lavora con grande impegno – agenti, educatori, insegnanti, personale medico, cappellani, volontari – vengono calpestati. Spazi destinati in massima parte ai poveri cristi: immigrati e tossicodipendenti. Nessuno vuole mettere in discussione il principio di responsabilità penale. Chi infrange la legge è giusto che paghi le conseguenze, anche se non va dimenticato che spesso abbiamo leggi a doppio registro, forti coi deboli e deboli coi forti. In nessun caso però la pena deve essere afflittiva, non deve dare alla privazione della libertà il sapore della sopraffazione. E’ il dettato della Costituzione a stabilirlo, nell’interesse di tutti: vittime e detenuti, personale carcerario e società “intera”.
“Sono 15.663 le persone con problemi di dipendenza nelle nostre carceri – ricorda Libera.  Un numero enorme, che quasi raddoppia se pensiamo alle persone detenute per reati legati alla legge sulla “droga” e che contribuisce a rendere le nostre carceri sovraffollate e invivibili, per chi sconta la pena ma anche per gli operatori impegnati a dare alla pena il fine sociale previsto dalla Costituzione. Le persone tossicodipendenti sono persone vulnerabili, che hanno bisogno di cure e soprattutto di percorsi che li aiutino a uscire dalla dipendenza. Ma la lotta alla droga comporta anche, a monte, un grande investimento educativo.  Il vuoto che spinge le persone a fuggire dalla realtà attraverso le sostanze – le droghe come l’alcol – ci deve interrogare profondamente. Dietro c’è una domanda di senso e un’assenza di prospettive che attraversano il corpo sociale nella sua complessità e alle quali tutti, politica e istituzioni, associazioni e cittadini, siamo chiamati a dare una risposta. E’ un vuoto che va colmato di relazioni e progetti che rendano le vite libere e al tempo stesso responsabile. Dobbiamo tutti educarci a essere liberi con e insieme agli altri, non contro gli altri o contro noi stessi”
“La morte di Stefano Cucchi – conclude l’associazione – ha alle spalle il meccanismo di una legge che considera sul piano penale un problema come quello della droga, che è innanzitutto sociale ed umano, non possiamo quindi che essere al fianco della sua famiglia”.

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