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Mafie “invisibili” in Abruzzo

di Alessio Di Florio il . Abruzzo

Tout se tient. Nei giorni scorsi due importanti notizie di cronaca giudiziaria, tra i fili della Storia e delle sue vicende, avrebbero dovuto riportare all’Abruzzo. Ma quasi nessuno sembra essersene accorto, come se (ancora una volta) gli intrecci tra la mafia e il nostro territorio fossero invisibili.   Il 16 maggio la Procura di Palermo dispone l’arresto di 34 persone, tra cui Gianni Lapis. Vengono ampiamente citate le vicende di alcuni anni fa, con l’accusa rivolta al professionista palermitano di essere stato il prestanome di Massimo Ciancimino nel riciclaggio del tesoro del padre Vito, ex sindaco di Palermo. Quelle vicende portano direttamente all’Abruzzo, dove negli anni la ricerca dell’ex tesoro di don Vito ha riempito pagine e pagine di cronaca giudiziaria, fino ad arrivare a società impegnate nella costruzione di strutture ricettive (La Contea a Tagliacozzo) e nel campo del gas. Sono vicende facilmente rintracciabili sul Web, basta semplicemente digitare su Google le parole “Gianni Lapis” riciclaggio tesoro ciancimino e il terzo articolo porta in Abruzzo. Questo articolo è “in gestazione” da alcuni giorni. Le frasi scritte fino a questo punto(così come buona parte di quanto si legge fino alla conclusione) sono di alcuni giorni fa. Non erano quindi note le notizie di questa mattina. Notizie che si legano a quanto appena riportato: la Guardia di Finanza di Palermo ha sequestrato società, attività commerciali, immobili di pregio e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di circa 48 milioni di euro. Il provvedimento è avvenuto a seguito di un’indagine sugli investimenti di società impegnate nel mercato del gas con capitali riconducibili anche a Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro e con appoggi politici da parte di Vito Ciancimino. A cavallo degli Anni Ottanta e Novanta le cosche avrebbero quindi “messo le mani” sulla metanizzazione di vaste porzioni della Sicilia. E dell’Abruzzo(e, anche in questo caso, da notare che l’Abruzzo è stato “dimenticato” da vari organi di stampa nazionali nel riportare la notizia…). Nelle accuse a Gianni Lapis di aver investito in Abruzzo come prestanome di Massimo Ciancimino già anni fa si faceva riferimento ad una società marsicana del settore energetico, venduta poi ad una società spagnola a cavallo tra il 2003 e il 2004.

Per anni si è continuato a portare avanti la favola delle mafie come fenomeni locali “coppola e fucili” confinata in poche regioni “sfortunate”, mentre tutto il resto della Penisola sarebbe sana. L’Abruzzo sarebbe quindi un’isola felice, dove può “scapparci qualcosa” ma nulla più. Qualcun’altro, forse credendosi più furbo o scaltro, ci ha invece raccontato un’altra narrazione: l’Abruzzo era un’isola felice, negli ultimi anni qualcosa è cambiato. Storiella sbagliata esattamente come la prima. Sono passati oltre vent’anni dall’assassinio dell’avvocato Fabrizi, un omicidio su cui non si è mai riusciti a fare piena luce: i mandanti sono rimasti nell’ombra e  nei lustri intercorsi dalla sera del 4 ottobre 1991(il giorno in cui il “killer dagli occhi di ghiaccio” lo ha ucciso) hanno potuto continuare ad investire ed agire. Come riportammo nel numero del gennaio scorso de “I Siciliani Giovani”(qui l’articolo completo http://www.isiciliani.it/lisola-felice-che-ha-scoperto-le-mafie/ ) “Nello studio di Fabrizi gli investigatori trovarono enormi faldoni di documenti” che andavano “dai rifiuti ai centri commerciali”. Ma l’intreccio tra criminalità e Abruzzo va ancora più in là nei decenni. Il 21 maggio è stato reso noto il sequestro di beni per 1,5 milioni di euro nei confronti di Raffaele Casamonica, la cui famiglia è considerata il più importante clan della malavita romana. Nel gennaio 2012 il quotidiano “La Repubblica” realizzò un dossier articolato sulle vicende della famiglia Casamonica, intitolato “Casamonica SpA”(http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/inchiesta-italiana/2012/01/26/news/casamonica_s_p_a_-28820524/). Il dossier descrive un clan, considerato dalla DIA “la struttura criminale più potente del Lazio con un patrimonio stimato di 90 milioni di euro”, i cui affari vanno “dall’usura allo spaccio in grande stile di cocaina” fino al “recupero crediti” in rapporto anche con Enrico Nicoletti, l’ex cassiere della Banda della Magliana. La famiglia Casamonica è originaria dell’Abruzzo, “giunti da Pescara nella Capitale negli anni settanta”(come riporta la nota enciclopedia online Wikipedia). Ma a Pescara e in Abruzzo questo appare continuamente sconosciuto.

