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“Mettiamoci in gioco” chiede un’inchiesta

di Daniele Poto il . Progetti e iniziative

di Daniele Poto. Dove non arriva il giornalismo investigativo può  arrivare la satira o, meglio, un programma di infotainment ovvero un misto di informazione-spettacolo. Non siamo degli assidui frequentatori delle Iene ma ci prendiamo il loro risultato della puntata del 19 maggio scorso. Perché è ricco e succoso. E ci rimanda alla frase di Pasolini che ci vergogniamo di citare a viva voce ma a cui non manchiamo di ispirarci (“Io so ma non ho le prove” o, se preferite “Io non lo prove ma so”). Dunque un anonimo collaboratore parlamentare, mascherato opportunamente, ha svelato che i politici (e qui non ci sarebbe destra, sinistra o centro che tenga) sarebbero opportunamente unti dall’industria del gioco. Foraggiati a forza di mini-stipendi mensili e soprattutto in contiguità dell’impegno legislativo sul tema. Mettiamoci in Gioco, la campagna in rete che raccoglie 21 sigle, ha diffuso oggi un comunicato in cui chiede l’intervento della magistratura. Che ha tutti i poteri per dissolvere l’anonimato e raccogliere dall’identificabile collaboratore parlamentare una testimonianza veridica che, se confermata, può costituire l’architrave per una nuova Tangentopoli del gioco.

Per induzione che la corruzione lobbystica (in assenza ovviamente di una legislazione sulle lobby) fosse arrivata a questo punto non è solo un sospetto. Basta riprendere in mano il decreto-legge Balduzzi sull’azzardo. Già in partenza non certo la legge quadro auspicata per correggere un quadro deficitario, una jungla liberista insensata che ha lasciato sul campo 800.000 malati patologici. Ma più interessante sicuramente constatare il cammino legislativo per cui a forza di emendamenti, di sottrazioni, di sottile distinguo, anche i vulnus sanati e di una certa efficacia, venivano cassati. Due per tutti. La distanza dai luoghi sensibili (scuole, ospedali ecc) per le nuove sale gioco: prima 500 metri, poi 300, poi 200 metri. Poi il nulla. Con una battuta potremo sostenere che, con la forza delle lobby, oggi sarebbe più facile allontanare scuola e ospedali dalle sale giochi che non il contrario. E poi il demagogico quanto necessario inserimento del Gap (Gioco Azzardo Patologico) nei Lea (Livelli Essenziali Assistenza) ma senza finanziare con un solo euro il provvedimento. Tante che oggi, a distanza di otto mesi dall’approvazione definitiva dalla legge, si naviga a vista in un mondo della sanità che si vedrà sottrarre dal 2011 al 2014 14 miliardi di risorse.

Dunque più che un mancato finanziamento in zona spending review è un fare “nozze coi fichi secchi”. E il 2013 doveva essere l’anno in cui si passava dai 7.000 malati patologici censiti dalla Federserd agli 800.000 malati reali (stima del Cnr).Dunque uno Stato assente ma di più corrotto alla radice se le accuse contenute nel programma televisivo dovessero essere confermata. Chi si è ammalato di gioco s’indigna. Ma non solo. S’arrabbia, reagisce, strepita, si dibatte. Perché è partita una class action, con una richiesta di risarcimento allo Stato di 10 milioni di euro. Azione promossa da un’associazione di consumatori. Perché a Pavia il 18 maggio scorso è stata organizzata una marcia no-slot. Perché la gente che non arriva alla fine del mese è stanca di ricevere messaggi subliminali, di vedersi insinuare dappertutto la pubblicità ingannevole sull’azzardo. E persino di vedersi pubblicizzate le grandi vincite al Tg 1 (c’è corruzione anche in Rai o è ingenuità giornalistica?). La forza d’impatto delle lobby d’azzardo, delle multinazionali del gioco è inimmaginabile. Sono le stesse combinazioni che sono riuscite a trasformare un gioco di pura fortuna in uno definito di “abilità”. Beati gli inglesi che hanno le parole giuste: play e gambling

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