Via Fauro: 20 anni dopo
Chi oggi passa da Via Fauro, a Roma, guarda con indifferenza quel muretto che cinge una scuola e la curva che porta su Via Parioli, lasciandosi alle spalle il Teatro Parioli.E chi volesse trovare notizie su quel che accadde qui 20 anni fa, troverà sui motori di ricerca del Web, soprattutto una infinita serie di offerte immobiliari. E, alla fine, solo due siti che ricordano quelle 21,35 (circa) del 14 maggio 1993, quando un’auto bomba con 100 Kilogrammi, fece saltare per aria mezza strada, formando un cratere (“ellissoidale”) profondo 40 centimetri,oltre a rendere inabitabili per un periodo più o meno lungo di tempo, ben 4 palazzi,tra via Fauro e Via Boccioni. Una ragione c’è: quell’attentato di Via Fauro non provocò, per fortuna, vittime; solo 7 feriti, lasciando illeso il probabile obiettivo dell’attentato, Maurizio Costanzo, che stava uscendo con la moglie Maria De Filippi dal Teatro Parioli dopo aver registrato il suo programma serale. Il radiocomando fece esplodere la carica di tritolo e plastico, pochi secondi dopo il passaggio della sua auto che svoltando verso il crocevia di Via Parioli, fu fortunosamente riparato da quel muretto che salvò la sua auto e quella della scorta. L’esplosione fu però molto forte: ricordo ancora che, in quella notte di primavera romana inoltrata, risuonò in tutti i quartieri vicini, facendo scendere molta gente per strada, volti scossi e piuttosto attoniti. Perché era la prima volta che il tritolo e la strategia delle bombe che aveva ucciso l’anno prima Falcone e Borsellino, veniva esportata a Roma, comunque fuori dalla Sicilia. Ed infatti, al di là dell’obiettivo che cosa nostra aveva scelto, l’importanza di quell’auto bomba sta proprio in quella che allora fu identificata come una novità, ma che poche settimane dopo diventò una normalità della stagione delle bombe mafiose.
Via Fauro fu l’inizio della stagione delle bombe esportate dalla mafia per colpire Roma e poi le opere artistiche italiane: il 27 maggio di quell’anno un’auto bomba distrusse un’ala di Via dei Georgofili a Firenze facendo 5 vittime. Il 27 luglio, sempre del 1993, la mafia fece saltare un’altra auto sotto il muro del Museo d’Arte Moderna di Via Palestro a Milano, facendo altri 5 morti,tra passanti ed immigrati che erano ai giardinetti vicini. Il giorno dopo, il 28 luglio 1993, due esplosioni in contemporanea colpirono San Giovanni in Laterano e ,poco lontano, mandò in frantumi il portico medioevale di San Giorgio in Velabro, entrambi a Roma. Era la strategia di colpire nel mucchio,mirando alle opere d’arte “perché”come disse poi un pentito,”le persone muoiono e poi tutto continua,le opere d’arte invece non si rifanno”. Una strategia decisa sulla scia di due riunioni della ‘commissione’ di cosa nostra, subito dopo l’arresto di Toto Riina del 15 gennaio 1993, dove le ali stragiste (quella dai Brusca,da Matteo Messina Denaro e dai fratelli Graviano) riuscì ad imporsi sull’ala cosiddetta ‘moderata’ della cupola (guidata da Provenzano, Aglieri, Spera, Giuffrè Madonia e Santapaola) che voleva attenuare la strategia stragista a favore dell’apertura di una fase più “politica”. Anche perché la “trattativa” tra Stato e mafia era già in corso: ma mentre gli stragista volevano continuare a colpire per convincere lo Stato a venire a patti, i ‘politici’ puntavano a ristabilire nuovi equilibri in vista della nascita di nuove formazioni che avrebbero preso il posto della DC, dopo Tangentopoli. Vinsero, almeno quell’anno, gli stragisti con la sola condizione, voluta d Provenzano, di portare gli attentati fuori dalla Sicilia.
Per questo Via Fauro, che fu il primo della serie, fu un attentato importante: innanzitutto perché dimostrava che le mobilitazioni antimafia successive alle stragi di Falcone e Borsellino, avevano colpito i mafiosi, facendo loro capire che senza l’acqua in cui nuotare (la Sicilia,il controllo del territorio), rischiavano di essere eliminati,uno ad uno con i pentiti e gli arresti, cosa che poi avvenne per quasi tutti i componenti della cupola. Ma capirono, Provenzano ed i soci moderati prima di altri, che solo portando gli attentati a Roma, a Firenze, a Milano, potevano sperare di coltivare le residue speranze di trovare appoggi in casa per costruire sul populismo politico e sull’assalto a Roma ( ed alle opere d’arte simbolo di una cultura così distante dal loro concetto di potere violento) una qualche speranza di riorganizzarsi, puntando sul controllo delle famiglie, dei territori, degli appalti e della politica, attraverso i pacchetti di voti che ancora potevano offrire. Ed infatti se da un lato cominciarono a pentirsi alcuni dei grossi nomi della cupola, dall’altro alla prima occasione,le elezioni amministrative, la cupola tentò di formare un partito, che poi si sciolse appena nacque, di lì a qualche mese, l’organizzazione di Forza Italia ,anche in Sicilia, con Dell’Utri e la struttura di Publitalia. Cominciò, alla fine di quelle bombe dell’estate 1993, la fase più politica della trattativa che confluì poi nell’immersione dei mafiosi, coincidente con l’irruzione sulla scena di Berlusconi e del suo partito. La trattativa Stato Mafia del 1992-1993 finì così,quando l’ala stragista finita in carcere , diventò solo un gruppo da sostenere, ma senza più l’agibilità del potere esterno,dove invece i ‘moderati’, presero le redini dell’inabissamento, secondo la regola del “calati junco che passa la china”.
