La mafia dei “Cento Passi” e quella di oggi
Poche settimane addietro l’esito di una indagine condotta dal centro “Pio La Torre” di Palermo ci ha raccontato l’esistenza di una realtà che nessuno davvero in Sicilia può dire “che non conosceva”. I risultati di un sondaggio condotto tra gli studenti, 2 mila studenti delle scuole superiori, hanno consegnato in forma pubblica la convinzione di questi ragazzi secondo i quali la mafia è più forte dello Stato, e lo hanno detto con una consapevolezza altrettanto forte che in questo scenario profondamente negativo può fare ben sperare. Semmai ce ne fosse stata necessità, non c’era bisogno del sondaggio sia per prendere atto che la mafia, oggi cosidetta “sommersa”, è probabilmente più cruenta di quando ammazzava e faceva stragi anche come “service” di altri “poteri” pure criminali (la politica collusa, i servizi deviati, la massoneria che si insinua nelle istituzioni, non sono meno criminali degli assassini mafiosi), nonché per farci rendere conto che oggi quelli più coraggiosi e schietti restano i giovani e c’è da sperare che rispetto ai giovani di ieri, che non erano meno consapevoli, una volta adulti non finiscano con il mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi come fanno purtroppo tanti giovani di ieri che oggi da adulti sono alcuni di essi anche diventati pericolosi collusi e complici se non mafiosi loro stessi, e da queste parti può capitare di ritrovarli al servizio del sanguinario assassino, boss latitante da 20 anni, Matteo Messina Denaro. Gli studenti di oggi hanno anche spiegato il perché di questa loro certezza e cioè che se la mafia oggi è più forte dello Stato lo è per “colpa” della politica e di quei politici che hanno aperto le porte delle istituzioni alla criminalità mafiosa, infiltrata bene anche nell’economia e in grado di esercitare un potere di controllo sociale. Per il 45% dei giovani, la mafia non potrà essere sconfitta e per il 94,52% ha ha un rapporto forte con la politica. Oggi a Cinisi si è ricordato il delitto mafioso di Peppino Impastato. Viveva lui “a cento passi” dalla casa del boss mafioso Tano Badalmenti che volle la sua morte, e probabilmente anche la morte del padre di Peppino, Luigi, che non era riuscito a far zittire il figlio.
La mafia “mascariò” la morte di Peppino, lo fece apparire come un terrorista che voleva fare saltare la linea ferrata, trovando, chissà se per caso, perfetta coincidenza quel 9 maggio del 1978 con il ritrovamento a Roma del corpo del presidente della Dc Aldo Moro ucciso dalle Brigate Rosse 55 giorni dopo il suo rapimento. Luigi Impastato invece morì un anno prima del figlio, arrotato da una vettura mentre percorreva a piedi la strada per ritornare a casa. Mai si è dimostrato che anche la morte di Luigi Impastato fu una morte voluta dalla mafia, ma che sia stato così resta un forte sospetto. Oggi c’è un ripetersi di coincidenze. Luigi Impastato era fortemente legato alla mafia insediata negli Usa, e oggi come ieri si tratta di collegamenti che ancora oggi esistono come ha dimostrato la recentissima operazione dei carabinieri a Bagheria o come hanno dimostrato anche in tempi pure recenti altri blitz. Legami che restano, rotte tra la Sicilia e gli Usa sulle quali continuano a viaggiare droga e denari da riciclare. Ma ci sono altre circostanze molto simili a quegli scenari del 1978, a quegli scenari vissuti da Peppino Impastato. Lui faceva il giornalsita e parlava, denunciava, viveva a “cento passi” dal boss mafioso tano Badalmenti, il “nemico” dell’antimafia di Impastato, oggi, i giovani, gli stessi che mostrano di avere grande consapevolezze sulla forte presenza mafiosa, i giornalisti che scrivono le cronache antimafia, i magistrati e le forze dell’ordine che lottano contro i boss, non vivono a così grande