Nelle prossime ore tantissime saranno le commemorazioni di Giovanni Falcone, nell’anniversario dell’attentato di Capaci nel quale perse la vita insieme alla moglie e alla scorta. Una delle grandi lezioni che il magistrato assassinato ci ha lasciato è che per svelare e disarticolare le strutture mafiose bisogna seguire il denaro, i suoi flussi economici e finanziari(non è un caso che l’ultima inchiesta che stava seguendo, insieme a Paolo Borsellino, prima degli attentati nei quali persero la vita, era sugli appalti mafiosi a Palermo…). Le mafie, come già accennato nel paragrafo precedente non è più “coppola e fucile”, i mafiosi di oggi girano in ventiquattr’ore e gessati, sono al centro di trame e reti economiche, commerciali, speculative, affondano le loro fortune in affari e società, alcune addirittura “formalmente legali”. Politici e imprenditori sono legati a doppio filo con le organizzazioni criminali in cartelli che dominano i territori, investono nel ciclo del cemento, dei rifiuti, dell’energia all’interno del sistema economico. Mescolanza tra affari leciti e illeciti, business “legali” e “capitali sporchi” che si legano anche alla luce del sole, ma nel silenzio e nell’omertà di molti. Il 14 novembre 1974 Pier Paolo Pasolini scrisse sul Corriere della Sera un editoriale che divenne immediatamente una pietra miliare della storia del giornalismo. Pasolini urlò il suo “Io so” riferendosi alle stragi nere e al “golpe” che era in corso in Italia. Ma andò anche oltre. Accusò l’opposizione al Potere diventata Potere, il silenzio di chi dovrebbe parlare e invece decide la sua degrazione e complicità. Quel “Io so” oggi, in territori come l’Abruzzo(ma non solo), moltissimi potrebbero gridarlo. Ma non lo fanno. I fatti riportati sopra, le inchieste, i nomi, le vicende che spesso ci ritroviamo a raccontare sono ben conosciute. Eppure una coltre di silenzio, fin quasi alla negazione della loro esistenza(nonostante siano davanti agli occhi di tutti e basterebbe pochissimo per vederli), continuamente piomba su di loro. Dall’inizio dell’anno oltre 10 attentati incendiari hanno interessato il Vastese(già superati i numeri dei 3 anni precedenti). Generalizzare è sbagliato, ci sono anche episodi di tutt’altra natura. Ma sarebbe inaccettabile non ricordare che le inchieste Histonium 1 e Histonium 2 (che tra il 2006 e il 2008 sgominò la prima ‘ndrina interamente abruzzese, incentrata intorno all’esule di camorra Michele Pasqualone),  l’operazione “Crash” nel 2011 (che portò a sgominare un giro di estorsioni) e  l’operazione “Tramonto” nel 2012 (che portò alla disarticolazione di due diverse organizzazioni dedite al traffico di stupefacenti e facenti capo a Lorenzo Cozzolino, altro esule di camorra residente da anni a Gissi) sono tutte nate da indagini su incendi dolosi. Le mafie in Abruzzo investono e agiscono. Sono attive nel settore della speculazione edilizia (ci sono testi universitari che portano il Vastese come esempio di riciclaggio di denaro di provenienza illecita nella speculazione edilizia), nel campo dei rifiuti, hanno investito o lo fanno ancora nei settori del gas e del turismo, controllano il traffico della prostituzione, delle droghe e dello sfruttamento del lavoro clandestino, portano avanti il racket delle estorsioni. Questi business non sono avulsi dal contesto sociale ed economico, non sono lontani dalla quotidiana realtà. Non nascondiamoci dietro perbeniste ipocrisie: le case non nascono dal nulla, i mercati della prostituzione e dello sfruttamento del lavoro nero prosperano se hanno clienti, le droghe non vengono solo vendute, vengono anche consumate da qualcuno. Ma le tre scimmiette appaiono sempre in azione e il domani succederà all’oggi. I silenzi nazionali(di cui si è già argomentato all’inizio), le omertà che diventano connivenze, le complicità di chi non soltanto non si oppone ma spesso è un ingranaggio di ‘O Sistema, potranno anche permettere alla favola dell’isola felice o dell’isola non felice ma però se forse di essere ancora raccontata. Ma è un falso “senza se e senza ma”. Guccini cantava anni fa “il silenzio è uguale a morte”. Si riferiva ad una grave ingiustizia oggi consegnata solo al passato. Ma la sua frase vale oggi più di ieri.

Alessio Di Florio
Ass. Antimafie Rita Atria
PeaceLink Abruzzo

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