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Una vita distrutta dall’azzardo

di Antonio Maria Mira il . Senza categoria

C’è un’altra pistola in una storia di gioco d’azzardo. Diversamente da Luigi Preiti, l’attentatore di Palazzo Chigi, per fortuna non ha sparato. Ma è servita per rapinare due farmacie. Ad impugnarla Franco (nome di fantasia), agente penitenziario con la malattia del gioco (di tutto…). Cento euro al giorno per almeno cinque anni: prima lo stipendio, poi le finanziarie, fino ad accumulare un debito di più di 200mila euro. Ma la malattia non gli dava tregua. Così, impugnando la pistola di ordinanza, e con un cappelletto calcato in testa, ha rapinato la prima farmacia: 480 euro il bottino, subito giocato. Ma non bastava e ci ha riprovato. «La seconda rapina l’ha fatta scendendo dal treno tornando dal lavoro – racconta la moglie –. Appena 120 euro. Ormai aveva perso ogni logica. Dopo la rapina stava addirittura tornando a casa a piedi. Lo hanno preso subito…». Prima gli arresti domiciliari poi, dopo la condanna a tre anni per rapina, il carcere militare. Ad aiutare la famiglia la Fondazione antiusura Exodus ’94, che opera nell’Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia. «Per fortuna i titolari delle due farmacie non si sono costituiti in giudizio – ricorda ancora la moglie –. Abbiamo solo restituito i soldi rapinati. Hanno capito e l’hanno perdonato». Una doppia vita quella di Franco. «Falsificava la busta paga che portava a casa, facendo una fotocopia truccata, per non farmi vedere che le finanziarie gli toglievano 800 euro al mese. Ma come potevo capire? Lo dovevo pedinare? A casa era una perla di persona, poi fuori gli prendeva il morbo», si sfoga la signora. E punta il dito su «quei colleghi che sapevano e non mi hanno detto niente». Ma soprattutto «sullo Stato che continua ad aprire sale gioco. Prima non c’erano tutti quei “gratta e vinci” stesi come la biancheria. Sono le tentazioni, sono il demonio. Stanno rovinando le famiglie. Lo Stato, invece, dovrebbe impedire quello che è successo a mio marito». Davvero una malattia. «Alla fine si sentiva una grande depressione addosso ma continuava a giocare. Cercava la grossa vincita per salvare la situazione. Il suo grave stato psichico è dimostrato dal fatto che ha usato la pistola di ordinanza».

Ora tocca rimboccarsi le maniche. «Mai avrei pensato che sarebbe toccato a me e non in questo modo. Mi sono trovata a difendere il nostro matrimonio, la nostra famiglia che abbiamo creato davanti al Signore». Una forte fede la sua. «La grazie divina è di averlo fatto scoprire». E anche il figlio, impegnato in parrocchia e a scuola, non è da meno. «Quando ha letto su internet la notizia dell’arresto, è scoppiato a piangere. “Papà non sarà più un poliziotto”. Si sentiva tradito. Allora gli ho detto “papà deve essere aiutato, è malato”. Ora ripete: “Tocca a noi, dobbiamo rimboccarci le maniche”. E al telefono lo sostiene: “Papà tieni duro, dai che ce la facciamo”». E Franco come reagisce? «Mi ha detto “per me è finita, cosa ho combinato, mi sono bruciato. Potevamo avere tutto e invece…”. Ma si sta impegnando: “Mi toglierò anche il vizio del fumo, ma uno alla volta…”».

Un ultimo consiglio la signora lo dà alle altre mogli. «Cerchiamo di capire dai segni. Io glielo chiedevo ma lui rispondeva: “Ma quando mai!”». E poi torna sul suo impegno attuale. «Mio marito ci tiene molto alla famiglia. Se lo avessi cacciato si sarebbe ucciso. E io questo non lo voglio. Andiamo avanti. Il mio grande desiderio è che guarisca. La giustizia deve fare il suo corso ma soprattutto lui deve guarire. Io non so se ce l’ho fatta ancora. Sarò orgogliosa solo se riuscirò a tirarlo fuori».

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