distanza dai boss. Altro che “cento passi”, le distanze si contano sulle dita delle mani, 10 passi, forse di una sola mano, 5 passi. Non sono mafiosi che indossano coppole e lupare, ma vestono in grisaglia e tengono eleganti borse in pelle, entrano ed escono dalle banche, dagli uffici dei notai, dalle stanze dei pubblici uffici, dalle segreterie dei politici, loro stessi possono anche essere dei politici che così possono varcare anche le porte di aule parlamentari o di aule consiliari negli enti locali, siedono nei consigli di amministrazione, fanno i manager, gli imprenditori, magari sono gli stessi che parlano di crisi, che protestano contro l’euro…e che oggi festeggiano per il governo delle “larghe intese”. Non è fantasia giornalistica. Guardiamo a quello che è accaduto a Trapani, nella provincia di Matteo Messina Denaro che è latitante dal giugno del 1993, saranno 20 esatti di latitanza tra qualche giorno. A Trapani c’è un senatore, Antonio D’Alì, sotto processo per concorso esterno, e che adesso è in Europa a rappresentare il Senato, una nomina firmata dal presidente Grasso che ha spiegato di non essersi potuto tirare indietro, a Trapani sono stati arrestati e condannati consiglieri provinciali accusati di essere in combutta con mafiosi, un infermiere professionale di Alcamo, Pietro Pellerito, solito muoversi con un Mercedes ultimo modello, un sindacalista della Uil, Santo Sacco (in attesa di giudizio), un sindaco del Pd, Ciro Caravà, è sotto processo per mafia, un altro sindaco, del Pdl, Camillo Iovino di Valderice è rimasto sindaco sebbene condannato per favoreggiamento, un paio di consiglieri comunali di Trapani sono indagati per reati nei quali non c’entra la mafia ma c’entra tanto quel malcostume che fa da apripista, un deputato regionale, Girolamo Fazio, ex sindaco di Trapani, fa il parlamentare con due condanne definitive, anche qui non c’entra la mafia, ma la malamministrazione, un altro deputato in carica, Paolo Ruggirello, erede di un chiacchieratissimo banchiere, Giuseppe Ruggirello, lo si ritrova spesso citato in atti giudiziari antimafia, non è indagato allo stato è stato sfiorato da contatti pericolosi, suo cognato, un architetto da poco tempo deceduto, si è ritrovato indagato per mafia in una indagine ancora aperta, un ex deputato regionale della Dc, Pino Giammarinaro, si è scoperto gestiva da deus ex machina la sanità pubblica a Trapani, una serie di imprenditori erano soci di Matteo Messina Denaro, come Giuseppe Grigoli, il re del marchio Despar per la Sicilia occidentale, altri imprenditori hanno subito sequestri per avere usato le loro imprese come se fossero armi per intimidire il resto del mercato, Michele Mazzara, Vito Tarantolo, Francesco Morici, hanno subito ingenti sequestri e proposte di confisca, nel frattempo le intercettazioni hanno tradito i loro contatti con la politica e i politici, un procedimenti per confisca dei beni per oltre 1 milione di euro ha investito il re dell’eolico Vito Nicastri, uno che portava un deputato regionale, Mimmo Turano, Udc, in gita col suo aereo personale, un altro procedimento sta riguardando il patron della Valtur Carmelo Patti, in questo caso a rischio è un patrimonio per 5 miliardi di euro, sono stati sciolti per mafia due Comuni, Campobello di Mazara e Salemi, ispezioni antimafia sono in corso presso la Provincia regionale e presso il Comune di Valderice. In questo scenario non sono da sottovalutare sindaci in carica che se non toccati da indagini hanno avuto uscite e cadute di stile, incredibili, come il sindaco di Trapani, generale dei carabinieri, Vito Damiano, che sostiene che non bisogna parlare di mafia a scuola e che chiama malandrini i mafiosi. Insomma non c’è da stupirsi se i giovani dicono che la mafia è forte e lo è per colpa della