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Calabria, opinioni e stereotipi

di Sabrina Garofalo* il . Calabria

Ci sono delle giornate in cui solo il silenzio è la cosa migliore. In silenzio, facendoci attraversare dallo sgomento, dall’orrore, dalla rabbia. Solo così forse, riusciremo nell’unica cosa che una vicenda come questa può lasciare: continuare a porci domande, continuare non a darci risposte preconfezionate e pericolose, ma a cercare domande da cui poter partire. In questi tre giorni troppe le cose dette, troppe le risposte rintracciate. Fabiana Luzzi è stata ammazzata. Nelle tante analisi, nei tanti commenti a volte non viene già più neanche nominata. Fabiana è stata uccisa da Davide, con un coltello. Fabiana ha cercato di difendersi in tutti i modi, forse vedendolo arrivare di nuovo ha anche pensato che fosse venuto a soccorrerla. E invece no. Con le ultime forze ha cercato di allontanare il bidoncino della benzina. Tutto inutile. Fabiana è stata bruciata.  Orrore, indescrivibile spietatezza. Ma dobbiamo chiamare con il nome giusto le cose. Nella provincia di Cosenza, ne abbiamo fatto esperienza, si ha la tendenza a rendere più belle, o in alcuni casi, meno orribili, ciò che di tremendo accade. Chiamare le cose con nome giusto. E’ questo quello che dovremmo iniziare a fare.

Il Coordinamento di Libera a Cosenza porta il nome di Roberta Lanzino. Anche lei studentessa, 19 anni, vittima di stupro. Vittima della violenza spietata di uomini che si sono presi il suo corpo e la sua vita, considerata di proprietà perché attraversava la loro terra. Dominio, possesso, potere. Parole che ritornano. Era il 1988, ancora chiediamo verità e giustizia per Roberta, vittima di stupro ma anche vittima di complicità,  di connessioni, di  incapacità. Un processo che si celebra in questi mesi, 25 anni in cui mamma Matilde e papà Franco hanno dedicato la loro vita a tradurre il dolore in impegno attraverso la “Fondazione Roberta Lanzino”: “E questo non è più solo desiderio di memoria, ma è molto di più: E’ circolazione di pensiero . E’ ascolto e attenzione. E’ messaggio. E’ fatica. E’ amore. E’ testimonianza dolorosa, ma caparbia, che nessuna tragedia può rimanere inutile”. Libera a Cosenza ha sede “a casa di Roberta”, insieme a loro, abitiamo lo stesso impegno e responsabilità. “Fabiana,- ha detto Franco- come Roberta, e come Adele, massacrata allo stesso modo il 31 ottobre 2011 a Lamezia  Terme, ha avuto una sola colpa. Quella di essere donna”.

Parole dure, ma vere. Quello che si gioca sul corpo delle donne è una battaglia, quotidiana, le cui sfumature si nascondono nella quotidianità. Le riflessioni sulla violenza, in tutte le sue forme e rappresentazioni deve essere rimessa al centro anche dei nostri percorsi formativi. Non ci sono dubbi. Il femminicidio ha radici profonde nella multidimensionalità del quotidiano, è il dato drammatico di come la costruzione sociale delle differenze sia il riflesso di dinamiche di potere, di dominio, di subalternità. Ieri abbiamo concluso un progetto che per due anni ci ha visto presenti nelle scuole della nostra provincia. Anche a Corigliano. E’ anche nei nostri percorsi e progetti, che dobbiamo continuare a cercare domande. Perché un ragazzo a 17 anni ha un coltello in tasca? Perché la violenza a volte, rimane una modalità comunicativa? Perché tanta razionalità? Non possiamo non pensarci.

Ed ancora, dobbiamo ripensare  all’ importanza delle parole. Amore non è un modo in cui vivere le relazioni, amore è sentimento. Il possesso, la violazione della libertà è altro. E’ violenza. Essere donne non può e non deve essere mai più una colpa. E tutto ciò è chiaramente situato, è  chiaramente radicato nel territorio della Calabria. Ma c’è differenza tra sapere e impegno situato e tutto ciò che il dibattito mediatico sta creando. Nelle tante analisi ascoltate e lette, si assiste alla costruzione del discorso mediatico che rappresenta un grande pericolo: il pericolo del non approfondimento, della rinuncia a conoscere. Il pericolo è quello che si nasconde quando si fa opinione senza approfondimento, quello dell’inerzia di tradurre un giudizio, personale ed investito emotivamente, in verità assolute che diventano pregiudizio. Facciamo nostre le parole del centro di Women’s Studies Milly Villa- Libera Unical: “L’omicidio di una donna è tale ovunque accada: non è il luogo a stabilire naturali predisposizioni. Non è biologia, né cultura naturalizzata. E’ violenza, e la violenza non conosce appartenenze territoriali o regionali. Assassini lo si diventa quando si uccide.”

Naturalizzare significa sospendere il giudizio, rendere immutabile ciò che è continuamente attraversato da cambiamenti, come tutto ciò che è costruzione del genere, che sono le trasformazioni delle relazioni di intimità, nella costruzione delle mascolinità e femminilità. Lo stereotipo che diventa pregiudizio è pericoloso. E’ per questo che il nostro impegno è quello di decostruire continuamente immaginari  per elaborare alternative. In questi giorni le immagine delle donne del sud, degli uomini del sud sono state predominanti nella sfera mediatica, Renate Siebert ha definito razzista quello che è stato scritto sulla naturalizzazione dell’uomo violento calabrese. Processi di etero- razzizzazione e auto-razzizzazione si stanno riproducendo nella sfera pubblica italiana sulle donne e sugli uomini calabresi. Agli stereotipi negativi si contrappongono quelli “positivi”, ma il pericolo è lo stesso. È necessario mettere in discussione ogni processo di definizione, se realmente vogliamo provare a comprendere quello che succede, in Calabria e ovunque.  Non amo parlare di donne del sud: parliamo di donne (e da donne) che abitano i sud, che li vivono nelle scelte quotidiane e che in un modo o nell’altro ne fanno esperienza. Così come parliamo di donne che abitano altri contesti. In Calabria, donne e uomini fanno i conti con le fragilità di un contesto, con i disagi che hanno radici nei  poteri massonici e criminali. Forse non dovremmo più parlare di emancipazione, ma di emancipazioni. Letteralmente significa “liberarsi dal dominio”, da ogni forma di dominio. Se le donne siano o no emancipate è problema e responsabilità di tutti e tutte; perché la libertà dalle forme di dominio non ha genere, non ha provenienza. Le società emancipate sono quelle libere da ogni forma di potere e di dominio.

Insieme alla Fondazione Lanzino saremo vicini alla famiglia di Fabiana. Perché parlare di libertà, di giustizia e di democrazia, significa per noi oggi, parlare di femminicidio e di violenza contro le donne. Lo faremo con i nostri strumenti e con il nostro stile, cercando criticamente di continuare a porci domande, di sostenere l’accoglienza e l’accompagnamento delle vittime, di cercare sempre e ovunque l’alternativa, di tradurre la memoria in impegno. Lo dobbiamo a Fabiana, a Roberta, ad Adele, a tutte le donne uccise dalla violenza dell’uomo, che, come Matilde e Franco ci ricordano “ è circolazione di pensiero . E’ ascolto e attenzione. E’ messaggio. E’ fatica. E’ amore. E’ testimonianza dolorosa, ma caparbia, che nessuna tragedia può rimanere inutile”.

* Sabrina Garofalo

Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie,

Coordinamento “Roberta Lanzino” , Cosenza

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