Da questo punto di vista potrebbe sembrare una contraddizione il fatto che in Via Fauro fosse stato organizzato un attentato per colpire Maurizio Costanzo,allora uomo di punta della Fininvest. Ma dobbiamo calare l’attentato in quel periodo, maggio 1993, quando da un lato Dell’Utri ha appena cominciato a lavorare per costruire Forza Italia che poi sarà ufficializzata solo nel gennaio 1994; ma dall’altro, Costanzo, con Santoro, era diventato l’emblema di una battaglia contro la mafia, sul terreno del ‘consenso’: la trasmissione congiunta Rai-Fininvest con Costanzo e Santoro culminata con la maglietta con l’inno alla mafia bruciata , con il collegamento con Santoro in nome di Libero Grassi che era stato in entrambe le trasmissioni per annunciare il suo No al Racket del pizzo, prima di essere ucciso, avevano messo in serio pericolo l’egemonia politica e culturale dei mafiosi sulle proprie famiglie di controllo che avevano assistito con stupore ed anche un po’ di paura, ai lenzuoli bianchi ai balconi di Palermo che inneggiavano a Falcone e Borsellino, alle dirette televisive che noi facevamo da Palermo facendo vedere le donne delle borgate che si tenevano per mano, scendendo in piazza a manifestare, per la prima volta nella loro storia.
Poi ci sono altre storie che si intrecciano dietro Via Fauro e che non possono essere taciute: comunque sia una trattativa tra Stato e mafia era in corso. Magari con pochi risultati, ma è un fatto storico che il mafioso Antonino Gioè aveva fatto al maresciallo Roberto Tempesta (del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri) l’offerta dei Brusca di far recuperare preziose opere d’arte in cambio di benefici carcerari ai mafiosi in carcere. Trattativa bloccata dal Colonnello Mori , alla quale Gioè rispose con la minaccia di colpire opere d’arte italiane su tutto il territorio. Ed è un fatto storico che il 13 agosto 1993, una informativa del Sisde (i Servizi Segreti dell’epoca), aveva segnalato alla Direzione di Roma che “ i mafiosi ormai certi di trascorrere il resto della vita in …regime carcerario rigido, avrebbero raggiunto la convinzione che solo nel caos istituzionale … sia possibile ricavare nuove possibilità di trattativa, miranti ad ottenere sconti di pena nell’ambito di una più vasta pacificazione sociale necessaria all’instaurazione del nuovo ordine istituzionale”. Quindi si trattava,sottobanco, mentre la mafia metteva le bombe che dovevano provocare una strage allo Stadio Olimpico il 31 ottobre 1993 (il caso o una ‘manina’ dei mafiosi moderati, provocò un guasto al detonatore che avrebbe dovuto far saltare in aria un pulmann di Carabinieri). E che finirono, quelle bombe, solo quando i Graviano vennero arrestati a Milano il 27 gennaio 1994, negli stessi giorni nei quali Berlusconi annunciò la sua ‘discesa in campo’.
La trattativa vedeva protagonisti i Ros dei Carabinieri ed il Sisde: e forse non è un caso che in Via Fauro abitasse Lorenzo Narracci, il vice di Contrada al Sisde di Palermo, carica che mantenne sino al 2001. Lo stesso Narracci il giorno della bomba in Via D’Amelio era in barca con Contrada ed alcuni amici. Al proprietario della barca che timonava quel giorno, un commerciante di abiti da sposa in contatto con il boss Raffaele Ganci, arriva una telefonata 80 secondi dopo lo scoppio della bomba di Via d’Amelio che uccise Borsellino e la sua scorta. Una telefonata da un telefono fisso che avvertiva lui e la comitiva del Sisde, dell’attentato a Via D’Amelio. Coincidenza su cui stanno lavorando ancora oggi gli inquirenti, perchè le prime volanti della polizia arrivarono sul luogo 10-15 minuti dopo e perché di attentato si parlò solo alle 17,30, più di mezz’ora dopo lo scoppio dell’auto bomba. Narracci è tornato ora alla ribalta dopo le confessioni di Gaspare Spatuzza che ha riaperto il processo Borsellino a Caltanissetta. Come se non bastasse sempre il numero di telefono di Narracci sarebbe stato annotato su un pezzo di carta, trovato dagli investigatori sulla montagna e vicino al gabbiotto dove fu premuto il pulsante che face saltare per aria l’auto di Falcone e della sua scorta a Capaci. Anche su questo particolare, sono state fatte indagini,anche se si sono risolte con un nulla di fatto. Questi ed altri particolari hanno fatto dire a Gioacchino Genchi,informatico e funzionario di Polizia, che a Via Fauro, quel 14 maggio 1993, ci fu un’auto bomba, ma che l’obiettivo non è detto che fosse Maurizio Costanzo, ma,probabilmente, proprio Lorenzo Narracci.
Trackback dal tuo sito.