politica. Non c’è da gridare allo scandalo se si sostiene che oggi i mafiosi e i loro complici si muovono vicinissimo a chi combatte la mafia con le armi che ha, le indagini per magistrati e forze dell’ordine, la penna i giornalisti, i regolamenti etici quei pubblici funzionari che a difficoltà si muovono dentro gli uffici pubblici. Altro che 100 passi. Oggi a Trapani ti può capitare di incrociare i mafiosi nel frattempo usciti dal carcere, come i rampolli dei capi, Virga e Pace, c’è chi gioca a calcio, chi lavora in negozi di bomboniere, chi si apre centri di ristorazione, chi va in giro a vendere dolci. E magari li si vede anche stringere mani di uomini insospettabili. Oggi si svolge a Trapani un processo lontanissimo dai riflettori, ma lontano anche dalla stessa città come con amarezza spesso dice la figlia, Maddalena, senza tema di essere smentita, quello per l’omicidio di Mauro Rostagno, ammazzato il 26 settembre del 1988. Fondatore di Lotta Continua, sociologo, fu ucciso perché qui aveva scelto di fare il giornalista e di denunciare malaffare e mafia, e non per il suo passato, non per questioni di “corna”, aspetti sui quali ogni tanto, ma nemmeno ogni tanto, c’è chi prova a inquinare così il processo contro i due mafiosi alla sbarra, Vincenzo Virga e Vito Mazzara, inquinamento che si cerca di fare arrivare fin dentro l’aula dove per fortuna lavora una severa Corte di Assise, che non lascia spazio a ciò che non è processuale. Rostagno fu ammazzato dieci anni dopo Peppino Impastato, perché faceva il Giornalista; come hanno raccontato i pentiti, era diventato in quel 1988 “una camurria” e a dire questo era stato il patriarca della mafia belicina, Francesco Messina Denaro che decise di farlo ammazzare dando l’ordine ai suoi gregari un giorno del 1988 passeggiando in mezzo ad un agrumeto, tra i più belli odori e colori della terra di Sicilia.
E’ un processo dove si sta raccontando la Trapani di quegli anni che non è diversa dalla Trapani di oggi non solo per il fatto che alcuni nomi dei “cattivi” di allora sono ancora i nomi dei “cattivi” di oggi, i mafiosi e i politici collusi, tanti cognomi restano gli stessi, quando sorprendentemente non si ritrovano in auge i chiacchierati di ieri quelli che Rostagno in tv indicava con esatta precisione, come l’ex vice presidente della Regione Bartolo Pellegrino, uscito assolto dall’accusa di concorso esterno, ma prescritto per il reato di corruzione, ma per la maggioranza della città la corruzione non viene nemmeno presa in considerazione. E lui partecipa tranquillamente alle campagne elettorali e fino a pochi anni addietro intascava anche contributi per rimborsi elettorali direttamente da Roma per un partito a sua misura da lui fondato. Ecco questa, per sintesi, è la Trapani di oggi. Trapani che brilla per assenza nel processo per il delitto Rostagno come se fosse questione solo per i familiari, le parti, i pochi cronisti che lo seguono. Maddalena Rostagno a giorni sarà a Torino, il 18 maggio, per partecipare ad una serata “colorata” da tante vignette, anche di disegnatori famosi, dedicate al padre, in questi anni di dibattimento ha girato l’Italia, Roma, Milano, altre città, per evitare che si possa spegnere il ricordo del padre e che il processo in corso non sia davvero qualcosa di trascurato. La fatica è tanta. Forse quei 2 mila giovani così convinti a giusta ragione, che la mafia è forte e lo è per colpa dei politici, o anche quei giovani che dicono di volere restare fuori dalla mischia scoraggiati da politici che non dovrebbero gestire la cosa pubblica, o essere mandati a fare i rappresentanti dell’Italia in Europa, come accade per l’imputato D’alì, dovrebbero incontrarla per capire che se si vuole si può vincere. Anche distribuendo vignette. Belle.
Trackback dal tuo sito.